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Storie dell'editoria

Parole da tutelare

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Gennaio 2013

di Elena Refraschini

Diversi organi, nazionali e internazionali, monitorano ogni anno il livello della libertà di stampa e dell’indipendenza editoriale raggiunti in ogni nazione del mondo. Uno dei rapporti annuali più importanti è quello stilato dall’organizzazione non governativa statunitense Freedom House, che classifica ogni nazione con numeri da 1 (le più libere) a 100 (le più censurate), con un’attenzione particolare per quanto riguarda il trattamento dei giornalisti. Il dato che salta all’occhio nel rapporto 2012 – basato, dunque, sui fatti accaduti nel 2011 – è il cambiamento di posizione nei Paesi protagonisti della Primavera Araba, dove è emerso anche il ruolo centrale assunto dalla rete e dai blogger. L’Egitto, per esempio, è sceso di 39 posizioni: nonostante non si possa sminuire l’entità dei cambiamenti e passi avanti avvenuti nel Paese, si sono verificati maltrattamenti e aggressioni contro i giornalisti, segno che le pratiche dittatoriali di Mubarak non sono rimaste solo un ricordo.

Più libri resiste...

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Gennaio 2013

di Elena Vergine

Il 2012 è stato per la piccola editoria un altro anno negativo. I dati che Nielsen ha presentato a Più libri più liberi fanno segnare un -7,1% a valore nei canali trade (esclusa Gdo) rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno. 2011 che a sua volta si era chiuso con un -4,8%. Dati di vendita, si badi. Perché se dovessimo considerare i dati di fatturato desunti da un campione di 251 piccoli e medi editori (dati desunti da altrettanti bilanci) a fine 2011 quel -4,8% diventava già lo scorso anno un -6,1%. Anche tenendo conto del diverso campione (quest’ultimo considera anche i piccoli marchi controllati o collegati a gruppi maggiori) questi valori ci dicono che, in due anni, in termini di sole vendite il settore ha perso quasi il 12% di mercato. Per effetto delle rese, della crescita dei costi finanziari, di distribuzione e di magazzino (che Nielsen non può rilevare) il conto economico della gestione caratteristica potrebbe essere, facendo le debite proporzioni con il 2011, del 27,1% peggiorativo dell’andamento rispetto alle vendite nei canali trade.

Portatrice di futuro

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Gennaio 2013

di Redazione

I trent’anni della Scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri coincidono con la più grande e irreversibile trasformazione che ha investito in questi anni il mondo delle case editrici e della libreria. Ai big player internazionali, si affiancano mutamenti nelle abitudini e nei comportamenti del pubblico. E-book e tablet con i nuovi loro modi di leggere; minori disponibilità di spesa a disposizione delle famiglie; riduzione del credito alle piccole e medie imprese (librerie e piccoli e medi editori); il blocco, psicologico e reale allo stesso tempo, negli acquisti e nei modi di acquistare. E il paesaggio che troveremo all’uscita da questo passaggio, sarà (già lo è) radicalmente diverso da quello di solo uno-due anni fa. Sta cambiando il mondo e con esso il lavoro del libraio, il concetto di libreria stessa. La boa dei trent’anni è un giro che costringe a guardare – in questa intervista con Achille Mauri – a quello che sarà la libreria, la Scuola, la didattica, i librai dei prossimi anni. «Il punto da cui guardare questi cambiamenti non è quello del libro o delle librerie ma è il tempo delle persone. Smartphone, tablet, telefonini, notebook, con i loro più o meno brevi messaggi, portano via agli individui miliardi di pagine di libri. Miliardi di pagine e di storie portate via nel mondo intero, nello stesso momento. Basta salire su un Milano-Roma e si vedono tutte queste persone, con il loro giornale, il libro posato sul tavolinetto, il computer o l’iPad acceso, e il telefonino. Ma sono questi ultimi strumenti che stanno occupando sempre più il nostro tempo. In quel momento si consumano e svaniscono nel mondo 10-20 miliardi di pagine. Pagine di libri che non si leggeranno mai più perché il tempo per leggere è svanito, assorbito in altre letture e in altre relazioni. Questo, ne sono convinto, è il punto da cui osservare i cambiamenti che abbiamo sotto i nostri occhi. Non è la concorrenza del digitale, perché quella per l’editoria – e anche per i librai – sarà una buona cosa. Pensiamo al ruolo che iniziano ad avere i blog letterari, i social network, il passaparola e le comunità di lettori collegate tra loro e con la libreria e l’editore attraverso la rete. Anzi la libreria dovrà fare ancora più uso di questi strumenti di quanto non faccia oggi».

