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Mercato

Dentro e fuori la libreria

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Gabriele Pepi

Capita ormai sempre più spesso di notare sul bancone di farmacie, erboristerie o negozi specializzati in alimentazione naturale, agili libretti quando non volumi veri e propri, dedicati ai temi più disparati dal benessere psico-fisico della persona, alle cure naturali, alla psicologia. Proverbialmente al momento giusto nel posto giusto, finiscono così inaspettatamente sullo scontrino del classico «lettore per caso» che, entrato in negozio per acquistare tutt’altro, si ritrova tra le mani proprio il libro di cui scopre di sentire il bisogno. È la manualistica di divulgazione – cioè quell’eterogeneo insieme di settori sul «fai da te», cucina, gastronomia, guide di viaggio, sport, tempo libero, giochi, ecc. – che sempre più spesso lascia gli scaffali delle librerie per approdare a canali di vendita alternativi capaci di catturare in modo più efficace lo sguardo e l’attenzione del lettore. Se la libreria resta il primo e più importante luogo di acquisto dei libri (con un occhio però alle vendite on line visto che, secondo Nielsen, la manualistica pesa il 14,3% sul canale), non c’è limite ai nuovi canali di vendita che possono rivelarsi, talvolta inaspettatamente, funzionali. Selezionarli non è sempre facile per le case editrici, tanto più che spesso un esercizio commerciale può rivelarsi perfetto per una collana o, addirittura, per una sottocollana ma diventare poco efficace per altri progetti editoriali sviluppati dall’editore. Se infatti in libreria la manualistica si disperde nella miriade di pubblicazioni che quotidianamente arrivano tra le mani dei librai, i punti vendita specializzati offrono maggiori garanzie di visibilità e di riuscita nella difficile sfida di suscitare la curiosità nel lettore. Senza contare che spesso, in sede di bilancio, il fatturato complessivo realizzato dai punti vendita alternativi si rivela più incisivo di quello dei canali tradizionali che sovente nel proprio assortimento non lasciano molto spazio al settore.

Fattore mucca viola

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Paola Sereni

Perché Harry Potter è stato un successo così inarrestabile? Cosa ha reso Angry Birds un best seller di vendite? Come ha fatto Hunger Games a esplodere in America e Fifty Shades of Grey a diventare l’e-book più in voga degli ultimi mesi? Liquidare la questione come esempi di marketing ben riusciti sarebbe forse riduttivo per spiegare questi fenomeni. La base da cui questi quattro successi sono partiti è la stessa: un buon prodotto di partenza. Non si tratta di una valutazione letteraria o stilistica, attenzione, ma piuttosto di un giudizio condiviso dai lettori/utenti di fronte al prodotto. Secondo la fortunata definizione del guru del marketing Seth Godin, non è che il fattore «Mucca viola» ovvero un prodotto – di cui però non è dato conoscere la ricetta – che riesca, per le sue caratteristiche eccezionali e fuori dall’ordinario, a spiccare in un mondo di «mucche ordinarie». In casi come questi, le «P» tradizionali del marketing (prezzo, posizionamento, promozione, pubblicità) non servono infatti: l’unica «P» davvero importante è quella di «Purple cow» ovvero un qualcosa di fenomenale e incredibile che è all’interno del prodotto. Che siano le avventure erotiche di una giovane editor, il futuro distopico di una società, la lotta di alcuni volatili particolarmente astiosi contro mailini affamati o le avventure magiche di un maghetto undicenne, l’elemento fondamentale per creare una comunità attorno ad un libro è la capacità di presa che i testi hanno sull’emotività dei lettori. Creare il coinvolgimento emotivo non è per tutti i libri e, spesso, campagne di marketing accurate e mirate non riescono a creare quello che spontaneamente riesce a mettere insieme il passa parola dei lettori.

I libri della fede

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Giovanni Peresson

L’indagine ha preso in considerazione un campione di 2 mila individui (con più di 18 anni) rappresentativi della popolazione italiana, ed è stata condotta nell’aprile scorso dall’Ipsos di Nando Pagnoncelli all’interno dell’Osservatorio sull’editoria religiosa che Uelci realizza da anni assieme all’Ufficio studi di Aie. Va ricordato come le modalità campionarie, la metodologia adottata da Ipsos non consentono di confrontare questa rilevazione con quelle precedenti di Istat (13,4%>6 anni), o di Nielsen (5%). E quindi siamo in presenza, per ora, di una fotografia, e non tanto di un «filmato» che traccia (e misura) andamenti e tendenze. L’indagine Ipsos stima in un 13,7% (pari a circa 6,9 milioni di persone con più di 18 anni di età) il numero di italiani che negli ultimi 12 mesi dichiarano di aver letto «almeno un libro» di argomento religioso. Una stima molto simile all’ultima pubblicata da Istat, relativa all’anno 2010 (ma relativa alla popolazione con più di 6 anni): 13,4%, che diventerebbe circa un 14,8% se consideriamo soltanto la popolazione maggiorenne.

