Eravamo abituati al fatto che il diritto d’autore fosse materia per specialisti, lontano dalle pagine dei giornali o dai programmi politici. Persino nelle università era difficile trovare corsi dedicati: qualche opzionale degli ultimi anni, un modulo nei corsi di diritto industriale, poco altro.
Come in ogni comunità di specialisti, noi tutti – giuristi, economisti o rappresentanti di interessi – ci siamo cullati sull’esclusività delle nostre competenze, esplorando i più nascosti meandri di una materia complessa, spaccando in quattro ogni capello e dando per scontati i fondamenti. Dall’altro lato, fuori dalle nostre chiuse stanze, il diritto d’autore restava uno sconosciuto, irrilevante e talvolta fastidioso.
Eravamo impreparati quando d’improvviso il diritto d’autore è divenuto una breaking news, trasformato in protagonista da chi muoveva all’attacco del suo impianto. Chi avrebbe immaginato, solo dieci anni or sono, che ci sarebbe stata in Parlamento europeo una rappresentante del Partito pirata?
La reazione è stata finora – riconosciamolo – non adeguata: elitista, appunto. Un’alzata di sopracciglio di fronte alle imprecisioni tecnico-giuridiche (che a volte erano vere bestialità) dei nuovi interlocutori e il tentativo di riportare la discussione sui nostri terreni preferiti, da altri percepiti come cavilli. Era sui fondamenti del diritto d’autore, sul suo ruolo nella società digitale che eravamo invece chiamati a rispondere, senza dare nulla per scontato.
È in questo quadro che si inserisce la cronistoria europea che si vuole qui raccontare.