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Mercato

Quando il budget è a portata di click

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Marzo 2014

di Michela Gualtieri

Il 17 ottobre scorso una triste notizia aveva sollevato molto clamore sul Web: il Festival del giornalismo di Perugia, manifestazione che per sette anni ha portato in Italia le figure di spicco del giornalismo internazionale, non avrebbe avuto luogo nel 2014 per mancanza di fondi. «Stop at the top» erano state le parole con cui gli organizzatori, Arianna Ciccone e Cristopher Potter, avevano annunciato che le dimensioni e l’importanza che il Festival aveva raggiunto non erano più sostenibili con i finanziamenti a loro disposizione. Piuttosto che abbassare il livello, preferivano tirarsi indietro. Al clamore è presto seguita la mobilitazione e dal 2 novembre è partita una campagna di crowdfunding che in 90 giorni ha raccolto 115.420 euro, il 115% del budget preventivato. Il 2 febbraio l’annuncio ufficiale: il Festival del giornalismo si terrà anche quest’anno, dal 30 aprile al 4 marzo, grazie al sostegno del popolo del Web e, in particolare, di 749 donatori che hanno deciso di finanziare l’iniziativa dietro il semplice compenso di un badge «Donor» per seguire gli eventi oppure (per i più generosi) di una menzione sul sito del Festival. Il crowdfunding, letteralmente «finanziamento della folla», è una forma di raccolta fondi consentita da piattaforme Web dedicate e alimentata da meccanismi tipici dell’era di Internet, che aggrega persone distanti e sconosciute in virtù di obiettivi comuni da loro giudicati importanti.

Dalla Russia con amore

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Febbraio 2014

di Elena Refraschini

Prosegue il nostro viaggio nei Paesi dalle editorie emergenti con tappa (la terza dopo i Paesi arabi e la Turchia) tanto complessa quanto affascinante: la Russia. Il Paese è stato Ospite d’Onore alla London Book Fair e al Salone di Torino nel 2011, oltre che al BookExpo America l’anno seguente. Dopo un periodo di crescita nei primi anni del nuovo millennio, durante i quali il mercato ha quasi raddoppiato il proprio valore dai 1,6 milardi di dollari nel 2003 ai 3 miliardi nel 2008, innalzando il Paese al terzo posto come produzione editoriale dopo Stati Uniti e Cina, la crisi economica ha portato con sé danni gravi a tutto il comparto editoriale e distributivo (il valore è sceso a 2,3 miliardi nel 2011). Nel giugno 2012, il più grande editore del Paese, Eksmo (che pubblica, tra gli altri, Murakami), ha comprato il numero due, Act, che deteneva il 13% del mercato e aveva sotto di sé, oltre a diversi marchi editoriali, anche la catena di librerie Bukva. In un Paese che copre 9 fusi orari differenti, anche quella della distribuzione è una sfida non da poco: e mentre il 2011 è l’anno che ha visto fallire la più grande catena libraria Top Kniga, nel 2012 è stato il turno del braccio distributivo di Pyaty Okean di dichiarare bancarotta. Come si è verificato anche in altri Paesi, mentre le grandi catene chiudono, le librerie indipendenti (che valgono circa il 50% del mercato russo) hanno un trend leggermente positivo.

Editori over the top

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2013

di Lorenza Biava

Realizzata sulla base dei dati 2012 dalla Rudiger Wischenbart Content and Consulting, la settima classifica dell’edizione mondiale condotta da «Livre Hebdo» restituisce, complessivamente, l’immagine di un settore in cui sembra essersi realizzata una sorta di tregua rispetto alla crisi imperante, almeno per quanto riguarda gli «over the top» della galassia editoriale. Il giro d’affari complessivo dei 50 principali gruppi editoriali (quest’anno il numero degli editori che hanno fatturato più di 150 milioni di euro, e che sono quindi entrati di diritto nel classement, è salito a 84) è infatti tornato ad assestarsi su valori che, se non possono dirsi pre-crisi, se non altro sono in crescita rispetto all’anno precedente. Il fatturato di questi gruppi – considerato, lo ricordiamo, in base al giro d’affari al netto di tasse indicato sul bilancio di esercizio 2012 e comprendente, almeno nelle dichiarazioni, le sole voci riconducibili alle attività editoriali librarie vere e proprie, i club e alcune attività e prodotti connessi come la distribuzione o le banche dati (non sono comprese la stampa quotidiana e periodica) – raggiunge nel 2012 quota 54,8 milioni di euro e torna ad assestarsi su valori vicini a quelli del 2010 quando si aggirava sui 54,0 milioni di euro. Si tratta di un valore complessivo che torna a salire dopo la tragica caduta dello scorso anno quando, per effetto della crisi, il fatturato dei Top 50 si era fermato a quota 52,7 milioni di euro.

