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Libri di Elena Refraschini

Viaggio tra le librerie indipendenti israeliane

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2015

di Elena Refraschini

Israele, nonostante abbia un territorio di dimensioni limitate e conti solo 8 milioni di abitanti, vanta un settore editoriale variegato e dinamico: si pubblicano 5 mila libri all’anno in lingua ebraica e sono attive più di un centinaio di case editrici di varie dimensioni. Il grande problema, però, è legato alla distribuzione, dato che il mercato dei libri nuovi è sostanzialmente un oligopolio: il 75% è infatti occupato da due catene, Steimatzky e Tzomet Sfarim. Fino al 2002, la catena di librerie Steimatzky era l’unico attore sul mercato. È anche la più vecchia del Paese: fu infatti fondata a Tel Aviv nel 1920 da Yechezkel Steimatzky, cittadino russo emigrato in Palestina (che allora era Mandato britannico) che colse l’opportunità di servire i lettori della crescente comunità internazionale formata da nuovi immigrati e soldati inglesi. L’idea fu tanto azzeccata che in pochi anni vennero fondate nuove sedi nelle maggiori città, tra cui Gerusalemme e Haifa.

18 miglia di libri a New York

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Settembre 2015

di Elena Refraschini

A volte può succedere che una libreria sorpassi i confini della propria definizione e finisca per essere molto di più: un’attività commerciale, certo, ma anche uno status symbol, un epicentro culturale e persino una destinazione turistica. Questo è il caso di The Strand, a New York. Costantemente nella classifica delle librerie indipendenti più belle al mondo, The Strand fu fondata 88 anni fa con un capitale di 600 dollari da Ben Bass in quella che si chiamava «Book Row», sulla 4th Avenue, ed è oggi l’unica delle 48 attività che allora animavano la vita culturale del Greenwich Village.

Oltre la siepe: essere librai nel Profondo Sud

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Giugno 2015

di Elena Refraschini

«Il Giornale della libreria», questo mese, si immerge nell’atmosfera calda e umida del Sud degli Stati Uniti: la terra del blues, del jazz, ma anche di alcune delle librerie indipendenti più antiche e ammirate del Paese. Abbiamo infatti chiacchierato con due tra gli imprenditori più apprezzati del settore: Emöke B’Racz, fondatrice di Malaprop’s ad Ashville, nella Carolina del Nord, e Richard Howorth, fondatore di Square Books a Oxford. Entrambe le librerie sono state nominate Bookstore of the Year dal magazine on line «Publishers Weekly», rispettivamente nell’anno 2000 e nel 2013.

American dream

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Maggio 2015

di Elena Refraschini

In questo terzo episodio del nostro viaggio nel mondo delle librerie indipendenti americane, ci fermeremo in tre luoghi, ciascuno celebre in tutti gli States per un particolare aspetto della propria attività. Abbiamo infatti intervistato Emily Powell, nipote del fondatore della leggendaria Powell’s Bookstore di Portland, vero e proprio Eldorado per chiunque abbia mai pensato di aprire una libreria indipendente: 6.500 mq di superficie, un milione di volumi, 200 impiegati. Abbiamo poi parlato con Mark Laframboise, buyer di Politics & Prose, la storica libreria di Washington DC che ben rispecchia la libertà d’espressione e di confronto che animano la capitale. Infine, siamo passati alla montagnosa Denver, che ospita le quattro sedi della quarantenne Tattered Cover e abbiamo chiesto il parere della lead buyer Cathy Langer. La nostra indagine si è concentrata su come queste tre eccellenze del mondo librario abbiano fatto, e continuino a fare, fronte comune contro i giganti dell’e-commerce che, secondo le statistiche, servono ormai il 41% degli acquirenti di libri americani (dati Nielsen 2013).

