Siamo ormai abituati a entrare in librerie sempre più affollate di merceologie di tutti i tipi: dalla cartoleria all’oggettistica elettronica, dai giochi al food alle magliette. I prodotti non-book non sono più un «plus», semmai un «must», come risulta dalle percentuali di incidenza sul fatturato delle librerie che aumentano di anno in anno (nelle librerie di catena si passa da un 10-12% nel 2010 a un 15-17% nel 2011).
Una soluzione efficace e redditizia per recuperare quei margini di guadagno che non è possibile ottenere con i soli libri. Prodotti che si configurano come complementari al libro ma, si spera, non alternativi ad esso: al contrario, Marco Mottolese li definisce «Books inspired items».
L’ingresso del non-book in libreria (si rimanda, sul sito dell’Istituto Luce, al video Libri, calze e popcorn, 1966) è stato inserito all’interno della generale trasformazione delle attività commerciali, passate dal vendere merci al vendere bisogni. E il bisogno che ci accomuna tutti in quest’epoca frenetica è il tempo. Ma probabilmente il successo del nonbook va oltre il fattore comodità: dipende anche dall’aver reso la libreria uno spazio polivalente, in cui non si fanno solo acquisti ma ci si ferma a sgranocchiare uno snack mentre si sfogliano le pagine dei libri. Abbiamo raccolto i punti di vista di alcuni operatori del settore. (E. Vergine)