Think different

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Gennaio 2013

di Elisa Molinari

Stando alla definizione di Wikipedia, la Apple Inc. (fino al 2007 Apple Computer Inc.) è «un’azienda informatica statunitense che produce sistemi operativi, computer e dispositivi multimediali con sede a Cupertino, Silicon Valley». Fondata il primo aprile 1976 da Steve Jobs e dall’amico Steve Wokniak in un garage californiano – diventato ormai meta di pellegrinaggio – è una delle più grandi e controverse aziende al mondo. Amata alla follia o detestata in tutto e per tutto, difficile trovare vie di mezzo. Quelle che agli uni sembrano caratteristiche irrinunciabili, per gli altri non sono che il frutto di campagne marketing di primissimo livello – chi non ricorda lo spot Think Different, l’espressione «There’s an App for that» o la serie di video I’m a Mac vs I’m a PC? Quale dunque la verità? Come si spiega questa situazione? L’espressione «integrazione verticale» è una buona risposta. Sotto lo stesso nome trovano posto infatti una compagnia hardware, software, di servizi e di retail, perfettamente – verticalmente – integrate. Apple controlla infatti tutti i punti critici della filiera: costruisce l’hardware, possiede il software che viene ottimizzato per il proprio hardware, lo equipaggia con servizi Web (iTunes e iCloud) e controlla le vendite attraverso i propri store.

Translation is Europe

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Gennaio 2013

di Laura Novati

Molti anni fa, una copertina del «Giornale della libreria» (era il numero per la Buchmesse) mostrava Umberto Eco che attraverso una nuvoletta da fumetto esortava: «Don’t tax books!», nel quadro di una campagna che doveva partire a tutta forza a Francoforte per l’azzeramento dell’Iva sui libri in Europa; da verificare se, vent’anni dopo, l’obiettivo è stato raggiunto: in quanti e quali Paesi, se non l’azzeramento, si è concretamente proceduto per avere almeno l’uniformazione al più basso livello possibile dell’imposta; speriamo comunque che l’obiettivo Iva 0% sui prodotti editoriali sia una prospettiva e non un miraggio (con le dovute complicazioni indotte dal digitale). Nel frattempo, bisognerebbe dedicare un’altra copertina al nostro infaticabile promoter Umberto Eco (autore, ricordiamolo, anche dei bei saggi di Non possiamo fare a meno dei libri) perché sì, è proprio vero, «Translation is the language of Europe», oggi e domani. Riprende lo slogan anche Barroso, Presidente della Commissione Europea, firmando la prefazione di The European Union Prize for Literature - Twelve winning authors, 2012 e ricordando che dal 2003 sono state 3000 le opere letterarie che hanno ricevuto incentivi per totali 14 milioni di euro e nel 2011 si è toccato il record con 600 opere tradotte.

