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Ediser

20 anni di Kappa

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Intervista a cura di E. Vergine

Sono stati i primi a portare in Italia il fumetto giapponese e quest’anno festeggiano il loro ventennale. Abbiamo intervistato uno dei «Kappa Boys». Cosa caratterizza il vostro progetto editoriale? Andrea Baricordi (Direttore editoriale Kappa Edizioni). Kappa Edizioni è nata a metà degli anni Novanta per portare i fumetti nelle librerie di varia in un momento in cui questo mezzo narrativo era diffuso quasi esclusivamente in edicola e nelle fumetterie. L’idea, attraverso la rivista «Mondo Naif», fu quella di rilanciare il fumetto italiano non seriale attraverso storie di vita quotidiana – oggi si direbbe graphic novel di genere «slice of life» – grazie all’abilità di autori nostrani, oggi noti in tutta Europa. Questa idea ci venne proprio dal Giappone, un paese capace di inserire con invidiabile cura la vita quotidiana nelle opere fumettistiche di qualsiasi genere.

2012: il bello e il brutto

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Lorenza Biava

Cosa salvare e cosa dimenticare dell’anno che si sta concludendo? I presidenti di Aie, Aib e Ali fanno un consuntivo delle cinque cose da salvare e delle cinque da buttare. Alberto Galla (presidente Ali). Nel 2012 abbiamo provveduto a rinnovare le nostre cariche, all’insegna di una precisa volontà di rinnovamento dell’Ali, sempre più necessario in tempi di crisi. La prima cosa che vorrei salvare è questa Ali rinnovata, non tanto e non solo nelle persone, quanto piuttosto nel desiderio di porsi sempre come punto di riferimento per le librerie indipendenti. I librai devono tornare ad avere fiducia nella propria associazione e confidare che ogni azione sarà intrapresa a loro tutela e sostegno. Ma perché tutto ciò possa avere effetto, deve crescere la consapevolezza che da questa situazione si esce con la volontà di fare rete e mettere in comune le migliori attività che ognuno, nel proprio territorio, svolge. Stefano Parise (presidente Aib). Dopo le polemiche suscitate dalla «legge Levi», la proposta avanzata dall’associazione Forum del libro ha offerto un’occasione di confronto alle associazioni di bibliotecari, editori e librai. L’aumento dei lettori è la priorità numero uno per tutti, da perseguire con politiche e interventi coordinati e coerenti con una normativa quadro sulla lettura che oggi in Italia non esiste. Senza questo il mercato e gli utenti delle biblioteche non possono crescere. Marco Polillo (presidente Aie). E-book e digitale: questo 2012 ha definitivamente incoronato il mercato degli e-book come il segmento più innovativo dell’industria editoriale. In soli due anni e mezzo la produzione italiana è arrivata a quasi 38 mila titoli in digitale. Il 37% delle novità italiane sono oggi pubblicate anche in versione e-book. Non è male per cominciare.

Alla fine arriva... Bao

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Intervista a cura di E. Vergine

Sono sul mercato da pochi anni, ma il loro marchio si è già imposto come una delle vere e proprie rivelazioni nel settore dei fumetti e della graphic novel. Abbiamo chiesto a Caterina Marietti di raccontarci qualcosa in più su Bao Publishing. Cosa caratterizza il vostro progetto editoriale? Caterina Marietti (Fondatrice di Bao Publishing). Bao è nata ufficialmente nel dicembre del 2009, sotto una tempesta di neve. Prima di quel giorno avevamo girato le fiere del fumetto di mezzo mondo per passione, leggendo fumetti con la voglia di farli conoscere anche in Italia. Così Michele, il mio socio, e io abbiamo deciso di provarci fondando una casa editrice. E Bao è caratterizzata proprio dal fatto che nasce da due lettori appassionati, dalla concretizzazione commerciale dei nostri gusti di lettori, e questa è la sua forza.