Scrittura e segno

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Elena Vergine

«Il fumetto è qualcosa che non può essere cancellato, che non sparirà nel nulla e che esisterà sempre per gli appassionati. Per le persone che avranno ancora voglia di seguirlo, ma anche di creare nuove pubblicazioni, materiale originale. Ma il successo, quello vasto, quello in cui tu puoi pensare di avere un pubblico di migliaia o milioni di persone, è una prospettiva totalmente irrealistica» (Antonio Serra, autore di Nathan Never). Spesso snobbato, ingiustamente considerato una lettura superficiale, per ragazzini, inadatto ad affrontare argomenti importanti, il fumetto non muore, anzi. Si scrolla di dosso i pregiudizi superficiali e torna ad affermare la sua forza comunicativa dimostrandosi un settore più vivo che mai. Lo fa al cinema, con il ritorno dei supereroi, spariti per un po’ dalla scena ma mai dimenticati (The Avengers ne è l’ultimo esempio). Lo fa in libreria, esplorando nuovi filoni come il graphic journalism, e in formato digitale dove tornano a incantare capolavori come Corto Maltese di Hugo Pratt ma anche con la nascita di nuove collane che, grazie all’uso dell’inglese e alle nuove tecnologie, hanno un respiro internazionale (si pensi a Tunué). Il fumetto come linguaggio dunque, perfetto per parlare ai bambini (Topolino di Disney lo fa da più di ottant’anni), per raccontare gli orrori della storia (Akira di Katsuhiro Otomo, tanto per fare un esempio), per fare giornalismo (Cronache di Gerusalemme di Guy Delisle), per proporre dei modelli che non indossino per forza maschera e mantello. Ad esempio Becco Giallo punta su Gramsci, Impastato, Pasolini e Olivetti: «Oggi c’è la voglia, il bisogno di ricordare il passato e di recuperare in esso dei modelli che forse nella contemporaneità mancano. Il libro su Adriano Olivetti ha avuto grande successo proprio per questo: perché lui ha delineato un modello che si dimostra tanto più valido in tempi di crisi».

Spostamenti della fede

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Emilio Sarno

Abbiamo visto come in questi mesi le classifiche dei libri più venduti nelle librerie che fanno parte del circuito di rilevazione di Arianna contengono in misura significativa libri di argomento religioso. Nel mese di aprile – per rimanere agli esempi più recenti – erano uno nei Top 20 assoluti del mese, e sei nella classifica di saggistica; a maggio ancora uno nei Top 20 e otto in saggistica. Le stesse classifiche dei libri più venduti nel corso del 2011 vedevano ai primi posti quattro titoli nella classifica generale e dieci di quelli di saggistica. In questo contesto, gli elementi che risaltano dalla consueta indagine che Uelci e l’Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori conducono come osservatorio dell’editoria religiosa permettono di quantificare meglio le dimensioni di un processo che si sta configurando con caratteristiche completamente nuove.