20 anni di Kappa

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Intervista a cura di E. Vergine

Sono stati i primi a portare in Italia il fumetto giapponese e quest’anno festeggiano il loro ventennale. Abbiamo intervistato uno dei «Kappa Boys». Cosa caratterizza il vostro progetto editoriale? Andrea Baricordi (Direttore editoriale Kappa Edizioni). Kappa Edizioni è nata a metà degli anni Novanta per portare i fumetti nelle librerie di varia in un momento in cui questo mezzo narrativo era diffuso quasi esclusivamente in edicola e nelle fumetterie. L’idea, attraverso la rivista «Mondo Naif», fu quella di rilanciare il fumetto italiano non seriale attraverso storie di vita quotidiana – oggi si direbbe graphic novel di genere «slice of life» – grazie all’abilità di autori nostrani, oggi noti in tutta Europa. Questa idea ci venne proprio dal Giappone, un paese capace di inserire con invidiabile cura la vita quotidiana nelle opere fumettistiche di qualsiasi genere.

2012: il bello e il brutto

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Lorenza Biava

Cosa salvare e cosa dimenticare dell’anno che si sta concludendo? I presidenti di Aie, Aib e Ali fanno un consuntivo delle cinque cose da salvare e delle cinque da buttare. Alberto Galla (presidente Ali). Nel 2012 abbiamo provveduto a rinnovare le nostre cariche, all’insegna di una precisa volontà di rinnovamento dell’Ali, sempre più necessario in tempi di crisi. La prima cosa che vorrei salvare è questa Ali rinnovata, non tanto e non solo nelle persone, quanto piuttosto nel desiderio di porsi sempre come punto di riferimento per le librerie indipendenti. I librai devono tornare ad avere fiducia nella propria associazione e confidare che ogni azione sarà intrapresa a loro tutela e sostegno. Ma perché tutto ciò possa avere effetto, deve crescere la consapevolezza che da questa situazione si esce con la volontà di fare rete e mettere in comune le migliori attività che ognuno, nel proprio territorio, svolge. Stefano Parise (presidente Aib). Dopo le polemiche suscitate dalla «legge Levi», la proposta avanzata dall’associazione Forum del libro ha offerto un’occasione di confronto alle associazioni di bibliotecari, editori e librai. L’aumento dei lettori è la priorità numero uno per tutti, da perseguire con politiche e interventi coordinati e coerenti con una normativa quadro sulla lettura che oggi in Italia non esiste. Senza questo il mercato e gli utenti delle biblioteche non possono crescere. Marco Polillo (presidente Aie). E-book e digitale: questo 2012 ha definitivamente incoronato il mercato degli e-book come il segmento più innovativo dell’industria editoriale. In soli due anni e mezzo la produzione italiana è arrivata a quasi 38 mila titoli in digitale. Il 37% delle novità italiane sono oggi pubblicate anche in versione e-book. Non è male per cominciare.

Alla fine arriva... Bao

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Intervista a cura di E. Vergine

Sono sul mercato da pochi anni, ma il loro marchio si è già imposto come una delle vere e proprie rivelazioni nel settore dei fumetti e della graphic novel. Abbiamo chiesto a Caterina Marietti di raccontarci qualcosa in più su Bao Publishing. Cosa caratterizza il vostro progetto editoriale? Caterina Marietti (Fondatrice di Bao Publishing). Bao è nata ufficialmente nel dicembre del 2009, sotto una tempesta di neve. Prima di quel giorno avevamo girato le fiere del fumetto di mezzo mondo per passione, leggendo fumetti con la voglia di farli conoscere anche in Italia. Così Michele, il mio socio, e io abbiamo deciso di provarci fondando una casa editrice. E Bao è caratterizzata proprio dal fatto che nasce da due lettori appassionati, dalla concretizzazione commerciale dei nostri gusti di lettori, e questa è la sua forza.