B&N? Of course

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Elisa Molinari

«Avete dei libri per piccoli lettori?» chiedeva una bambina con le trecce al commesso di una libreria. «Hai provato da Barnes & Noble?» rispondeva lui. «Barnes & Noble, of course, of course», rispondeva la bambina, mettendosi una mano sulla fronte. Era il 1974 quando B&N mandava in onda il primo (pluripremiato) spot televisivo di una libreria. Oggi, stando a barnesandnoble.com, i clienti sono circa 40 milioni, la compagnia ha una quota di mercato del 27% per quanto riguarda gli e-book negli Stati Uniti e vende, tra negozi e on line, circa 300 milioni di libri all’anno, proponendo oltre centomila incontri per il pubblico. Il tutto partendo da una piccola attività in Illinois. Correva l’anno 1873 quando Charles Barnes apriva la sua stamperia di libri a Wheaton, non molto lontano da Chicago. La prima libreria fu opera del figlio William nel 1917 a New York, in partnership con G. Clifford Noble. Nel 1971 Leonard Riggio, libraio, ex commesso di un university bookstore, ossessionato dal servizio al cliente come l’altro «golden boy» Jeff Bezos, rileva la compagnia per farne «the world’s largest bookstore», con 150 mila titoli, iniziando ad espandersi nella regione di New York e di Boston. Nel 1975 l’idea di diventare il primo bookstore degli Stati Uniti a proporre con lo sconto del 40% i best-seller del «New York Times», idea che fu etichettata, all’epoca, come una delle migliore trovate di marketing in campo editoriale. Nel corso degli anni Ottanta, l’espansione continua con l’acquisizione delle 797 librerie della catena Dalton e delle librerie Doubleday (giusto per citarne alcune), subito brandizzate B&N, oltre che con l’apertura capillare di negozi in tutto il Paese.

Convergenze digitali

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Chiara Marchioro

Il workshop Engaging the reader, realizzato per il terzo anno consecutivo dal master Professione editoria con la collaborazione degli studenti di Filologia Moderna dell’Università cattolica di Milano e del Creleb, si è interrogato sul dibattito nel mondo dell’editoria che oppone digitale e cartaceo in un’ottica di divergenza inconciliabile, proponendo al contrario il tema della convergenza come possibile soluzione. Cosa significa convergenza? Compresenza, continuità, confluenza tra ambiente digitale e cartaceo. Se riflettiamo per un momento sulla radice di tutte queste parole troviamo elemento comune: cum ovvero la natura ibrida della comunicazione. Qualcuno di noi conserva ancora l’orario dei treni in borsa? Quanti possiedono un elenco telefonico? Tutti ormai ricorrono al Web per ottenere qualsiasi informazione in tempo reale. «Non lo si può negare: si fruiscono testi su supporti diversi a seconda dell’occasione» ha affermato in apertura Edoardo Barbieri, docente di Storia del libro e direttore del Master Professione Editoria dell’Università cattolica. Andreas Degkwitz, direttore della biblioteca dell’Università Humboldt di Berlino, nel suo intervento Books or bytes or both?, in occasione del simposio internazionale Livros e universidades, suggerisce che davanti all’alternativa tra cartaceo e digitale si possa, in fondo, non scegliere: «Printed materials are still very useful channels to sum up and share research activities in a textual version, but digital platforms are enabling multi-modal formats of publications which printed formats will never be able to integrate». Sembra averlo ben compreso Zanichelli, ormai esempio di editoria scolastica mista. Il direttore editoriale Giuseppe Ferrari, intervenuto alla tavola rotonda Leggere convergenze all’interno di Engaging the Reader, ha raccontato che accanto a iniziative come l’offerta del download gratuito del testo digitale per l’acquisto di ogni edizione cartacea disponibile in versione e-book grazie all’appoggio al portale Scuolabook, la casa editrice si distingue nel panorama italiano per essere all’avanguardia nell’offerta di prodotti editoriali digitali. Da classici e-book a libri per i tablet, con inclusa la funzionalità quaderno, o il Dizionario analogico della lingua italiana da consultare via dispositivi mobili fino a tutorial come Matutor, che ben lungi dal ridursi a mero eserciziario on line, guida nella comprensione delle correzioni grazie a video che spiegano la teoria e tramite un software di valutazione personalizza la scelta degli esercizi proposti.

