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Libri di Elena Refraschini

Una luce diversa

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Febbraio 2011

di Elena Refraschini

Intervista a Oscar Raymundo, coordinatore degli eventi della libreria A different light, delle sfide che una libreria indipendente (e specializzata) deve affrontare oggi.

Il segreto di Elliott

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Febbraio 2012

di Elena Refraschini

La Elliott Bay Book Company – 4.500 mq di vendita e altri 1.500 di magazzini e spazi per altre attività, un assortimento di 100 mila titoli e 175 mila volumi, 34 addetti - è un simbolo di Seattle tanto quanto il Pike Place Market, lo Space Needle o il primo cafè Starbucks. Fino a pochi anni fa, chiunque passeggiasse tra le tranquille vie del quartiere storico di Pioneer Square non poteva evitare di dare un’occhiata alla leggendaria libreria, amata per l’atmosfera confortevole creata da uno staff preparato, caratterizzata da un ampio assortimento di libri e da quello scricchiolante pavimento in legno così difficile da replicare nei negozi di catena.

Il gigante cinese

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Aprile 2012

di Elena Refraschini

Quando parliamo di librerie, di layout o servizio lo facciamo dimenticandoci dello «sguardo» occidentale con cui le osserviamo e prima ancora le progettiamo. Ma se usciamo da quest’ambito geografico (che è anche culturale, di modi di concepire gli spazi di vendita, di funzione del libro e della lettura nella società) le forme che assumono le librerie, gli scaffali, l’esposizione, la segnaletica, i servizi, le collocazioni stesse nel paesaggio urbano appaiono radicalmente diverse. Nella scala dimensionale (superficie e numero di punti vendita) ad esempio come in Cina. Ma anche come vedremo ad esempio nei Paesi Arabi per una tendenza a collocarsi in zone, vie ed aree ben definite della città. Ricordando in questo la disposizione delle botteghe artigiane nei suq. La Xinhua, che ha varie sedi a Pechino e 14.000 in tutto il Paese, è la più grande catena libraria cinese (e forse del mondo).

Google e i librai

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Aprile 2012

di Elena Refraschini

Nel dicembre 2010 Google annuncia un accordo con l’Aba (American Bookseller Association, che rappresenta circa 1.500 librerie) per consentire alle librerie indipendenti americane di entrare nel mercato della vendita di e-book. L’accordo prevedeva che dal sito Indie-Commerce della libreria «fisica» il cliente possa avere accesso al motore di ricerca e alla libreria virtuale Google eBookstore. «Il cliente della libreria non deve scegliere tra la lettura digitale e il sostegno alla propria libreria indipendente preferita», come si legge sul sito dell’organizzazione Indiebound che raccoglie e riunisce librai, lettori, negozianti e organizzazioni di commercio «local». Si tratta di un approccio estremamente innovativo nel confronto in atto oggi nel florido mercato digitale americano. Tra l’altro con la domanda che sorge spontanea: ma perché da noi queste formule e queste culture imprenditoriali non si sviluppano? E il massimo delle forme di cooperazione è impiantare uno stand in una fiera (per risparmiare) o un tendone in una piazza? E non sempre senza polemiche provinciali?