B&N? Of course

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Elisa Molinari

«Avete dei libri per piccoli lettori?» chiedeva una bambina con le trecce al commesso di una libreria. «Hai provato da Barnes & Noble?» rispondeva lui. «Barnes & Noble, of course, of course», rispondeva la bambina, mettendosi una mano sulla fronte. Era il 1974 quando B&N mandava in onda il primo (pluripremiato) spot televisivo di una libreria. Oggi, stando a barnesandnoble.com, i clienti sono circa 40 milioni, la compagnia ha una quota di mercato del 27% per quanto riguarda gli e-book negli Stati Uniti e vende, tra negozi e on line, circa 300 milioni di libri all’anno, proponendo oltre centomila incontri per il pubblico. Il tutto partendo da una piccola attività in Illinois. Correva l’anno 1873 quando Charles Barnes apriva la sua stamperia di libri a Wheaton, non molto lontano da Chicago. La prima libreria fu opera del figlio William nel 1917 a New York, in partnership con G. Clifford Noble. Nel 1971 Leonard Riggio, libraio, ex commesso di un university bookstore, ossessionato dal servizio al cliente come l’altro «golden boy» Jeff Bezos, rileva la compagnia per farne «the world’s largest bookstore», con 150 mila titoli, iniziando ad espandersi nella regione di New York e di Boston. Nel 1975 l’idea di diventare il primo bookstore degli Stati Uniti a proporre con lo sconto del 40% i best-seller del «New York Times», idea che fu etichettata, all’epoca, come una delle migliore trovate di marketing in campo editoriale. Nel corso degli anni Ottanta, l’espansione continua con l’acquisizione delle 797 librerie della catena Dalton e delle librerie Doubleday (giusto per citarne alcune), subito brandizzate B&N, oltre che con l’apertura capillare di negozi in tutto il Paese.

Fumetti in rivista

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Intervista a cura di E. Vergine

«Linus» è la rivista che ha contribuito a fare la storia italiana del fumetto. Della storia del genere e delle nuove tendenze abbiamo discusso con Stefania Rumor. La vostra realtà editoriale è presente da lungo tempo nel panorama italiano del fumetto. Possiamo dire che avete contribuito a farne la storia. Stefania Rumor (Direttore di «Linus»). «Linus» esiste da quasi cinquant’anni. È la rivista che prima in Europa ha reso evidente come i fumetti fossero un prodotto narrativo in grado di competere con la letteratura «seria», scardinando l’idea dominante che il fumetto fosse tutto sommato il portato di una sottocultura per bambini. Nell’editoriale del primo numero si afferma: «Questa rivista è dedicata per intero ai fumetti», dove per fumetti s’intende letteratura di buona qualità, senza pregiudizi intellettualistici, mescolando fumetti moderni (i Peanuts) a classici, inediti e quant’altro. L’unico criterio della scelta è quello della qualità di questa «letteratura grafica», definizione che anticipa di due decenni il pensiero di Art Spiegelman e di tutta una serie di autori allora giovani e inediti sul valore della «graphic novel». Anche se, come ho detto, «Linus» è stata in un certo senso la prima rivista ad affermare il valore letterario della «graphic novel», è poi rimasta sostanzialmente fedele alle origini  pubblicando principalmente strisce e scegliendo dunque di rimanere fuori dai giochi editoriali che oggi, a livello italiano come internazionale, ne stanno affermando con forza la presenza negli scaffali delle librerie e nella narrativa contemporanea. È una scelta di politica culturale che rafforza e affianca a sempre nuovi autori americani il meglio delle novità italiane e europee. Ormai certe strisce, penso a Doonesbury o ai nuovi autori spagnoli e italiani, hanno la forza del romanzo breve, insieme all’incisività dell’aforisma.