I magnifici 7

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2013

di Elisa Molinari

Non solo la «tempesta è perfetta» ma il massimo depressionario è trasversale a pressoché tutte le editorie con la parziale eccezione della solita Germania e del Regno Unito. La prima contiene in un -0,8% le perdite nel 2012 rispetto al 2011 e il secondo fa addirittura un +4% rispetto all’anno precedente. C’è però un dato che viene prima di tutti e che è troppo poco messo in evidenza. Il valore del mercato europeo (almeno dei Paesi maggiori) vale qualcosa come 22,878 miliardi di euro, quando quello nordamericano arriva (anche se il dato è relativo ancora al 2011) a poco più di 20,2. Volendo considerare solo i mercati continentali si arriva a 18,964 miliardi contro i 24,157 di quelli anglofoni. Quello di Amazon (libri e tutto il resto) varrebbe 20,3 miliardi nel 2012. Detto in altro modo – e considerando solo la platea di questi sei mercati/Paese europei – si può comprendere meglio l’attenzione con cui i big player (i «regni combattenti» come avevamo titolato un e-book del dicembre 2012) guardano al lucroso mercato europeo riuscendo per di più a infilarsi con facilità nelle crepe delle differenti normative fiscali e di regime Iva che l’Unione europea ha consentito si aprissero nel suo territorio. Anche tenendo conto che i dati dei singoli Paesi non sono mai perfettamente combacianti e confrontabili tra loro, quello che emerge dalle schede curate da Elisa Molinari e contenute nelle pagine successive, è un altro aspetto che dovrebbe sollecitare domande e curiosità. I segni meno non sembrano essere «collegati » con le dimensioni che va assumendo il mercato degli e-book (qualunque cosa poi venga considerato e-book). E considerando poi che quello dell’e-book è ormai un mercato che ha come unità di misura il «miliardo» e non più il «milione». Anche nel mercato di lingua anglosassone (Uk +Usa) ci ritroviamo con un segno «+» nel Regno Unito, ma con un segno «-» in quello nordamericano. Nell’Europa continentale la Germania segna un -0,8%, ma è anche il Paese in cui gli e-book hanno oggi la quota di mercato maggiore. Francia e Spagna avrebbero la stessa quota di mercato digitale, ma andamenti complessivi di fatturato ben diversi.

Il futuro dei piccoli editori

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Ottobre 2013

di Antonio Monaco

Tra il 2005 e il 2010 abbiamo avuto un consolidamento della piccola e media editoria, e molti indicatori si sono presentati in crescita: • l’export e l’internazionalizzazione; • il numero di titoli pubblicati e quelli attivi in catalogo; • il fatturato complessivo che passa da 351 a 395 milioni; • e soprattutto l’incidenza % sul totale del numero di novità, che passa dal 35 al 45%, e del fatturato, che passa dal 9,6 all’ 11,6%. Ma ci sono diversi elementi di criticità che corrispondono ad elementi strutturali: • innanzitutto il margine di redditività (il costo di distribuzione cresce in media di oltre il 2%); • ma anche l’incidenza delle vendite di titoli di catalogo diminuisce (dal 24 al 22%); • pur crescendo il numero degli editori censiti (da 5.600 a 7.600), diminuiscono quelli attivi (da 3.100 a 2.700) e quelli con produzione nell’anno (da 1.700 a 1.600); • e, fatto più grave, ne nascono di meno e ne cessano di più. Senza dimenticare la diminuzione del peso delle librerie nel fatturato globale delle case editrici: nel 2001: 80% di cui il 63% indipendenti; nel 2010: 65% di cui il 37% indipendenti. Mentre i gruppi consolidano una presenza dominante nella filiera commerciale (le librerie on line, le catene librarie, le reti promozionali e distributive). Dal 2010 la crisi economica ha colpito con particolare vigore questo settore, che ha visto una generale decrescita delle case editrici attive, una diminuzione dei titoli pubblicati, una drastica riduzione degli addetti, anche se risulta, per quando minimo, un aumento della presenza dei titoli in catalogo (quasi il 2% in più). Osservare le cose con gli occhi del nemico Si tratta dunque di una realtà composita, che deve essere osservata senza compiacimento. Ecco la radiografia più aggiornata (al 2012) della situazione realizzata dall’Ufficio studi Aie su dati dell’Agenzia Isbn. Degli oltre 8 mila codici Isbn «solo» 5.074 fanno riferimento ad aziende editoriali attive (che hanno cioè pubblicato almeno un titolo nell’anno). Di questi un 45% è composto da «microeditori» con un’attività editoriale che non arriva a pubblicare più di 9 titoli all’anno. Mentre possiamo definire editori «in crescita»: le imprese che hanno una produzione di almeno 10 titoli all’anno – significa almeno un titolo al mese in lavorazione, e dunque con un minimo di struttura redazionale, un proprio progetto editoriale, una distribuzione ecc. – sono oggi in Italia 1.326. Di queste case editrici quasi il 65% pubblica non più di 30 titoli l’anno; si arriva all’80% se comprendiamo anche quelli che arrivano a pubblicarne 60.

