Il tuo browser non supporta JavaScript!
Vai al contenuto della pagina

Ediser

Biblioteche più tech

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Elena Refraschini

Non è un periodo facile per le biblioteche nel mondo: in un’epoca in cui il mercato librario è destinato ad essere sempre più popolato da contenuti digitali, non sono in pochi a chiedersi se le biblioteche riusciranno a ritagliarsi un loro posto nel futuro. I professionisti del settore sono chiamati a rispondere a domande cruciali: come preservare l’importanza delle biblioteche? Come far sì che incontrino – oggi e domani – i bisogni in costante evoluzione dei propri utenti? Si cercano risposte in seminari, conferenze, incontri e progetti. L’attenzione degli stakeholder è concentrata, naturalmente, sull’evoluzione della digitalizzazione del patrimonio fisico – culturale, artistico – mondiale: un panorama in continuo movimento, animato da diversi progetti nazionali e internazionali. In principio, a dominare il settore delle digitalizzazioni fu Google che, grazie alla vastità delle proprie risorse, iniziò nel 2004 a scannerizzare e indicizzare milioni di libri; in seguito, si implementarono svariati progetti, in nazioni diverse e con obiettivi differenti, legati anche a istituzioni pubbliche. Uno sforzo comunitario, da questa parte dell’oceano, è rappresentato dal portale Europeana (operativo dal 2009), che mira a conservare digitalmente il patrimonio librario e artistico europeo. L’onda del cambiamento, tuttavia, non si esaurisce qui. Anche le biblioteche fisiche dovranno cambiare: nella loro architettura, nei loro servizi, nella loro offerta e immagine. Le modalità di consumo delle informazioni cambiano repentinamente, e bisogna che le biblioteche restino al passo per continuare ad essere un luogo repositorio di conoscenza.

Bignami forever

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Ginevra Vassi

Quali strumenti usano oggi gli studenti per ripassare? Quali sono gli espedienti più efficaci per il ripasso dell’ultimo minuto? All’epoca delle app che permettono di tradurre istantaneamente versioni di latino e verificare le soluzioni di equazioni e derivate, c’è ancora spazio per i Bignami? Dopo oltre ottant’anni dalla sua fondazione, i Bignami continuano a rappresentare per generazioni di studenti un punto di riferimento imprescindibile per lo studio. Anna Bignami racconta come è nata e come si è sviluppata la casa editrice che ha salvato milioni di studenti dagli esami di riparazione: «L’idea della casa editrice è stata dello zio Ernesto, professore di Lettere al Liceo Parini. Preparava a casa i riassunti delle lezioni, sintetizzando i concetti principali. È nato tutto per andare incontro ai suoi studenti che hanno apprezzato il suo lavoro al punto da far girare la voce tra tutte le classi dell’istituto. Presto infatti altri hanno iniziato a richiedere delle copie: la svolta è stata quando gli alunni, per una ricorrenza, hanno realizzato un libro con tutti gli appunti del professore. Per comodità, quindi, si è poi deciso di stampare: far fronte alle richieste che si stavano accumulando era diventato altrimenti impossibile. La casa editrice è nata ufficialmente nel 1931 con i primi testi di letteratura, latino e greco. La casa editrice nel corso degli anni ha cercato di mantenere gli stessi valori iniziali, ossia la voglia di andare incontro ai ragazzi».

Cavalcare l'onda

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Laura Re Fraschini

Meglio cavalcare l’onda piuttosto che esserne travolti: questo deve essere stato il pensiero di piccoli e grandi editori di fronte all’avanzata del self-printing che, prima oltreoceano, poi nel vecchio continente, si è conquistato uno spazio sempre maggiore sullo scenario editoriale. Cosa fare? Combattere il potenziale avversario o stipulare un’alleanza? Numerose sono le case editrici che, scegliendo la seconda opzione, si sono rimboccate le maniche per reinventarsi un ruolo in una realtà che sembra differenziarsi dal passato proprio per la pretesa di fare a meno di loro. Da qui il fiorire, sullo scenario editoriale italiano, di piattaforme che offrono i propri servizi ai potenziali scrittori, per aiutarli a pubblicare e pubblicizzare le loro opere: Feltrinelli con Kataweb e Scuola Holden hanno dato vita a Ilmiolibro, mentre Simplicissimus Book Farm ha fondato Narcissus. Queste realtà si sono affiancate ad altre che già popolavano la rete: più che decennale è l’esperienza del Gruppo Messaggerie che, con Lampidistampa, dal 1998 offre ad aspiranti autori un servizio di print on demand, rivolto sia a chi intende stampare un testo per uso personale sia, con la collana Ti Pubblica, a chi punta a una pubblicazione. A piattaforme spalleggiate da editori si aggiungono iniziative indipendenti, come la nostrana Youcanprint, nata nel 2007, o la canadese Lulu, fondata nel 2002 e giunta in Italia nel 2006, che è divenuta un’istituzione nel settore, con pìù di un milione di autori pubblicati, provenienti da più di 200 paesi. La sua comparsa sul mercato editoriale italiano lo ha inserito in una prospettiva internazionale, a cui ha dato un ulteriore contributo il recente ingresso in scena di un altro colosso, Amazon, che con il servizio di Kindle Direct Publishing si pone come interlocutore anche per il self-printing. Sono numerosi dunque gli attori in scena, tanto da rendere difficile, per un autore desideroso di autopubblicarsi, la scelta tra uno e l’altro. Quali caratteristiche differenziano le piattaforme?

