Quando Google lanciò il progetto Book Search alla fine del 2004, Amazon era solo un potente retailer on line, ma pur sempre un retailer, sopravvissuto alla bolla di internet ma che non faceva
ancora profitti; Apple era impegnata nella propria rinascita come produttore di computer e come creatrice di iPod/iTunes, che aveva però solo tre anni di vita; Google era già il motore di ricerca numero uno, ma restava un’agenzia pubblicitaria, e nessuno capiva perché volesse mettere così pesantemente i piedi nel piatto dell’editoria libraria.
Rinfreschiamo i ricordi. Il libro elettronico era letteralmente fermo al palo da cinque anni: Napster era stata bloccata già nel 2001 dopo aver raggiunto quasi 27 milioni di utenti (una cifra che oggi suona come una profezia), ma i siti di file sharing di cui si nutriva iTunes si moltiplicavano e l’editoria non voleva correre il rischio che i libri facessero la fine delle canzoni e, lei stessa, quella dell’industria musicale.
Myspace era nato meno di due anni prima, nell’agosto 2003, e niente faceva presumere che i social network sarebbero diventati quello che sono, soprattutto il loro uso come strumenti di marketing. Facebook come lo conosciamo oggi sarebbe nato solo del 2006, dopo due anni di gestazione nelle università americane; nello stesso anno nasceva Twitter.
I contenuti video erano una frazione interessante ma molto piccola del traffico di internet, You Tube avrebbe visto la luce solo l’anno successivo (2005) per essere acquisito da Google nel 2006. Solo nel 2010 i contenuti video sarebbero diventati oltre il 50% del traffico su internet. (Fonte: «Wired», 2010). In questa situazione l’editoria pensava al futuro digitale come ad una partita potenzialmente mortale dove nessuna strategia era né sicura né vincente. Il campo di gioco era ancora il suo, ma c’erano dei nuovi players.