Di fiera in fiera

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Ginevra Vassi

Dodici fiere, praticamente una al mese: questo, in sintesi, il bilancio di un anno di fiere organizzate, in vario modo, dall’Associazione italiana editori, attraverso Ediser. Anno caratterizzato da una flessione per quanto riguarda il numero degli espositori, ma che, rispetto al precedente, ha visto aumentare il numero delle manifestazioni, passate delle 10 del 2011 alle 12 di quest’anno. Il 2012 si è aperto, a fine gennaio, con la missione alla Fiera del libro di Calcutta, una delle principali dell’India, Paese la cui presenza nei cataloghi delle nostre case editrici, soprattutto per quanto riguarda la narrativa, è cresciuta a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Oggi i lettori italiani possono scegliere tra un’offerta, proposta da 36 case editrici, di 169 titoli di 70 autori indiani. L’editoria indiana rappresenta lo 0,2% delle traduzioni di un’editoria come quella italiana in cui il 20% dei titoli pubblicati provengono da altre editorie. È cresciuta inoltre, anche se i numeri restano piccoli, la vendita dei diritti di libri italiani verso il mercato indiano: raddoppiano nella seconda metà dell’ultimo decennio e lasciano soprattutto intravedere un trend di crescita costante in assenza di politiche coordinate di intervento. In occasione della partecipazione dell’Italia in qualità di Paese ospite d’onore e a completamento del ricco programma letterario organizzato dall’Ambasciata d’Italia di New Delhi e dal Consolato d’Italia a Calcutta, l’Aie ha organizzato una missione di operatori grazie al contributo del Ministero Affari Esteri e alla collaborazione del Consolato d’Italia a Calcutta, dell’ex Ice e della Publishers & Booksellers Guild. Le sette case editrici presenti hanno potuto presentare una panoramica della nostra editoria sia per tipologia di pubblicazioni – dalla narrativa alla saggistica, dalla letteratura per bambini alla produzione universitaria, ai testi per l’insegnamento dell’italiano – sia per dimensioni, essendoci rappresentanti di piccoli editori specializzati e di grandi gruppi.

Editori e Cina

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Elena Refraschini

Il mercato editoriale cinese è di nuovo sotto i riflettori mondiali. Non solo in seguito all’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Mo Yan (vedi articolo precedente), ma anche dopo il grande e cresciuto interesse suscitato dalla zona cinese alla Fiera di Francoforte. Dopo essere stato Paese Ospite d’Onore alla Buchmesse del 2009, anche quest’anno la Cina ha fatto parlare di sé: la vittoria del Nobel per la letteratura di Mo Yan è stata annunciata l’11 ottobre, mentre due giorni più tardi è stato assegnato dalla fiera a Liao Yiwu, scrittore dissidente ora esiliato in Germania, il premio per la pace. Come sottolinea Zhang Genrui, a capo della sezione tedesca di uno dei gruppi editoriali più importanti d’oriente, il China International Publishing Group (Ciph), se negli ultimi sedici anniera lui a dover inseguire gli editori stranieri e i giornalisti oggi, invece, lo stand a Francoforte ha ospitato continuamente lettori curiosi, editori, agenti, scout e giornalisti. Dai Lan, coordinatore della delegazione cinese alla fiera, afferma che dal 2000 la partecipazione alle manifestazioni internazionali da parte degli editori cinesi è aumentata esponenzialmente: quest’anno erano presenti settanta editori nella delegazione, ma un numero imprecisato ha partecipato come indipendente. Questa massiccia adesione rende manifesto l’interesse degli editori cinesi verso l’esplorazione dei mercati occidentali, che sempre più spesso forniscono libri destinati a diventare best-seller nella Terra di Mezzo; d’altra parte, conferma anche la volontà degli editori di promuovere le proprie opere sul mercato internazionale, interessato ora non soltanto alle narrazioni della Cina tradizionale ma soprattutto a quelle inserite nella vita urbana contemporanea e che affrontano temi più individualistici, come la ricerca dell’anima gemella o del successo lavorativo.

Editori... in catena

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Ester Draghi

I piccoli editori hanno un peso estremamente significativo nelle catene di librerie. Talune lo collocano verso un ammontare dell’80%, altre più sotto, ma è comunque importante per il servizio al cliente. Peso che, pur non traducendosi in un pari valore di vendite, costituisce una ricchezza irrinunciabile. Come fare a tradurre questo patrimonio culturale in una forza in grado di non farsi fagocitare dalla potenza commerciale dei grandi gruppi editoriali per arrivare ai lettori? Ne abbiamo parlato con i buyer di alcune grandi catene di librerie. Qual è il valore della proposta editoriale o dei singoli titoli/autori delle piccole case editrici nell’assortimento? Barbara Lepore (Category Manager presso Librerie Feltrinelli). Se il termine «valore» lo intendiamo in senso culturale e di qualità del servizio reso ai clienti, la risposta è abbastanza ovvia: il valore della proposta di molti piccoli editori e di molti autori pubblicati da queste case editrici è inestimabile. Un assortimento tarato esclusivamente sui grandi gruppi editoriali, sulle sigle maggiori e sugli autori più popolari renderebbe inutile l’esistenza stessa delle librerie, sia indipendenti che di catena, a partire dalle librerie Feltrinelli. Sia chiaro, però, che un criterio di dimensione non è di per sé un criterio di valore. Insomma, non basta essere piccoli per essere anche bravi e «necessari». Un editore può anche essere «piccolo» ma è soprattutto fondamentale che sia un bravo editore. Ossia che oltre a saper scegliere buoni libri e ottimi autori, sappia pubblicarli con la dovuta cura, sappia promuoverli, sappia «parlare» al pubblico e prima ancora ai librai.