Dentro e fuori la libreria

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Gabriele Pepi

Capita ormai sempre più spesso di notare sul bancone di farmacie, erboristerie o negozi specializzati in alimentazione naturale, agili libretti quando non volumi veri e propri, dedicati ai temi più disparati dal benessere psico-fisico della persona, alle cure naturali, alla psicologia. Proverbialmente al momento giusto nel posto giusto, finiscono così inaspettatamente sullo scontrino del classico «lettore per caso» che, entrato in negozio per acquistare tutt’altro, si ritrova tra le mani proprio il libro di cui scopre di sentire il bisogno. È la manualistica di divulgazione – cioè quell’eterogeneo insieme di settori sul «fai da te», cucina, gastronomia, guide di viaggio, sport, tempo libero, giochi, ecc. – che sempre più spesso lascia gli scaffali delle librerie per approdare a canali di vendita alternativi capaci di catturare in modo più efficace lo sguardo e l’attenzione del lettore. Se la libreria resta il primo e più importante luogo di acquisto dei libri (con un occhio però alle vendite on line visto che, secondo Nielsen, la manualistica pesa il 14,3% sul canale), non c’è limite ai nuovi canali di vendita che possono rivelarsi, talvolta inaspettatamente, funzionali. Selezionarli non è sempre facile per le case editrici, tanto più che spesso un esercizio commerciale può rivelarsi perfetto per una collana o, addirittura, per una sottocollana ma diventare poco efficace per altri progetti editoriali sviluppati dall’editore. Se infatti in libreria la manualistica si disperde nella miriade di pubblicazioni che quotidianamente arrivano tra le mani dei librai, i punti vendita specializzati offrono maggiori garanzie di visibilità e di riuscita nella difficile sfida di suscitare la curiosità nel lettore. Senza contare che spesso, in sede di bilancio, il fatturato complessivo realizzato dai punti vendita alternativi si rivela più incisivo di quello dei canali tradizionali che sovente nel proprio assortimento non lasciano molto spazio al settore.

Fattore mucca viola

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Paola Sereni

Perché Harry Potter è stato un successo così inarrestabile? Cosa ha reso Angry Birds un best seller di vendite? Come ha fatto Hunger Games a esplodere in America e Fifty Shades of Grey a diventare l’e-book più in voga degli ultimi mesi? Liquidare la questione come esempi di marketing ben riusciti sarebbe forse riduttivo per spiegare questi fenomeni. La base da cui questi quattro successi sono partiti è la stessa: un buon prodotto di partenza. Non si tratta di una valutazione letteraria o stilistica, attenzione, ma piuttosto di un giudizio condiviso dai lettori/utenti di fronte al prodotto. Secondo la fortunata definizione del guru del marketing Seth Godin, non è che il fattore «Mucca viola» ovvero un prodotto – di cui però non è dato conoscere la ricetta – che riesca, per le sue caratteristiche eccezionali e fuori dall’ordinario, a spiccare in un mondo di «mucche ordinarie». In casi come questi, le «P» tradizionali del marketing (prezzo, posizionamento, promozione, pubblicità) non servono infatti: l’unica «P» davvero importante è quella di «Purple cow» ovvero un qualcosa di fenomenale e incredibile che è all’interno del prodotto. Che siano le avventure erotiche di una giovane editor, il futuro distopico di una società, la lotta di alcuni volatili particolarmente astiosi contro mailini affamati o le avventure magiche di un maghetto undicenne, l’elemento fondamentale per creare una comunità attorno ad un libro è la capacità di presa che i testi hanno sull’emotività dei lettori. Creare il coinvolgimento emotivo non è per tutti i libri e, spesso, campagne di marketing accurate e mirate non riescono a creare quello che spontaneamente riesce a mettere insieme il passa parola dei lettori.

