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Leggi lunghe vent'anni

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Leggi lunghe vent'anni
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Sono passati poco più di dodici mesi dall’entrata in vigore della legge 128/2011 che interveniva a correggere gli effetti introdotti dalla liberalizzazione di tutte le attività promozionali (legge 248 del 4 agosto 2006), libri inclusi: la così detta «legge Levi». Una legge che rappresentava un «tassello» di un più generale processo di riordino del settore per favorirne lo sviluppo. A cominciare dall’ampliamento della base di lettura. Che è cresciuta (tra 2000 e 2011 del +22,6%, 4,7 milioni di lettori in più in undici anni) anche se l’Italia rimane il mercato linguisticamente più piccolo in Europa tra i primi cinque. Oltre a rappresentare, assieme alla scuola, uno dei maggiori vincoli strutturali ai processi più generali di innovazione e di competizione internazionale del Paese in termini di spread di «capitale umano» rispetto ai Paesi in cui l’indice di lettura dei libri si colloca al 70% mentre il nostro è di 25 punti inferiore. Di una «legge sul libro» si è «tornati» a parlare nei mesi e nelle settimane scorse in occasione della nona edizione del Forum del libro e della lettura (Passaparola) che si è svolto a Vicenza dal 26 al 28 ottobre nel convegno dall’emblematico titolo di «La lettura negli anni dell’emergenza libro: problemi e prospettive». «Tornati» a parlarne abbiamo detto. Perché bisogna ricordare come l’articolo 11 («Disciplina del prezzo dei libri») della legge n. 62 (Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriale e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416) che introduceva per la prima volta in Italia, undici anni fa, la regolamentazione del prezzo di vendita al pubblico, altro non era che l’ex art. 9 di un articolato ben più ampio – e frutto di lunghi anni di lavoro, discussioni, tavoli di lavoro tra Aie, Ali, Anee e Mbca (tutto cominciò nel ’97) – che aveva ben presente non solo la centralità delle politiche di promozione del libro e della lettura (Festa del libro, per dire), di sviluppo delle biblioteche pubbliche e di quelle scolastiche per il futuro del settore (e del Paese). Ma anche di ricerca di formule volte a favorire i processi di ammodernamento delle strutture imprenditoriali che iniziavano a confrontarsi con il digitale, della distribuzione, dell’internazionalizzazione dell’editoria italiana all’estero.
 

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