La cospicua somma di 1,2 milioni di euro del Premio Nobel per la letteratura è stata assegnata nel 2012 a Mo Yan, nato nel 1956 a Gaomi, un intellettuale cittadino di origine contadina. Per la prima volta, dunque, il riconoscimento è andato a un cinese che vive e opera in Cina, dopo che nel 2010 L’Accademia svedese aveva premiato Xiabo con il Premio Nobel per la Pace, suscitando polemiche e un caso diplomatico (dato che Liu Xiabo sta tuttora scontando una condanna a 11 di prigione per aver criticato il sistema). E dopo che nel 2000 aveva premiato Gao Xingjian, che vive in Europa da più di 20 anni e critica apertamente il regime. Mo Yan (è uno pseudonimo, che in cinese significa «Non parlare», il suo vero nome è Guan Moye) è dunque nome-invito alla prudenza e in effetti le critiche che muove alla società e al sistema politico cinese sono spesso indirette, ma non per questo meno scottanti, come nel caso del recente Rane, nel quale mette sotto accusa la politica del figlio unico, in vigore in Cina da oltre 30 anni. Come spesso succede da noi, la nomina crea sorpresa, la fama di Mo Yan essendo affidata soprattutto al successo di Sorgo rosso, film tratto dall’omonimo romanzo da Zhang Yimou, come pure la sceneggiatura di Addio mia concubina. Comunque, è indubbio che, per quanto fondati, questi riconoscimenti obbediscono ad una logica geopolitica a cui sempre più negli ultimi anni la potente Accademia Svedese ha obbedito, dando segnali di orientamento oppure di riconoscimento. Una riprova che i premi servono pur sempre, ancor più se usati bene e con consapevoli mezzi e fini.
Mo Yan, di colpo celebrità mondiale, è figlio di una rivoluzione contadina fallita e della discesa al popolo coatta degli anni ’60 e ’70: essa ha costretto il ceto colto a un confronto drammatico col sottosuolo inteso nelle due accezioni: il proprio io profondo e la sfera immensa e sommersa dei subalterni. Il confronto, sostanzialmente negativo, si rifletteva per esempio nella «trilogia dei tre» di Acheng, nato a Pechino nel 1949, che condivise nel corso della Rivoluzione culturale la sorte di migliaia di studenti inviati da Mao Zedong in campagna a lavorare la terra. Tornato a Pechino nel 1978, fu fra gli animatori del gruppo di artisti d’avanguardia che si riuniva intorno alla rivista «Xingxing» («Le stelle»), ma dal 1987 vive a Los Angeles, dove alterna l’attività di scrittore con quella di sceneggiatore.