Fumetti in rivista

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Intervista a cura di E. Vergine

«Linus» è la rivista che ha contribuito a fare la storia italiana del fumetto. Della storia del genere e delle nuove tendenze abbiamo discusso con Stefania Rumor. La vostra realtà editoriale è presente da lungo tempo nel panorama italiano del fumetto. Possiamo dire che avete contribuito a farne la storia. Stefania Rumor (Direttore di «Linus»). «Linus» esiste da quasi cinquant’anni. È la rivista che prima in Europa ha reso evidente come i fumetti fossero un prodotto narrativo in grado di competere con la letteratura «seria», scardinando l’idea dominante che il fumetto fosse tutto sommato il portato di una sottocultura per bambini. Nell’editoriale del primo numero si afferma: «Questa rivista è dedicata per intero ai fumetti», dove per fumetti s’intende letteratura di buona qualità, senza pregiudizi intellettualistici, mescolando fumetti moderni (i Peanuts) a classici, inediti e quant’altro. L’unico criterio della scelta è quello della qualità di questa «letteratura grafica», definizione che anticipa di due decenni il pensiero di Art Spiegelman e di tutta una serie di autori allora giovani e inediti sul valore della «graphic novel». Anche se, come ho detto, «Linus» è stata in un certo senso la prima rivista ad affermare il valore letterario della «graphic novel», è poi rimasta sostanzialmente fedele alle origini  pubblicando principalmente strisce e scegliendo dunque di rimanere fuori dai giochi editoriali che oggi, a livello italiano come internazionale, ne stanno affermando con forza la presenza negli scaffali delle librerie e nella narrativa contemporanea. È una scelta di politica culturale che rafforza e affianca a sempre nuovi autori americani il meglio delle novità italiane e europee. Ormai certe strisce, penso a Doonesbury o ai nuovi autori spagnoli e italiani, hanno la forza del romanzo breve, insieme all’incisività dell’aforisma.

Il teatro e le lettere

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Laura Novati

Dalle statistiche di IE-Informazioni editoriali del periodo ottobre 2011-settembre 2012 risulta che la produzione di testi teatrali arriva a 254 titoli totali, e che nella classifica dei Top 10 dello stesso periodo, esclusi i classici, troviamo solo tre titoli: Ausmerzen di Marco Paolini, Il dio del massacro di Yasmina Reza e Dio è nero di Dario Fo. La Reza è l’unica drammaturga, per quanto abbia iniziato come attrice: nata a Parigi nel 1959 da padre iraniano e da madre ungherese, entrambi ebrei, che arriva al successo con Conversations après un enterrement, rappresentata nel 1987, Premio Molière come miglior autore, mentre l’opera seconda, La traversée de l’hiver, vince il Molière come miglior spettacolo regionale. Il successo internazionale arriva con Art, 1994, tradotta e rappresentata in oltre trenta lingue. Il dio del massacro è pubblicato da Adelphi nel 2007, ma beneficia del film che ne ha tratto Roman Polanski, Carnage. Un’ipotesi drammaturgica contiene anche l’Iliade scomposta e affidata da Alessandro Baricco a ventun voci, ventun narratori a parlare in fondo di un unico tema, la guerra. Egli, manzonianamente, si riserva un «cantuccio», svelando il senso della sua operazione in due interventi in apertura e chiusura del libro. Più nuova è l’operazione di Ascanio Celestini in pro patria: titolo da orazione, che in effetti Celestini rivolge a Mazzini (come già era il cadavere dell’Italia per Daniele Timpano in Risorgimento Pop), padre della patria in realtà rimosso, esule nell’Italia unita in cui muore a Pisa sotto falso nome. Tutto qui. Dunque, non dobbiamo o non possiamo più parlare di un teatro letterario o di una letteratura teatrale in Italia? E le ragioni di questo progressivo impoverimento del teatro scritto, nel risorgere del teatro di parola affidato a singoli autori-attori?

