Ci sono almeno due elementi comuni che attraversano i principali settori dell’industria dei contenuti. Settori che nell’insieme consolidano un fatturato 2011 di 11,003 miliardi di euro derivanti, in buona sostanza, dalla vendita di prodotti al pubblico finale di lettori, appassionati di cinema e di musica o di videogiochi.
Il primo è rappresentato dal digitale. E non solo perché ormai tutte le «filiere» si sono digitalizzate nei loro processi produttivi e distributivi. Incidenze percentuali ancora piccole e tutto sommato modeste rispetto al valore tuttora rappresentato dal «fisico» – con l’eccezione della musica, dove comunque si arriva al 21% – ma che cominciano a farsi intravvedere e misurare: dallo 0,9% dell’e-book, all’1,4% della stampa quotidiana (ma con punte del 3,0% per i gruppi editoriali maggiori in termini di ricavi da abbonamenti alle versioni on line e per mobile o tablet), all’1,8% dell’home video visto direttamente in streaming e in download, al 3,5% delle banche dati b2b professionali, ecc.
Nel complesso il digitale rappresenta oggi, per le aree che abbiamo considerato, un valore attorno (o poco superiore) al 2% del giro d’affari complessivo.
Poco certamente, ma in un mercato dove gli utenti abituali di Internet sono il 25,1% della popolazione (con più di 14 anni).
Il secondo aspetto riguarda i valori negativi che caratterizzano nel 2011 tutti settori di cui nelle pagine successive presentiamo una sintetica scheda: -17,6% l’home entertainment; -10,3% il cinema di sala (esclusi i ricavi connessi); -7,1% quello dei videogiochi; -3,5% quello dei libri (nei canali trade); -3,5% la musica; dal -2,2% al -3,0% quello della stampa quotidiana e periodica.
È in questo senso che la crisi di questi anni assume aspetti non solo quantitativamente nuovi, ma nuovi nella stessa «qualità» delle trasformazioni che la contrazione delle possibilità di spesa induce negli acquirenti. E che sicuramente continuerà in questo 2012 e molto probabilmente anche nel prossimo 2013.