Il teatro e le lettere

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Laura Novati

Dalle statistiche di IE-Informazioni editoriali del periodo ottobre 2011-settembre 2012 risulta che la produzione di testi teatrali arriva a 254 titoli totali, e che nella classifica dei Top 10 dello stesso periodo, esclusi i classici, troviamo solo tre titoli: Ausmerzen di Marco Paolini, Il dio del massacro di Yasmina Reza e Dio è nero di Dario Fo. La Reza è l’unica drammaturga, per quanto abbia iniziato come attrice: nata a Parigi nel 1959 da padre iraniano e da madre ungherese, entrambi ebrei, che arriva al successo con Conversations après un enterrement, rappresentata nel 1987, Premio Molière come miglior autore, mentre l’opera seconda, La traversée de l’hiver, vince il Molière come miglior spettacolo regionale. Il successo internazionale arriva con Art, 1994, tradotta e rappresentata in oltre trenta lingue. Il dio del massacro è pubblicato da Adelphi nel 2007, ma beneficia del film che ne ha tratto Roman Polanski, Carnage. Un’ipotesi drammaturgica contiene anche l’Iliade scomposta e affidata da Alessandro Baricco a ventun voci, ventun narratori a parlare in fondo di un unico tema, la guerra. Egli, manzonianamente, si riserva un «cantuccio», svelando il senso della sua operazione in due interventi in apertura e chiusura del libro. Più nuova è l’operazione di Ascanio Celestini in pro patria: titolo da orazione, che in effetti Celestini rivolge a Mazzini (come già era il cadavere dell’Italia per Daniele Timpano in Risorgimento Pop), padre della patria in realtà rimosso, esule nell’Italia unita in cui muore a Pisa sotto falso nome. Tutto qui. Dunque, non dobbiamo o non possiamo più parlare di un teatro letterario o di una letteratura teatrale in Italia? E le ragioni di questo progressivo impoverimento del teatro scritto, nel risorgere del teatro di parola affidato a singoli autori-attori?

La ricerca delle radici

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Laura Novati

La cospicua somma di 1,2 milioni di euro del Premio Nobel per la letteratura è stata assegnata nel 2012 a Mo Yan, nato nel 1956 a Gaomi, un intellettuale cittadino di origine contadina. Per la prima volta, dunque, il riconoscimento è andato a un cinese che vive e opera in Cina, dopo che nel 2010 L’Accademia svedese aveva premiato Xiabo con il Premio Nobel per la Pace, suscitando polemiche e un caso diplomatico (dato che Liu Xiabo sta tuttora scontando una condanna a 11 di prigione per aver criticato il sistema). E dopo che nel 2000 aveva premiato Gao Xingjian, che vive in Europa da più di 20 anni e critica apertamente il regime. Mo Yan (è uno pseudonimo, che in cinese significa «Non parlare», il suo vero nome è Guan Moye) è dunque nome-invito alla prudenza e in effetti le critiche che muove alla società e al sistema politico cinese sono spesso indirette, ma non per questo meno scottanti, come nel caso del recente Rane, nel quale mette sotto accusa la politica del figlio unico, in vigore in Cina da oltre 30 anni. Come spesso succede da noi, la nomina crea sorpresa, la fama di Mo Yan essendo affidata soprattutto al successo di Sorgo rosso, film tratto dall’omonimo romanzo da Zhang Yimou, come pure la sceneggiatura di Addio mia concubina. Comunque, è indubbio che, per quanto fondati, questi riconoscimenti obbediscono ad una logica geopolitica a cui sempre più negli ultimi anni la potente Accademia Svedese ha obbedito, dando segnali di orientamento oppure di riconoscimento. Una riprova che i premi servono pur sempre, ancor più se usati bene e con consapevoli mezzi e fini. Mo Yan, di colpo celebrità mondiale, è figlio di una rivoluzione contadina fallita e della discesa al popolo coatta degli anni ’60 e ’70: essa ha costretto il ceto colto a un confronto drammatico col sottosuolo inteso nelle due accezioni: il proprio io profondo e la sfera immensa e sommersa dei subalterni. Il confronto, sostanzialmente negativo, si rifletteva per esempio nella «trilogia dei tre» di Acheng, nato a Pechino nel 1949, che condivise nel corso della Rivoluzione culturale la sorte di migliaia di studenti inviati da Mao Zedong in campagna a lavorare la terra. Tornato a Pechino nel 1978, fu fra gli animatori del gruppo di artisti d’avanguardia che si riuniva intorno alla rivista «Xingxing» («Le stelle»), ma dal 1987 vive a Los Angeles, dove alterna l’attività di scrittore con quella di sceneggiatore.

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