La mappa editoriale 2013

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Ottobre 2013

di Sandro Pacioli

Per il quarto anno consecutivo il «Giornale della Libreria» propone ai suoi lettori la Mappa dell’editoria italiana. Ma cosa può rappresentare oggi una mappa? E una mappa di un settore come quello dell’editoria? Wikipedia ci dice che «una mappa è una rappresentazione semplificata di uno spazio che evidenzia relazioni tra le componenti (oggetti, regioni) di quello spazio. Una mappa è comunemente una rappresentazione bidimensionale […] di uno spazio tridimensionale. […] Più in generale, le mappe possono essere usate per rappresentare qualsiasi proprietà locale del mondo o parte di esso, o qualsiasi altro spazio». Nel tracciarla, fin dalla prima edizione, ci eravamo spinti a rappresentare anche ciò che poteva apparire fuori dal mondo fisico del produrre e distribuire libri come le aziende (controllate da gruppi editoriali e case editrici) che producono software e studi professionali; il settore delle banche dati; la distribuzione fisica e quella digitale. Dicevamo comunque di una «rappresentazione semplificata». Dall’Agenzia Isbn sappiamo che 8.440 «imprese» hanno un codice Isbn, ma il 56% non aveva pubblicato alcun titolo nel corso dell’anno (il 2012). Quelle attive (hanno pubblicato «almeno un titolo», fino a 9) sono 3.748 (il 44%): microeditori? Le altre case editrici che superano la soglia di 10 titoli all’anno e quindi – dobbiamo supporre – hanno un progetto editoriale ben definito, un piano editoriale e produttivo sviluppato nel tempo,una struttura redazionale e distributiva, sono 1.326. Il 15,0% di tutto.

La parabola di Grey

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Ottobre 2013

di Edward Nawotka

Quest’estate l’editoria statunitense ha attraversato il suo «momento Christian Grey», il protagonista della nota trilogia delle Sfumature di grigio, finendo castigata e mortificata dal suo Governo in nome del libero mercato. I fatti sono ben noti. Nel 2010, in concomitanza con l’arrivo sul mercato dell’iPad, Apple, in collusione con cinque dei sei maggiori editori americani – Hachette, Penguin, Macmillan, Simon & Schuster e HarperCollins – fece cartello e gonfiò i prezzi degli e-book imponendo il suo modello dell’agency pricing. Apple e gli editori furono citati in giudizio dal Dipartimento della Giustizia Usa, a nome di consumatori e pubblici ministeri, e proclamati colpevoli. La pena (al momento ancora del tutto da decidere) per Apple potrebbe essere l’obbligo di sottostare a un controllo prolungato da parte del Governo Usa e aprire in qualche modo l’app store a concorrenti, in primis Amazon. Gli editori dovranno invece restituire 166 milioni di dollari (dei 218 reclamati in totale dai legali dei compratori) ai consumatori. In totale, 24 milioni di acquirenti di e-book saranno rimborsati con 3,06 dollari per ogni titolo best-seller e 76 cent per gli altri titoli da loro comprati tra il 2010 e il 2012. Il «piacere» dei procedimenti legali è stato voyeuristico, con gli osservatori liberi di guardare le strategie di business di Apple, Google, Amazon e dei colossi editoriali, solitamente quasi imperscrutabili. L’impressione che si ricava è dell’aspra competitività che regna in queste industrie ai massimi livelli, e di quanto spesso si lavori nell’illusione delle proprie convinzioni: Apple credeva di poter strappare a Amazon il dominio nel settore degli e-book con il lancio dell’iPad, mentre Google – secondo la testimonianza di uno dei suoi manager, Tom Turvey – ritiene che «non sia un’azienda che conta nel settore media e intrattenimento». E se non bastasse questa affermazione, c’è altro – i riferimenti nelle mail di Amazon ai «trucchi mentali da Jedi» o alle «doppie cancellazioni» che David Young di Hachette aveva insegnato al suo capo Arnaud Nourry per coprire il flusso digitale dei vari negoziati – che resta impresso.