L'unione fa la forza

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Maggio 2012

di Elena Refraschini

«Sii parte della storia»: così recita lo slogan di Indiebound, una delle più efficaci iniziative targate American Booksellers Association per promuovere il commercio e l’acquisto locale. Tra gli obiettivi primari c’è quello di diffondere a tappeto la consapevolezza riguardo ai benefici del consumo locale, iniziando proprio dalle librerie indipendenti. Ma perché dovremmo «shop indie»? I benefici sono di carattere economico, ambientale e sociale. Per quanto riguarda l’economia, basti pensare che se si spendono 100 dollari in un negozio locale, 68 rimangono alla comunità (e si pagano tasse statali, che si riversano in migliori infrastrutture, sicurezza, sanità, eccetera), mentre la stessa cifra spesa in un negozio di catena lascerebbe alla comunità solo 43 dollari; in secondo luogo, verrebbero creati nuovi posti di lavoro qualificati. L’ambiente trarrebbe grandi benefici dal commercio locale perché necessita di meno imballaggi, meno trasporti e quindi minori emissioni di Co2. A livello sociale, il commercio indie promuove la bellezza e la diversità delle comunità, offrendo all’acquirente un ventaglio di scelte più ampio. Oggi queste proposte si adattano a diversi tipi di commercio al dettaglio, ma forse sono proprio i librai indipendenti ad aver più bisogno di sostegno in questo senso. Non soltanto hanno dovuto subire, dagli anni Ottanta, la concorrenza delle grandi catene (Barnes&Noble, Borders, Books-a-Million, ecc.), ma si trovano oggi a dover essere competitivi in un mercato dove persino le catene (si veda il caso Borders) stanno cadendo vittime dello spietato commercio on line, Amazon in prima fila.

Biblioteche più tech

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Elena Refraschini

Non è un periodo facile per le biblioteche nel mondo: in un’epoca in cui il mercato librario è destinato ad essere sempre più popolato da contenuti digitali, non sono in pochi a chiedersi se le biblioteche riusciranno a ritagliarsi un loro posto nel futuro. I professionisti del settore sono chiamati a rispondere a domande cruciali: come preservare l’importanza delle biblioteche? Come far sì che incontrino – oggi e domani – i bisogni in costante evoluzione dei propri utenti? Si cercano risposte in seminari, conferenze, incontri e progetti. L’attenzione degli stakeholder è concentrata, naturalmente, sull’evoluzione della digitalizzazione del patrimonio fisico – culturale, artistico – mondiale: un panorama in continuo movimento, animato da diversi progetti nazionali e internazionali. In principio, a dominare il settore delle digitalizzazioni fu Google che, grazie alla vastità delle proprie risorse, iniziò nel 2004 a scannerizzare e indicizzare milioni di libri; in seguito, si implementarono svariati progetti, in nazioni diverse e con obiettivi differenti, legati anche a istituzioni pubbliche. Uno sforzo comunitario, da questa parte dell’oceano, è rappresentato dal portale Europeana (operativo dal 2009), che mira a conservare digitalmente il patrimonio librario e artistico europeo. L’onda del cambiamento, tuttavia, non si esaurisce qui. Anche le biblioteche fisiche dovranno cambiare: nella loro architettura, nei loro servizi, nella loro offerta e immagine. Le modalità di consumo delle informazioni cambiano repentinamente, e bisogna che le biblioteche restino al passo per continuare ad essere un luogo repositorio di conoscenza.

Blog power!

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Ottobre 2012

di Elena Refraschini

Il vero e proprio boom dei blog è scoppiato negli ultimi due anni. Nonostante i sondaggi su questo argomento non siano ancora numerosi, sono significativi i risultati di un’indagine condotta da Verso Advertising: nel 2010 il 37% dei lettori dichiarava di aver acquistato un libro grazie ad una «recensione». Nel 2011 viene introdotta un’importante distinzione che porta la suddetta voce a scendere al 18.9%, mentre la «new entry» che rappresenta gli acquisti di libri grazie ad una recensione letta sui blog è già al 12.1%: percentuale degna d’attenzione, se si considera che il marketing via social network – sul quale gli editori investono molto – porta all’acquisto solo il 10% degli intervistati. Un segnale dell’interesse dell’editoria per il fenomeno è stato l’acquisto a gennaio di quest’anno da parte di Reeds, la società proprietaria di BookExpo America, della Book Bloggers Convention, che ha avuto come risultato l’organizzazione della convention della Bbc ll’interno del Bea a giugno 2012. Ad aprire gli incontri è stata Jennifer Weiner, blogger e scrittrice: «Non c’è mai stato un momento più favorevole di quello che stiamo vivendo oggi per prendere parte ad un dialogo sui libri e sulla lettura», ha detto.