La via americana

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Aprile 2015

di Elena Refraschini

«Non si può inventare un algoritmo che sia bravo quanto un libraio a consigliare libri», ha detto John Green all’annuale conferenza dell’American Bookseller Association, che ha raccolto lo scorso febbraio oltre 500 librai in North Carolina. Secondo i dati dell’associazione, che vanta tra i suoi membri più di 2.000 librerie indipendenti sparse in tutti gli Stati Uniti, dal 2009 all’anno scorso hanno aperto 440 nuove librerie «indie», con un incremento del 27%. Inoltre, le vendite di dicembre 2014 sono aumentate del 9% rispetto a quelle dello stesso periodo nel 2013. Questi dati hanno stupito non poco gli addetti ai lavori ed esprimono una decisa inversione di tendenza: dopo la caduta delle grandi catene schiacciate dal peso dei giganti on line, stiamo assistendo alla fioritura dei negozi indipendenti. Quali sono gli elementi di questo successo? Dopo l’intervista a Micheal Reynolds pubblicata sullo scorso numero (E. Vergine, Il Rinascimento americano, «GdL»,3, marzo 2015, pp. 42-44), continuiamo la nostra inchiesta intervistando alcuni dei librai americani più intraprendenti. Sicuramente servono qualità e costanza, ma a volte il successo della libreria è decretato anche dal saper cogliere le opportunità al volo: come quando un libraio della libreria Third Place Books, sfruttando la disputa Amazon/Hachette che non rendeva possibile pre-ordinare le copie del nuovo libro della Rowling, decise di rendere disponibile il pre-ordine nella sua libreria e di consegnare a mano le copie nella città di Seattle. Anche i nostri interlocutori si sono distinti in questo senso: Green Apple ha installato scaffali di libri usati nei bar, portando fuori dai confini della libreria la propria attività; Book Passage organizza conferenze e corsi che attirano insegnanti e alunni da tutto il mondo (quella dedicata alla scrittura di viaggio quest’anno ospiterà anche Isabelle Allende e Tim Cahill); Boulder ha reso disponibile l’intero catalogo della Naropa University, la più grande università buddista negli Stati Uniti.

Oltre la censura

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Gennaio 2015

di Elena Refraschini

La Vijecnica è il gioiello di Sarajevo: con i suoi colori pastello e le sue linee eleganti, il palazzo in stile neo-moresco, originariamente sede del municipio, si specchia nella Miljacka dal 1894, quando la Bosnia faceva parte dell’impero Austro-Ungarico. Soltanto nel 1949 l’edificio fu scelto come sede della biblioteca, e tutti lo chiamano ancora Vijecnica, «il municipio». A vederlo oggi, sembra impossibile che il palazzo sia sopravvissuto a due guerre mondiali e al più lungo assedio nella storia militare moderna. Il suo colonnato ocra e rosso è stato più volte testimone della storia: fu proprio lì che l’automobile che trasportava l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria si fermò, poco dopo essere scampata ad un primo attentato; e fu pochi metri più avanti, in corrispondenza del Ponte Latino, che Gavrilo Princip sparò quei due colpi che segnarono l’inizio della Grande Guerra (nell’era jugoslava il ponte in effetti era stato ribattezzato Principov most). Nell’aprile del 1992, quando crolla il sogno di una Jugoslavia unita, le forze serbo-bosniache circondano Sarajevo, soffocandola in una stretta che si sarebbe prolungata per 43 mesi. I viveri scarseggiano, il carburante anche, e vengono colpiti obiettivi strategici: ospedali, mezzi di comunicazione, industrie. Nessuno crede ai propri occhi, però, quando nella notte tra il 23 e il 24 ottobre 1993 è la Vijecnica a cadere vittima della follia bellica. «Urbicidio», lo chiamano i bosniaci: l’aperta volontà di distruggere il patrimonio culturale di una città e di un popolo. Ed è proprio questo che succede quando, in tre giorni di rogo, viene distrutto il 90% del patrimonio della biblioteca che comprendeva due milioni di libri, periodici e documenti, tra cui almeno 155mila esemplari rari e 478 preziosi manoscritti: libri d’ore, documenti catastali di epoca ottomana, manoscritti miniati di preziosa bellezza.

In vacanza con l'autore

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Ottobre 2014

di Elena Refraschini

C’era una volta Mecenate, l’eponimo: influente consigliere dell’imperatore Augusto, egli fu il primo a capire l’importanza di avere un circolo di poeti e pensatori vicini alle politiche imperiali, e fu infatti sotto la sua protezione che videro la luce opere quali l’Eneide virgiliana o le Odi di Orazio. Era solo l’inizio del mecenatismo: dai trovatori del dodicesimo secolo, che viaggiavano nel Sud della Francia spostandosi di castello in castello e diffondendo quei modelli che saranno così incisivi per lo sviluppo della nostra poesia in volgare, alla famiglia a cui forse si associa di più questa tendenza, quella dei Medici di Firenze. Esempi di sostegno a scrittori, poeti e artisti in generale, però, non sono relegati a epoche lontane: sono passati solo cent’anni, infatti, dal soggiorno di Rainer Maria Rilke presso il castello di Duino sul golfo di Trieste grazie alla generosità dei principi di Thurn und Taxis, frutto del quale fu il capolavoro Elegie duinesi (proprio questo soggiorno, tra l’altro, ha dato il via a tutta una serie di ricadute positive sul territorio dal punto di vista ecologico, turistico e culturale). Oggi, tuttavia, il compito di sostenere anche economicamente scrittori e artisti è affidato perlopiù a enti no profit come associazioni di categoria o fondazioni. Negli Stati Uniti, oltre ad associazioni generaliste tra cui la National Writers Association o l’Authors Guild, che offrono servizi come la revisione di contratti, seminari on line, corsi di scrittura, ma anche assistenza sanitaria grazie a ObamaCare, si trovano soprattutto associazioni di genere.