I libri della fede

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Giovanni Peresson

L’indagine ha preso in considerazione un campione di 2 mila individui (con più di 18 anni) rappresentativi della popolazione italiana, ed è stata condotta nell’aprile scorso dall’Ipsos di Nando Pagnoncelli all’interno dell’Osservatorio sull’editoria religiosa che Uelci realizza da anni assieme all’Ufficio studi di Aie. Va ricordato come le modalità campionarie, la metodologia adottata da Ipsos non consentono di confrontare questa rilevazione con quelle precedenti di Istat (13,4%>6 anni), o di Nielsen (5%). E quindi siamo in presenza, per ora, di una fotografia, e non tanto di un «filmato» che traccia (e misura) andamenti e tendenze. L’indagine Ipsos stima in un 13,7% (pari a circa 6,9 milioni di persone con più di 18 anni di età) il numero di italiani che negli ultimi 12 mesi dichiarano di aver letto «almeno un libro» di argomento religioso. Una stima molto simile all’ultima pubblicata da Istat, relativa all’anno 2010 (ma relativa alla popolazione con più di 6 anni): 13,4%, che diventerebbe circa un 14,8% se consideriamo soltanto la popolazione maggiorenne.

La quarta dimensione

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Elena Vergine

Spesso, quando si parla di fumetto, si tende a tener conto solo dell’universo editoriale librario dimenticando l’altrettanto importante galassia dei prodotti di contorno (games, action figures, gadgets, e via dicendo). Nel settore, il modello di maggior successo e che più ha evidenziato capacità di pensare un prodotto editoriale in maniera trasversale è certamente quello del manga giapponese che ha fatto della «transmedialità» la propria parola d’ordine ben prima di noi occidentali. Tuttavia, esempi virtuosi di produzione di gadgettistica legata al fumetto li abbiamo anche noi europei. Abbiamo chiesto a Leonello Di Fava (responsabile comunicazione di Pan Distribuzione) di guidarci alla scoperta di questo mondo ignoto (o ignorato) sotto il profilo editoriale. «L’andamento del non book è particolarmente discontinuo in fumetteria, e tra un mese e l’altro può variare di parecchi punti percentuali, secondo l’appeal dei brand e dei prodotti presentati. In fumetteria, in linea di massima, il non book è considerato più un servizio al cliente che un vero e proprio business rispetto ad altre tipologie di prodotto, fumetto in primis» – concetto, quest’ultimo, che i librai confermano: il non-book è considerato un mezzo in più per arricchire il proprio assortimento anche se spesso si rivela un fattore non secondario per percentuale di fatturato. Tra i non-book pensati per il mercato italiano Pan punta su prodotti come «giochi di carte, giochi da tavolo, articoli di abbigliamento, calendari: un catalogo di prodotti molto vario insomma. La scelta di un prodotto piuttosto che un altro dipende ovviamente dalla forza percepita della licenza, dall’andamento del mercato specifico e dalla ricettività dei canali di distribuzione. C’è anche da tenere in considerazione il tema stesso della licenza e la questione annessa della libertà che viene lasciata dal detentore dei diritti per l’impiego di property specifiche».

Lingua+lingue

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Lorenza Biava

Dalla collaborazione con partner esteri, preferita dalle aziende più piccole, alla delocalizzazione di attività di produzione o di commercializzazione, internazionalizzare sembra essere la parola d’ordine per moltissime realtà produttive italiane. Secondo l’ultima indagine realizzata dalla Gidp, l’associazione nazionale dei direttori delle risorse umane, la perfetta conoscenza di una lingua (la predilige quasi il 27% dei responsabili), al momento dell’assunzione di un neolaureato, conta più della motivazione (19,3%), di un’esperienza di lavoro negli anni dell’università (5%) e del conseguimento di un master (8%). La conoscenza di una o più lingue è quindi determinante nelle assunzioni dei neolaureati, almeno nelle imprese medio grandi ovvero quelle che oggi più facilmente assumono. Un fenomeno sempre più consistente anche perché, nel novero delle imprese medio grandi (in Italia sono circa il 10%), il peso delle multinazionali nell’ultimo triennio è molto cresciuto. Ma perché sapere le lingue è così importante per il proprio futuro professionale? La parola d’ordine in questo caso è employability: conoscere le lingue rappresenterebbe secondo gli uffici di selezione del personale una garanzia della versatilità di un candidato e della sua capacità di adattarsi ad un mondo del lavoro sempre più globalizzato. Oltre alle lingue tradizionali come l’inglese o il francese, resta alta anche la richiesta per il tedesco, che si conferma una lingua importante anche se in proporzione poco studiata in quanto relativamente difficile, mentre cresce quella per il mandarino, il cantonese, il russo e per le altre lingue dei Paesi emergenti che abilitano a lavorare sul filone dell’internazionalizzazione delle imprese italiane.