Editori e Cina

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Elena Refraschini

Il mercato editoriale cinese è di nuovo sotto i riflettori mondiali. Non solo in seguito all’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Mo Yan (vedi articolo precedente), ma anche dopo il grande e cresciuto interesse suscitato dalla zona cinese alla Fiera di Francoforte. Dopo essere stato Paese Ospite d’Onore alla Buchmesse del 2009, anche quest’anno la Cina ha fatto parlare di sé: la vittoria del Nobel per la letteratura di Mo Yan è stata annunciata l’11 ottobre, mentre due giorni più tardi è stato assegnato dalla fiera a Liao Yiwu, scrittore dissidente ora esiliato in Germania, il premio per la pace. Come sottolinea Zhang Genrui, a capo della sezione tedesca di uno dei gruppi editoriali più importanti d’oriente, il China International Publishing Group (Ciph), se negli ultimi sedici anniera lui a dover inseguire gli editori stranieri e i giornalisti oggi, invece, lo stand a Francoforte ha ospitato continuamente lettori curiosi, editori, agenti, scout e giornalisti. Dai Lan, coordinatore della delegazione cinese alla fiera, afferma che dal 2000 la partecipazione alle manifestazioni internazionali da parte degli editori cinesi è aumentata esponenzialmente: quest’anno erano presenti settanta editori nella delegazione, ma un numero imprecisato ha partecipato come indipendente. Questa massiccia adesione rende manifesto l’interesse degli editori cinesi verso l’esplorazione dei mercati occidentali, che sempre più spesso forniscono libri destinati a diventare best-seller nella Terra di Mezzo; d’altra parte, conferma anche la volontà degli editori di promuovere le proprie opere sul mercato internazionale, interessato ora non soltanto alle narrazioni della Cina tradizionale ma soprattutto a quelle inserite nella vita urbana contemporanea e che affrontano temi più individualistici, come la ricerca dell’anima gemella o del successo lavorativo.

Parole da tutelare

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Gennaio 2013

di Elena Refraschini

Diversi organi, nazionali e internazionali, monitorano ogni anno il livello della libertà di stampa e dell’indipendenza editoriale raggiunti in ogni nazione del mondo. Uno dei rapporti annuali più importanti è quello stilato dall’organizzazione non governativa statunitense Freedom House, che classifica ogni nazione con numeri da 1 (le più libere) a 100 (le più censurate), con un’attenzione particolare per quanto riguarda il trattamento dei giornalisti. Il dato che salta all’occhio nel rapporto 2012 – basato, dunque, sui fatti accaduti nel 2011 – è il cambiamento di posizione nei Paesi protagonisti della Primavera Araba, dove è emerso anche il ruolo centrale assunto dalla rete e dai blogger. L’Egitto, per esempio, è sceso di 39 posizioni: nonostante non si possa sminuire l’entità dei cambiamenti e passi avanti avvenuti nel Paese, si sono verificati maltrattamenti e aggressioni contro i giornalisti, segno che le pratiche dittatoriali di Mubarak non sono rimaste solo un ricordo.