Ricominciare dall'estero

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Ottobre 2013

di Emilio Sarno

Nel 2012 l’editoria d’arte ha perso un buon -9,3% nei canali trade (altri dati nell’e-book Il ritratto dell’arte. Rappporto sull’editoria d’arte in Italia 2013, Aie, 2013). Ben più, quindi, di quanto ha perso complessivamente negli stessi canali, tutto il settore editoriale: -7,8% (-5,8% per Gfk). Certo restano fuori dal conto i bookshop museali e le vendite in occasione di mostre temporanee, canali che hanno in parte risentito della generale congiuntura economica e sociale. La diminuzione della capacità di spesa degli italiani non si traduce solo in un calo delle visite in libreria o nella scelta di acquistare libri con prezzi più bassi: infatti se i canali trade fanno segnare un -7,8% a valore di copertina, i volumi venduti si limitano a un -7,0% e la stessa tendenza la fotografa GfK: -5,8% da un parte e -5,0% dall’altra. Tempi difficili per l’editoria d’arte che si appoggia su un prodotto, per sua natura poco economico. Tra il prezzo medio di copertina di un libro d’arte e la media della varia adulti c’è un differenziale del 48,1% in più (Fonte: Istat). Tempi non facili anche per i bookshop e le mostre perché la crisi si traduce in una contrazione dei viaggi e dei soggiorni nelle città d’arte. E ancora, per chi gestisce i canali di vendita, si traduce in una maggiore attenzione alla composizione degli stock, alle incidenze sul monte merci complessivo, alla rotazione. Le conseguenze? Alleggerimento e riduzione degli spazi dedicati, sostituzione dei marchi italiani con quelli di editori internazionali che offrono un più conveniente mix di prezzi bassi, titoli di artisti, critici e movimenti di forte appeal.

Uniti contro la crisi

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Ottobre 2013

di Intervista a cura di E. Vergine

La crisi sta mettendo a dura prova la filiera editoriale a tutti i livelli. Cosa si può fare di concreto per uscirne? E qual è la strategia vincente per produrre e promuovere i propri contenuti verso un pubblico che sia il più vasto possibile? L’abbiamo chiesto a Laura Donnini, amministratore delegato di Rcs Libri e Presidente del Gruppo editoria di varia dell’Aie. Quali sono le problematiche esistenti oggi nel mondo della distribuzione e quali possibili soluzioni vede? Da ormai due anni stiamo assistendo ad una riduzione significativa del valore del mercato che ad oggi registra un calo del 3,6% rispetto allo scorso anno, dopo un 2012 di grande sofferenza per tutti gli operatori. Le prime a pagare il prezzo di questa situazione sono le librerie e, in particolare, le librerie indipendenti. La contrazione dei consumi e dei volumi, l’abbattimento del prezzo medio – in parte per l’effetto delle campagne sconto, in parte per l’arrivo sugli scaffali di novità a basso prezzo –, lo sviluppo del digitale – sia dell’e-commerce che degli e-book – hanno messo tutti i retailer in una situazione di grande difficoltà sia per la riduzione dei margini sia per la pressione finanziaria su rese e pagamenti. È vero però che anche gli editori si trovano in una condizione analoga. I tagli che i librai fanno sugli acquisti (sulle copie come sul numero di titoli) e la riduzione del tempo di permanenza dei libri sugli scaffali spesso non permettono a titoli di autori meno noti (o che richiedono un tempo di maturazione più lungo per farsi conoscere dal proprio pubblico, grande o piccolo che sia) di «emergere», con l’inevitabile creazione di un circolo vizioso che sta mettendo in difficoltà tutti i componenti della filiera editoriale. Ci sono diverse aree – nel ciclo produttivo e distributivo – su cui tutti potremmo iniziare a lavorare per cercare di abbattere i costi e dunque ben vengano dei tavoli di lavoro in cui, in un’ottica di reciproci vantaggi, si possano individuare delle soluzioni condivise, nel rispetto dei ruoli reciproci. Non esistono facili ricette ma certamente la modalità con cui approcciare il mercato può a mio avviso essere solo quella a favore del sellout anziché del sell-in, in un’ottica win win a favore della lettura e delle imprese culturali. Editori e librai dovranno iniziare a pensare da un lato a sviluppare campagne di promozione creative, non necessariamente basate sullo sconto, che risultino convenienti per l’acquirente finale e dall’altro ad operazioni di comunicazione e promozione della lettura che coinvolgano gli autori e i lettori, i punti vendita, le istituzioni, le scuole ed il territorio in modo da stimolare e condividere passioni e gusti culturali in modo non banale ed arricchente.