Scrittura e segno

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Elena Vergine

«Il fumetto è qualcosa che non può essere cancellato, che non sparirà nel nulla e che esisterà sempre per gli appassionati. Per le persone che avranno ancora voglia di seguirlo, ma anche di creare nuove pubblicazioni, materiale originale. Ma il successo, quello vasto, quello in cui tu puoi pensare di avere un pubblico di migliaia o milioni di persone, è una prospettiva totalmente irrealistica» (Antonio Serra, autore di Nathan Never). Spesso snobbato, ingiustamente considerato una lettura superficiale, per ragazzini, inadatto ad affrontare argomenti importanti, il fumetto non muore, anzi. Si scrolla di dosso i pregiudizi superficiali e torna ad affermare la sua forza comunicativa dimostrandosi un settore più vivo che mai. Lo fa al cinema, con il ritorno dei supereroi, spariti per un po’ dalla scena ma mai dimenticati (The Avengers ne è l’ultimo esempio). Lo fa in libreria, esplorando nuovi filoni come il graphic journalism, e in formato digitale dove tornano a incantare capolavori come Corto Maltese di Hugo Pratt ma anche con la nascita di nuove collane che, grazie all’uso dell’inglese e alle nuove tecnologie, hanno un respiro internazionale (si pensi a Tunué). Il fumetto come linguaggio dunque, perfetto per parlare ai bambini (Topolino di Disney lo fa da più di ottant’anni), per raccontare gli orrori della storia (Akira di Katsuhiro Otomo, tanto per fare un esempio), per fare giornalismo (Cronache di Gerusalemme di Guy Delisle), per proporre dei modelli che non indossino per forza maschera e mantello. Ad esempio Becco Giallo punta su Gramsci, Impastato, Pasolini e Olivetti: «Oggi c’è la voglia, il bisogno di ricordare il passato e di recuperare in esso dei modelli che forse nella contemporaneità mancano. Il libro su Adriano Olivetti ha avuto grande successo proprio per questo: perché lui ha delineato un modello che si dimostra tanto più valido in tempi di crisi».

Sistema scuola

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Paola Sereni

La parascolastica cambia pelle ma la scuola rimane un sistema complesso che si affida a un modello didattico consolidato da secoli di esperienza. I cambiamenti, dal digitale all’uso della rete, non sono – e non possono – dunque essere immediati. Ne parliamo con alcuni degli editori maggiormente impegnati nel settore.

Speak up for libraries

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Elisa Molinari

13 marzo, Parlamento di Londra: sono state oltre trecento le persone riunitesi per difendere le biblioteche inglesi minacciate dal piano di austerità del governo, imposto nel 2010 alle collettività locali. L’obiettivo della giornata? Incontrare i membri del Parlamento e presentare un’istanza per la causa delle biblioteche. Professionisti e militanti hanno risposto all’appello della coalizione di sei organismi che avevano deciso per la prima volta di unire le forze e organizzare per il 13 marzo questa mobilitazione sotto lo slogan di «Speak up for libraries». Nonostante la delusione di fine giornata, la petizione depositata portava la firma di oltre 70.000 persone. Essa elenca i punti sui quali gli aderenti all’appello si augurano di vedere il governo impegnarsi, in particolare il rafforzamento della legge che obbliga le collettività locali a fornire un servizio bibliotecario completo ed efficace e l’elaborazione di un piano nazionale a lungo termine. Nell’ottobre 2010 era stato infatti pubblicato il Comprehensive spending review, il rapporto nel quale il governo britannico fissava per quattro anni la ripartizione delle spese pubbliche e annunciava la riduzione dei crediti attribuiti alle collettività locali (ormai limitate al 8,9% del loro bilancio). I dati forniti dalla Cipfa (Chartered Institute of Public Finance and Accountancy) sulle biblioteche per il 2010/2011 parlano chiaro: il 10% delle biblioteche pubbliche britanniche hanno chiuso o sono prossime alla chiusura.

Spostamenti della fede

rivista: Giornale della Libreria

fascicolo: Luglio-Agosto 2012

di Emilio Sarno

Abbiamo visto come in questi mesi le classifiche dei libri più venduti nelle librerie che fanno parte del circuito di rilevazione di Arianna contengono in misura significativa libri di argomento religioso. Nel mese di aprile – per rimanere agli esempi più recenti – erano uno nei Top 20 assoluti del mese, e sei nella classifica di saggistica; a maggio ancora uno nei Top 20 e otto in saggistica. Le stesse classifiche dei libri più venduti nel corso del 2011 vedevano ai primi posti quattro titoli nella classifica generale e dieci di quelli di saggistica. In questo contesto, gli elementi che risaltano dalla consueta indagine che Uelci e l’Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori conducono come osservatorio dell’editoria religiosa permettono di quantificare meglio le dimensioni di un processo che si sta configurando con caratteristiche completamente nuove.

Inserire il codice per il download.

Inserire il codice per attivare il servizio.