Au revoir Fnac

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Gennaio 2013

di Elena Refraschini

Il gruppo facente parte della francese Ppr – di proprietà di François-Henri Pinault, figlio del miliardario François Pinault, 59esimo patrimonio mondiale – aveva annunciato, nel gennaio 2012, che entro la fine dell’anno avrebbe ultimato l’uscita dal mercato italiano, nell’ambito di un piano generale di risparmio e rilancio della competitività aziendale: «In Italia, dove non sussistono più le condizioni per un’attività in proprio, la Fnac vaglierà tutte le possibili opzioni e prenderà una decisione entro l’anno», aveva dichiarato il suo presidente. Quando nacque negli anni Cinquanta in Francia grazie all’idea del fondatore Marc Theret, il negozio fu subito premiato dai giovani, perché visto come «agitatore culturale». Oggi Fnac ha 145 filiali nel mondo e 17.000 dipendenti. I tempi, però, cambiano in fretta. Entrata in Italia nel 2000 (il primo negozio fu inaugurato in ottobre, in via Torino a Milano), l’azienda non aveva mai raggiunto le condizioni operative necessarie per imporsi nel mercato, e la crisi finanziaria ha soltanto accelerato il processo dal 2009 in poi. In un incontro sindacale, la Fnac ha detto di aver perso tra gli 11 e i 12 milioni di euro negli ultimi anni, di cui 9 solo nell’ultimo anno, quando si è verificato un calo di fatturato del 21%. Peraltro, i tagli erano iniziati già dal 2009, quando aveva chiuso prima il negozio di Basilea e poi quello di Bastille, provocando il licenziamento di 60 persone. Nel piano Fnac 2015 si vuole raggiungere l’obiettivo di tagliare i costi di 80 milioni, il che provocherebbe il licenziamento di 510 persone (310 in Francia, 200 all’estero).

Al servizio del libro

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Febbraio 2013

di Elena Refraschini

In un contesto in cui le tecnologie, le risorse, le esigenze e i prodotti cambiano di continuo, anche l’agente letterario è costretto a ripensare e dunque rinnovare il proprio ruolo, pena la perdita di rilevanza. Se rispetto all’industria editoriale quella «intermedia» dell’agente potrebbe sembrare una posizione relativamente nuova, le ricerche storiche smentiscono questa tesi. Gli agenti letterari – anche se sotto diverse definizioni – sono nati infatti contemporaneamente all’editoria moderna e legati, almeno in principio, al mondo della carta stampata periodica (i primi annunci di agenti «amatoriali» nelle sezioni pubblicitarie delle riviste e dei quotidiani inglesi risalgono al 1850). Più o meno nello stesso periodo, anche negli Stati Uniti emerge la figura dell’agente come intermediario neiì rapporti tra editori e autori. Uno dei primi è Paul Revere Reynolds, che aveva iniziato a lavorare per l’editore Lothrop a Boston e dal 1891 lavora a New York (già centro dell’editoria libraria statunitense) come agente per l’editore inglese Cassell: inizia cercando dunque editori americani per gli autori inglesi rappresentati, ma sposterà presto la sua attenzione sugli autori, cercando gli americani che volevano essere pubblicati nel Regno Unito (lavorando al 10% di commissione).

L'Oriente bambino

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Marzo 2013

di Elena Refraschini

La crisi economica non ha colpito soltanto i Paesi occidentali, ma anche i mercati generalmente in crescita dell’Asia orientale. Proprio per questo motivo, gli editori children e YA nazionali sono stati in questi ultimi anni riluttanti nel comprare i costosi diritti di bestseller provenienti da Occidente, per favorire invece l’interscambio di opere creative locali. Come afferma in un’intervista a «Publisher’s Weekly» Claire Chiang, responsabile del consiglio organizzativo dell’Asian Festival of Children’s Content di Singapore: «Possiamo accedere senza difficoltà e con grandi benefici ai testi educativi e d’intrattenimento per bambini provenienti dall’Occidente; al contrario, i materiali creati in Asia, anche quelli già disponibili sul mercato, vengono raramente promossi e tradotti, e rimangono in gran parte inesplorati. Questa è una grave perdita per i bambini di tutto il mondo, ed è anche un mercato potenziale da sfruttare». Ma di cosa parliamo, quando parliamo di produzione per l’infanzia nelle nazioni asiatiche? Mercati maturi e stabili come quello giapponese, sudcoreano e taiwanese vendono all’estero diritti per libri illustrati, fumetti a scopo educativo e manga; invece, mercati emergenti come quello cinese si basano ancora fortemente sull’importazione, per alzare gli standard qualitativi domestici. Un tratto comune dell’area sembra essere comunque quello della ricerca di contenuti educativi e che siano appetibili per delle nicchie, come antidoto per contrastare il grave problema del calo delle nascite.

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