La ricerca delle radici

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Laura Novati

La cospicua somma di 1,2 milioni di euro del Premio Nobel per la letteratura è stata assegnata nel 2012 a Mo Yan, nato nel 1956 a Gaomi, un intellettuale cittadino di origine contadina. Per la prima volta, dunque, il riconoscimento è andato a un cinese che vive e opera in Cina, dopo che nel 2010 L’Accademia svedese aveva premiato Xiabo con il Premio Nobel per la Pace, suscitando polemiche e un caso diplomatico (dato che Liu Xiabo sta tuttora scontando una condanna a 11 di prigione per aver criticato il sistema). E dopo che nel 2000 aveva premiato Gao Xingjian, che vive in Europa da più di 20 anni e critica apertamente il regime. Mo Yan (è uno pseudonimo, che in cinese significa «Non parlare», il suo vero nome è Guan Moye) è dunque nome-invito alla prudenza e in effetti le critiche che muove alla società e al sistema politico cinese sono spesso indirette, ma non per questo meno scottanti, come nel caso del recente Rane, nel quale mette sotto accusa la politica del figlio unico, in vigore in Cina da oltre 30 anni. Come spesso succede da noi, la nomina crea sorpresa, la fama di Mo Yan essendo affidata soprattutto al successo di Sorgo rosso, film tratto dall’omonimo romanzo da Zhang Yimou, come pure la sceneggiatura di Addio mia concubina. Comunque, è indubbio che, per quanto fondati, questi riconoscimenti obbediscono ad una logica geopolitica a cui sempre più negli ultimi anni la potente Accademia Svedese ha obbedito, dando segnali di orientamento oppure di riconoscimento. Una riprova che i premi servono pur sempre, ancor più se usati bene e con consapevoli mezzi e fini. Mo Yan, di colpo celebrità mondiale, è figlio di una rivoluzione contadina fallita e della discesa al popolo coatta degli anni ’60 e ’70: essa ha costretto il ceto colto a un confronto drammatico col sottosuolo inteso nelle due accezioni: il proprio io profondo e la sfera immensa e sommersa dei subalterni. Il confronto, sostanzialmente negativo, si rifletteva per esempio nella «trilogia dei tre» di Acheng, nato a Pechino nel 1949, che condivise nel corso della Rivoluzione culturale la sorte di migliaia di studenti inviati da Mao Zedong in campagna a lavorare la terra. Tornato a Pechino nel 1978, fu fra gli animatori del gruppo di artisti d’avanguardia che si riuniva intorno alla rivista «Xingxing» («Le stelle»), ma dal 1987 vive a Los Angeles, dove alterna l’attività di scrittore con quella di sceneggiatore.

Leggi lunghe vent'anni

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Dicembre 2012

di Giovanni Peresson

Sono passati poco più di dodici mesi dall’entrata in vigore della legge 128/2011 che interveniva a correggere gli effetti introdotti dalla liberalizzazione di tutte le attività promozionali (legge 248 del 4 agosto 2006), libri inclusi: la così detta «legge Levi». Una legge che rappresentava un «tassello» di un più generale processo di riordino del settore per favorirne lo sviluppo. A cominciare dall’ampliamento della base di lettura. Che è cresciuta (tra 2000 e 2011 del +22,6%, 4,7 milioni di lettori in più in undici anni) anche se l’Italia rimane il mercato linguisticamente più piccolo in Europa tra i primi cinque. Oltre a rappresentare, assieme alla scuola, uno dei maggiori vincoli strutturali ai processi più generali di innovazione e di competizione internazionale del Paese in termini di spread di «capitale umano» rispetto ai Paesi in cui l’indice di lettura dei libri si colloca al 70% mentre il nostro è di 25 punti inferiore. Di una «legge sul libro» si è «tornati» a parlare nei mesi e nelle settimane scorse in occasione della nona edizione del Forum del libro e della lettura (Passaparola) che si è svolto a Vicenza dal 26 al 28 ottobre nel convegno dall’emblematico titolo di «La lettura negli anni dell’emergenza libro: problemi e prospettive». «Tornati» a parlarne abbiamo detto. Perché bisogna ricordare come l’articolo 11 («Disciplina del prezzo dei libri») della legge n. 62 (Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriale e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416) che introduceva per la prima volta in Italia, undici anni fa, la regolamentazione del prezzo di vendita al pubblico, altro non era che l’ex art. 9 di un articolato ben più ampio – e frutto di lunghi anni di lavoro, discussioni, tavoli di lavoro tra Aie, Ali, Anee e Mbca (tutto cominciò nel ’97) – che aveva ben presente non solo la centralità delle politiche di promozione del libro e della lettura (Festa del libro, per dire), di sviluppo delle biblioteche pubbliche e di quelle scolastiche per il futuro del settore (e del Paese). Ma anche di ricerca di formule volte a favorire i processi di ammodernamento delle strutture imprenditoriali che iniziavano a confrontarsi con il digitale, della distribuzione, dell’internazionalizzazione dell’editoria italiana all’estero.

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