Islanda, isola di cultura

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2014

di Elena Refraschini

L’Islanda è un Paese che non smette di affascinare. Sono ormai innumerevoli i libri o gli incontri a essa dedicati: un fascino che deriva anche dalla peculiarità dei suoi paesaggi e della sua storia. Forse non tutti sanno, però, che l’Islanda è anche il paradiso della lettura: secondo indagini condotte dall’Università di Bifröst nel 2013, più del 50% della popolazione legge almeno 8 libri l’anno, e più del 93% ne legge almeno uno. L’islandese è la lingua scandinava più conservatrice in fatto di vocabolario, ortografia e grammatica, e grazie a questa scarsa evoluzione nel tempo anche i bambini di oggi riescono a leggere senza difficoltà le leggendarie saghe antiche. Pare anche che esistano diverse panchine pubbliche corredate da un Qr code che può essere «fotografato» con il cellulare per leggere un racconto mentre si aspetta il bus. Anche per gli amanti della letteratura, insomma, l’Islanda è una destinazione molto interessante. Per saperne di più, abbiamo rivolto qualche domanda a Silvia Cosimini (www.silviacosimini.com), una delle maggiori traduttrici italiane dall’islandese (sue sono le traduzioni, per esempio, dei romanzi di Jón Kalman Stefánsson, usciti presso Iperborea, tra cui l’ultimo, intitolato Il cuore dell’uomo).

L'evoluzione della Cina del libro

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Giugno 2014

di Elena Refraschini

Si conclude con la Cina il nostro viaggio alla scoperta delle editorie dei Paesi emergenti cominciata lo scorso dicembre con l’editoria del mondo arabo per poi passare a indagare i mercati di Turchia, Russia, Brasile, India e Sudafrica. Il mercato editoriale cinese ha subito enormi cambiamenti negli ultimi vent’anni. Se, infatti, negli anni ’80 e ’90 l’industria era completamente controllata dallo stato, di recente sono state allargate le maglie dei controlli sulle iniziative private anche in questo settore: sappiamo quindi che esistono 580 case editrici statali, ma non abbiamo numeri ufficiali per quanto riguarda il lato privato del business, che dimostra peraltro una professionalità e una consapevolezza delle regole del mercato di altissimo livello (come dimostra il fatto che spesso accade che un grande editore statale decida di comprare un indipendente di qualità, come nel caso di Boji Tianjuan, entrato a far parte del China South Publishing). Circa il 40% delle imprese editoriali ha sede a Pechino, il 7% a Shanghai e il resto nei vari centri provinciali (molti editori specializzati hanno sede nei capoluoghi di regione, mentre quelli generalisti lavorano dalla capitale). Sempre maggiori opportunità si aprono, inoltre, nel campo della cooperazione internazionale, non più solo nella co-produzione di alcuni titoli, ma anche nella possibilità di joint venture (come nel caso di JV Hachette e Phoenix).

