Le serie sono oggi uno dei format televisivi di maggiore successo, quello cioè che riesce ad aggiudicarsi, sera dopo sera, le più alte percentuali di share anche quando deve competere con i reality o i film in prima visione (Fonte: «Tv key», 291, novembre 2011).
Un fenomeno tanto rilevante che anche registi e produttori cinematografici iniziano a guardare con un occhio diverso le potenzialità che la serialità televisiva offre in termini di opportunità narrative. Sempre più di frequente dietro alle fiction più note, statunitensi o europee, – si pensi
ad Heimat di Edgar Reitz (1981-2006), The Sopranos (1999-2007) o E.R. (1994-2009) – troviamo un impianto narrativo i cui effetti sul pubblico non sono molto diversi da quelli del romanzo ottocentesco o del classico feuilleton a puntate. Veri e propri cicli narrativi, la cui duttilità e adattamento alle regole narrative e commerciali (la pubblicità) consente di realizzare
facilmente delle trasposizioni per la televisione e poi per la vendita nei negozi di home video. Non a caso il segmento «tv series» arriva a circa il 7 % del totale del valore delle vendite e del noleggio di Dvd e Blu Ray (Fonte: Univideo su dati Gfk).
Umberto Eco anni fa aveva proposto due modelli di riferimento. Quello della «saga» e quello della «serie». Quest’ultima è caratterizzata dalla presenza di personaggi fissi (l’ispettore Poirot, Miss Marple, ecc.) che ripetono gli stessi eventi (l’indagine) con minime variazioni (le persone coinvolte, il luogo del delitto ecc.). Nella saga, invece, più personaggi si susseguono e sono al centro di una lunga storia che si ripete sempre uguale (Dallas, ecc.). «Chi però studi con attenzione le strutture narrative della saga si accorge che le vicende, se pure accadono a personaggi diversi e in situazioni diverse, possono essere ridotte ad alcune strutture narrative costanti […]. E questo ci dice che di saghe ce ne sono sempre state, e anche il ciclo della Tavola rotonda era una saga, dove poteva accadere a personaggi diversi come Parsifal o sir Galaad di incontrare cavalieri o castelli incantati assai simili tra di loro» (L’innovazione nel seriale, in Sugli specchi, Milano, Bompiani, 1985).