Un 2011 di segni meno

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Emilio Sarno

Ci sono almeno due elementi comuni che attraversano i principali settori dell’industria dei contenuti. Settori che nell’insieme consolidano un fatturato 2011 di 11,003 miliardi di euro derivanti, in buona sostanza, dalla vendita di prodotti al pubblico finale di lettori, appassionati di cinema e di musica o di videogiochi. Il primo è rappresentato dal digitale. E non solo perché ormai tutte le «filiere» si sono digitalizzate nei loro processi produttivi e distributivi. Incidenze percentuali ancora piccole e tutto sommato modeste rispetto al valore tuttora rappresentato dal «fisico» – con l’eccezione della musica, dove comunque si arriva al 21% – ma che cominciano a farsi intravvedere e misurare: dallo 0,9% dell’e-book, all’1,4% della stampa quotidiana (ma con punte del 3,0% per i gruppi editoriali maggiori in termini di ricavi da abbonamenti alle versioni on line e per mobile o tablet), all’1,8% dell’home video visto direttamente in streaming e in download, al 3,5% delle banche dati b2b professionali, ecc. Nel complesso il digitale rappresenta oggi, per le aree che abbiamo considerato, un valore attorno (o poco superiore) al 2% del giro d’affari complessivo. Poco certamente, ma in un mercato dove gli utenti abituali di Internet sono il 25,1% della popolazione (con più di 14 anni). Il secondo aspetto riguarda i valori negativi che caratterizzano nel 2011 tutti settori di cui nelle pagine successive presentiamo una sintetica scheda: -17,6% l’home entertainment; -10,3% il cinema di sala (esclusi i ricavi connessi); -7,1% quello dei videogiochi; -3,5% quello dei libri (nei canali trade); -3,5% la musica; dal -2,2% al -3,0% quello della stampa quotidiana e periodica. È in questo senso che la crisi di questi anni assume aspetti non solo quantitativamente nuovi, ma nuovi nella stessa «qualità» delle trasformazioni che la contrazione delle possibilità di spesa induce negli acquirenti. E che sicuramente continuerà in questo 2012 e molto probabilmente anche nel prossimo 2013.

Book&non

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Giugno 2012

di Lorenza Biava, Ester Draghi e Elena Vergine

Siamo ormai abituati a entrare in librerie sempre più affollate di merceologie di tutti i tipi: dalla cartoleria all’oggettistica elettronica, dai giochi al food alle magliette. I prodotti non-book non sono più un «plus», semmai un «must», come risulta dalle percentuali di incidenza sul fatturato delle librerie che aumentano di anno in anno (nelle librerie di catena si passa da un 10-12% nel 2010 a un 15-17% nel 2011). Una soluzione efficace e redditizia per recuperare quei margini di guadagno che non è possibile ottenere con i soli libri. Prodotti che si configurano come complementari al libro ma, si spera, non alternativi ad esso: al contrario, Marco Mottolese li definisce «Books inspired items». L’ingresso del non-book in libreria (si rimanda, sul sito dell’Istituto Luce, al video Libri, calze e popcorn, 1966) è stato inserito all’interno della generale trasformazione delle attività commerciali, passate dal vendere merci al vendere bisogni. E il bisogno che ci accomuna tutti in quest’epoca frenetica è il tempo. Ma probabilmente il successo del nonbook va oltre il fattore comodità: dipende anche dall’aver reso la libreria uno spazio polivalente, in cui non si fanno solo acquisti ma ci si ferma a sgranocchiare uno snack mentre si sfogliano le pagine dei libri. Abbiamo raccolto i punti di vista di alcuni operatori del settore. (E. Vergine)

C'è app e app

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Giugno 2012

di Cristina Mussinelli

Cosa funziona e cosa no in una buona applicazione per ragazzi? Quali sono le regole da seguire, i canoni da rispettare, gli errori da evitare per sviluppare un prodotto di qualità? Conclusasi la prima edizione del BolognaRagazzi Digital Award, tenutasi quest’anno, possiamo dire che una risposta a queste importanti domande c’è, ed è alla portata di tutti. Infatti, di fronte al difficile compito di selezionare tre finalisti su un totale di 252 applicazioni provenienti da 170 editori di 25 paesi, la giuria internazionale – di cui ho fatto parte insieme a Warren Buckeitner (Children’s Technology Review), Chris Meade (If Book) e André Letria (Pato Lógico Edições) – ha stilato una checklist di 13 domande da porsi per capire se la propria app è veramente valida. La riproponiamo qui di seguito. Siete pronti a mettervi alla prova?

L'accesso remoto

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Giugno 2012

di Giorgio Kutz

Perché l’accesso remoto? Collegarsi in remoto ed avere accesso via web dal proprio computer a un altro era un tempo prerogativa dei camici bianchi degli help desk. In tempi più recenti i programmi per l’accesso remoto si sono moltiplicati e sono oggi largamente diffusi tra i comuni mortali (ancora non moltissimo, per la verità, in Italia). I software che vanno per la maggiore nel mondo sono una decina, di cui solo tre disponibili in lingua italiana. Ma che cosa me ne faccio del controllo remoto, direte voi? Beh, se avete due computer e avete dimenticato il vostro lavoro su uno dei due potete collegarvi per recuperarlo. Ma è soprattutto rivoluzionario l’uso che se ne può fare lavorando in team sullo stesso progetto/prodotto. Abbinato al telefono, o meglio ancora a Skype, l’accesso remoto consente di tagliare con l’accetta tempi morti e spostamenti fisici in molte fasi del processo di produzione redazionale. Si può, ad esempio, mandare in soffitta il pony o il controllo in differita su un file di testo o su un impaginato, controllare l’esito di una ricerca iconografica, l’ultimo giro di bozze, le correzioni last minute prima di andare in stampa. Nell’insieme si riducono drasticamente anche lo spazio per equivoci ed errori nel dialogo a distanza tra redattore, autore e service editoriali.