In Sudafrica preferiscono la carta

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Maggio 2014

di Elena Refraschini

Nel nostro ciclo dedicato alle editorie emergenti è venuto il momento del Sudafrica, un Paese di cui non si sa molto anche se gli ultimi dati presentati dalla Frankfurt Book Fair (che è partner nell’organizzazione annuale della Fiera di Cape Town) ci aiutano nell’inquadrare meglio la situazione del Paese: il Sudafrica possiede un’industria ben sviluppata e solida dal punto di vista finanziario, con un buon sistema di trasporti e telecomunicazioni. Secondo la Costituzione post-Apartheid del 1996, sono undici le lingue ufficiali, il che fa immaginare un mercato editoriale vivace. Dal 2009 al 2013 l’uso di Internet nel Paese è più che raddoppiato, e indagini Cisco prevedono che il traffico quadruplicherà entro il 2017 (di contro, la lettura di giornali cartacei cala del 5% ogni anno). Ci sono 45 milioni di utenti di telefoni cellulari, 13 milioni di bambini in età scolare, 650.000 studenti. Nonostante queste buone premesse, i dati che ci interessano più da vicino sono allarmanti: l’analfabetismo è al 13,6%, i lettori regolari sono circa 500.000 (l’1% della popolazione) mentre il 51% della popolazione non possiede nemmeno un libro in casa. Nel 2008 il volume d’affari generato dall’editoria era stato di 370 milioni di euro (pari allo 0,15% del Pil), sceso però a 143 nel 2009 e 167 nel 2010. Per quanto riguarda le vendite dei libri trade, il 70% avviene in librerie di catena nazionali, il 9% nelle librerie indipendenti, il 5% tramite bookclub e il 3% nella Gdo. I libri scolastici vengono venduti soltanto da librerie indipendenti o da centri di distribuzione pubblici. E se per quanto riguarda la produzione generale abbiamo un 33% di produzione locale e un 67% di importazioni (soprattutto da Uk e Usa), le cifre sono solo leggermente diverse per quanto riguarda i libri trade: soltanto il 36,7% è prodotto localmente (per un 39,5% di fiction per adulti e un 60% di non fiction), mentre il 62,9% è importato.

Le librerie di Londra

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Maggio 2014

di Elena Refraschini

James Daunt, prima di diventare il managing director di Waterstone che abbiamo incontrato nelle pagine precedenti, era un semplice librario. Lavorava per JP Morgan a New York negli anni Ottanta, quando decise di cambiare vita e tornare nel nativo Regno Unito per seguire le passioni di sempre, la lettura e i viaggi. Nasce così nel 1990 la prima Daunt Books, libreria specializzata in viaggi che suddivide l’assortimento non per genere ma per Paese, offrendo guide ma anche titoli di saggistica e narrativa. Daunt Books conta oggi sei sedi, la più suggestiva, che occupa regolarmente uno dei dieci posti nelle classifiche delle librerie più belle al mondo, è quella di Marylebone. In un anno in cui nel Regno Unito 67 librerie indipendenti hanno chiuso e solo 26 sono state aperte, il risultato di Daunt è confortante. Gli ingredienti del successo? Personale specializzato e preparato, e particolare attenzione alle vetrine che mettono in mostra solo uno o due titoli insieme a diverse recensioni. Con questo sistema, un titolo vende anche 40-60 copie in un giorno nel singolo punto vendita. Abbiamo parlato con Brett Wolstencroft, manager della catena, per saperne di più.

L'editoria in India

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Aprile 2014

di Elena Refraschini

Continua il viaggio del «GdL» nelle editorie emergenti che fa tappa questo mese in India, Paese incredibilmente affascinante, caratterizzato da una pluralità religiosa e linguistica e da una ricchissima tradizione letteraria. L’analisi dell’industria editoriale indiana risulta complicata da diversi fattori, non ultimo proprio la frammentarietà linguistica, che richiederebbe statistiche e dati separati per ciascuna delle venti e più lingue che si parlano (e leggono). A peggiorare le cose, non esistono statistiche governative più recenti del 1972 (anno della prima fiera del libro di Nuova Delhi), e le cifre relative alle dimensioni del mercato variano notevolmente a seconda della fonte consultata. Tutti sembrano concordare, tuttavia, sull’importanza chiave del mercato essendo il terzo in lingua inglese dopo Usa e Uk (quello australiano e canadese hanno numeri più modesti); e secondo gli ultimi dati Ipa disponibili (2010) che comparano il valore di mercato a prezzo finale al consumatore, quello indiano è l’undicesimo mercato mondiale, che grazie anche ai 550 milioni di ragazzi dai 15 ai 30 anni che hanno voglia e bisogno di leggere e istruirsi, ha un tasso di crescita del 15% annuo secondo le stime più prudenti. La produzione si attesta sui 100.000 titoli l’anno (di cui 60% educational, 40% trade) da parte di circa 16.000 editori, per un valore del mercato di circa 1,6 miliardi di sterline. Il settore è frammentario anche dal punto di vista dei prezzi: mentre i titoli in lingua inglese (che costituiscono il 24% della produzione) hanno un prezzo di circa 350 rupie (4 euro) e hanno canali di distribuzione consolidati, i titoli nelle lingue regionali possono costare 80 rupie (meno di un euro) e vengono distribuiti nelle edicole e nelle stazioni delle città meno grandi: i due settori richiedono modelli promozionali e distributivi completamente diversi.

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