Punti in comune

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Settembre 2013

di Emilio Sarno

Sono diversi gli elementi in comune tra le principali industrie dei contenuti che operano nel nostro Paese. Il primo è che tutti – dai libri alla stampa quotidiana e periodica, dalla musica all’home entertainment (mancano i videogiochi ma il report annuale a oggi non è ancora stato presentato) – fanno segnare per il secondo (o terzo) anno consecutivo segni negativi nelle vendite (specifichiamo che, per omogeneità tra i settori, abbiamo considerato solo le aree di ricavo che vengono generate dalle vendite nei canali trade). Il valore complessivo che se ne ottiene per il 2012 arriva (almeno) a 7,270 miliardi di euro rispetto agli 8,617 del 2011. Significa 1,346 miliardi in meno di spesa degli italiani per acquisto di prodotti culturali: - 15,6% (per il 2011 si veda E. Sarno, Un 2011 di segni meno, «GdL», 7-8, pp. 14-16). Le ragioni?

Più titoli meno vendite

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2013

di Emilio Sarno

Un po’ paradossale lo è. Mentre da un lato assistiamo, nel primo quadrimestre del 2013, a un calo del fatturato del -4,4% (da 362 milioni di euro del Q1 2012 a 346 del corrispondente periodo di quest’anno; ci riferiamo ai canali trade rilevati da Nielsen) e delle copie vendute (da 28,0 a 27,8 milioni: -0,7%), la produzione (novità più riedizioni) fa segnare nel primo quadrimestre del 2013 un netto +3,4%. Calo del fatturato, sostanziale stabilità nelle copie vendute (effetto dei titoli a 0,99 e delle fasce più basse di prezzo), ma aumento dell’offerta proposta nei canali fisici: librerie, Gdo, librerie on line. Se si pensava che l’e-book avrebbe messo fuori produzione la carta, la smentita è pronta. Beninteso: questi fenomeni non si misurano sui quadrimestri, ma il dato resta curioso. Tanto più in una situazione di crisi dei consumi, di cambiamenti nei gusti e bisogni di lettura, con un cliente/lettore sempre più frastornato (e con meno soldi in tasca da spendere), librerie che hanno difficoltà a «tenere la merce». Un periodo, insomma, in cui ci si aspetterebbe, una produzione maggiormente pensata e più attentamente gestita a livello di comunicazione (social e non) e di marketing. Alla crescita dell’offerta di libri si accompagna – ovvio – l’offerta di e-book. Nel primo quadrimestre dello scorso anno ne erano usciti 5.562. Quest’anno sono 9.508 (compresi i titoli Mondadori). È un +70,9% anno su anno.

Una porta sul futuro

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2013

di Edward Nawotka

I termini «disruption» e «innovazione» sono sovente utilizzati insieme in editoria. Ciò non significa che vadano sempre di pari passo. Attualmente stiamo attraversando un periodo più di disruption che di innovazione. La principale fonte di disruption è stata la grande diffusione dell’e-book. Il timore maggiore era che gli e-book potessero cannibalizzare le vendite di libri stampati e per questo alcuni sono stati restii a digitalizzare e pubblicare titoli in questo formato. Questo timore è poi divenuto realtà: le vendite dei libri stampati hanno continuato a diminuire mentre quelle degli e-book sono in crescita – le previsioni indicano che da qui a un paio d’anni le vendite di fiction in formato digitale supereranno il formato cartaceo. L’elemento più dirompente dell’ e-book è probabilmente il prezzo (si veda, su questo numero, La promessa del digitale, pp. 38-39): i consumatori vogliono libri a basso prezzo, ancora più basso se si tratta di libri digitali. Gli editori, i governi e le organizzazioni possono anche opporre resistenza a questa spinta, ma se non le andranno incontro – con prezzi competitivi e aliquote Iva più basse – ai lettori con ogni probabilità non resterà che orientarsi verso edizioni sempre più economiche prodotte da editori non tradizionali. Comunque, a mio avviso, la forza più dirompente nell’attuale panorama editoriale è il self publishing (su questo argomento è stato recentemente pubblicato l’e-book Prospettiva self publishing. Autori, piattaforme e lettori dell’editoria 2.0, a cura dell’Ufficio studi dell’Aie) .

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