Lesen in Deutschland

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Giugno 2012

di Alessandra Mutti

Secondo i rapporti The Book Market in Germany e Publishing in Germany. An Overview di E. Fischer e secondo il Branchen Monitor Buch Januar 2012 il mercato editoriale tedesco, con un fatturato annuo di circa 9,7 miliardi di euro, è il più importante a livello europeo. Barometro degli umori del settore è senz’altro la Fiera del Libro di Francoforte con i suoi 7.384 espositori provenienti da 106 paesi e 280.194 visitatori nell’edizione 2011. Tra i temi ricorrenti: gamification, storydrive e, naturalmente, l’e-book. Per quanto riguarda quest’ultimo, l’ingresso sul mercato di nuovi e più sofisticati dispositivi di lettura ha fatto nascere l’aspettativa di un’impennata del mercato di riferimento, e nonostante le iniziali esitazioni anche gli editori e le librerie tradizionali hanno preso atto che il digitale è ormai alle porte. Eppure i numeri non sono stati subito all’altezza delle aspettative. Nel 2010 gli e-book hanno costituito lo 0,5% del fatturato, e nel primo semestre del 2011 il dato è aumentato, attestandosi sullo 0,7%. Dunque il mercato tedesco, coi suoi tempi, continua a orientarsi sempre più verso la svolta digitale.

Lettura e acquisto

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Giugno 2012

di Emilio Sarno

I dati presentati dal Centro per il libro e la lettura (e rilevati da Nielsen, su 3 mila famiglie al mese ruotate all’interno di un panel di 9 mila) confermano i dati sulla lettura presenti nel numero di gennaio del «Giornale della libreria» (pp. 18-19). Ha letto, secondo Istat, «almeno un libro» (non scolastico nei 12 mesi precedenti) il 45,3% della popolazione (con più di 6 anni di età); il 49% secondo Nielsen (ma su un universo di popolazione con più di 14 anni). Un dato – messo in evidenza da pressoché tutte le indagini sulla lettura condotte in questi anni – è che nella fascia 6-11 gli indici di lettura sono più alti dovrebbe spostare quel 49% a valori superiori al 50%. Invece, calano! Su base annua avevamo a partire dai dati Istat un -2,7%. Su base trimestrale, questi di Nielsen, nel confronto terzo trimestre/quarto trimestre 2011 portano a un -11,3%. Se quest’ultimo confronto lo estendiamo dal primo al quarto trimestre il calo si attesta a un -5,4%. 720.000 lettori in meno (>6 anni) da una parte); - 900.000 dall’altra.

New ways to read

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Giugno 2012

di Emilio Sarno

Sulla lettura abbiamo letto di tutto. Eppure continua a mancarci qualcosa. È come se il fenomeno ci sfuggisse nelle sue dimensioni, negli sviluppi che sta assumendo e nelle implicazioni editoriali che presuppone. Non tanto per le sue variabili sociali e politiche (si vedano la recente Costituente per la cultura lanciata dal «Sole 24 ore», domenica 19 febbraio), ma soprattutto per le dimensioni che si vanno a intrecciare con la riprogettazione stessa dei prodotti e dei contenuti editoriali di cui la carta (e la lettura a partire dalla pagina e dal libro comprato in libreria) iniziano a costituire una (ma solo una) delle forme di accesso ai contenuti. Un’indicazione stimolante in questa direzione ci proviene da una recente indagine realizzata da Pew Research Center (The rise of e-reading) che prende in esame la lettura negli Stati Uniti – e quindi nel mercato che (con le dovute cautele) sembra anticipare fenomeni che poi si vanno diffondendo e declinando in altri Paesi/mercati – da più punti di vista convergenti. In quest’ottica poco importano (o solo relativamente) le metodologie di campionamento e di conduzione d’indagine. Piuttosto diventa centrale l’approccio a cui si guarda al fenomeno. Anzi. È la stessa diffusione accanto al libro di device dedicati che obbligano a esaminare in modo nuovo la lettura (di libri).

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