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Giugno 2013

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Giugno 2013
Fascicolo digitale

La rivista

Biblioteche d'eccellenza
di Interviste a cura di P. Sereni
 
Abstract
Una recente indagine AIE disponibile nell’e-book La costellazione dei buchi neri. Rapporto sulle biblioteche scolastiche in Italia (2013), ha messo in luce lo stato delle infrastrutture per la lettura nella scuola italiana, con risultati spesso desolanti: una disponibilità pari a 0,1 libri nuovi per studente e una spesa media annua per acquisto di libri per alunno si assesta attorno a 0,68 euro. Troppo poco per formare i lettori di domani. All’interno di un panorama poco incoraggiante, ci sono anche situazioni di eccellenza. Ne abbiamo individuate quattro.
Chi mi ama mi segua
di Elisa Molinari
 
Abstract
Perchè amo Twitter. Questo il titolo di uno degli articoli di Tim O’Reilly, acclamato guru del Web 2.0 sul social network lanciato nel 2006 che oggi può contare oltre 500 milioni di iscritti nel mondo e oltre 200 milioni di utenti attivi che effettuano almeno un accesso al mese. Perché amare Twitter? Per la sua semplicità di utilizzo, perché può essere usato comodamente in mobilità, perché si evolve velocemente e perché in un certo senso funziona come le relazioni personali ovvero secondo la logica del «Chi mi ama, mi segua». La sua caratteristica fondamentale? La brevità. Ogni tweet, ogni cinguettio, ha una lunghezza massima di 140 caratteri. Il nome Twitter deriva infatti dal verbo inglese «to tweet», cinguettare, termine tecnico per indicare l’aggiornamento del servizio. Per capire l’influenza di questo social network, basta chiedere all’Amc, l’emittente televisiva statunitense che a partire dal 2007 trasmette Mad Men, l’acclamata serie pluripremiata prodotta da Lionsgate Television. Mad Men racconta storie d’affari e sentimenti ambientati in un’agenzia pubblicitaria newyorkese negli anni Sessanta. La sua comunicazione è stata affidata a un sistema incentrato sul Web, con un sito ufficiale e diversi giochi che hanno accresciuto la familiarità del pubblico con i personaggi della serie al punto che l’audience, a sua volta, ha contaminato il Web creando su Twitter finti profili dei propri beniamini twittando in nome di @don_draper e @peggyolson. Il risultato? Migliaia di utenti hanno dato vita a un’azione virale incontrollabile e a un successo tale da convincere la stessa Amc, intervenuta inizialmente per censurare il fenomeno sfuggito al controllo, a tornare sui propri passi e a ridare la voce ai propri personaggi tramite i cinguetii di fan appassionati. I social network, Twitter in particolare, sembrano ormai arrivati a un punto in cui la definizione di «nuovi mezzi di comunicazione» stona con una presenza, una diffusione e un’autorevolezza con cui è fondamentale imparare a fare i conti. E le case editrici italiane? Qual è il loro rapporto con Twitter?
Cucina global
di Lorenza Biava
 
Abstract
L’invasione di mestoli e tegami che impazza in tv, sulla rete, tra i blogger e, non ultimo, anche in libreria pare non essersi ancora esaurita. Chef più o meno biliosi, illustri sconosciuti portati alla ribalta dalla rete o dai talent stile Masterchef in cui sguazzano tanto la tv generalista quanto quella satellitare, grandi nomi dell’arte culinaria internazionale e giornalisti prestati ai fornelli stanno vivendo il loro momento di gloria in libreria dando vita ad una moda che per il momento ha portato ai piani alti delle classifiche più di un fenomeno letterario. Ma se allarghiamo lo sguardo sul panorama della produzione di libri di cucina internazionale ci accorgiamo subito che la produzione italiana che – non possiamo negarlo – non manca certo di prodotti e di editori di altissima qualità, non spicca particolarmente nel vasto mercato della compravendita dei diritti editoriali. Per quale motivo? Ne abbiamo parlato con Edouard Cointreau, presidente della Paris Cookbook Fair e promotore dei Gourmand World Cookbook Awards, il più importante contest internazionale di libri di cucina.
Distribuire il non-book
di Interviste a cura di L. Biava e S. Baccarin
 
Abstract
Cosa cercano i lettori in libreria? I libri, ovviamente, ma non solo. Quello che li spinge ad entrare in un punto vendita fisico è sempre più la ricerca di un servizio attento ma anche di quella capacità di restare stupire da oggetti inconsueti, ricercati e capaci di raccontare una storia o, meglio, di tramettere un’esperienza. Come arrivano questi prodotti in libreria? Ne parliamo con Messaggerie Libri e Rcs.
Editoria verticale
di Edward Nawotka
 
Abstract
Dall’inizio dell’anno ho volato per più di cinquantamila miglia per partecipare a più di una decina di fiere, eventi letterari e conferenze sull’editoria. Abito a Houston, negli Usa, vicino al confine con il Messico. Talvolta però mi sembra che la mia vera casa sia il sedile vicino al finestrino del pullmino in cui aspetto di imbarcarmi sull’aereo, dove finalmente potrò aprire il mio Mac e occuparmi della corrispondenza con i collaboratori di «Publishing Perspectives», il giornale che dirigo e curo quotidianamente, sparsi in giro per il mondo. Il bello per me arriva quando ho finito di lavorare e posso prendere il mio ereader o libro, spesso messomi in mano con impellenza da un editore pressante, e iniziare a leggere. In questo senso sono fortunato: non resto mai a corto di cose nuove e interessanti da leggere. Sino ad ora quest’anno sono intervenuto come relatore due volte in Italia – a Milano e a Bologna – e anche a New York, Stoccolma, Londra, Parigi, Berlino e Abu Dhabi. I miei prossimi viaggi mi porteranno a Rio de Janeiro, Lviv, Guadalajara, San Francisco, Melbourne e, naturalmente, Francoforte, alla capostipite di tutte le fiere del libro, la Fiera del Libro di Francoforte. Ognuno di questi posti presenta le sue attrattive particolari e diverse culture in campo editoriale. Ma c’è un elemento in comune: tutti, dappertutto, cercano di pensare ai modi migliori per raggiungere i lettori. E, ora più che mai, ciò significa andare dritti al consumatore, o «D2C» [Direct To Consumer n.d.t.]. Per anni gli editori hanno considerato il loro consumatore principale, al contrario di quanto ci si aspetterebbe, non la persona che compra il libro, se lo porta a casa, lo mette sul comodino e lo legge comodamente ogni sera. No, per gli editori il consumatore principale era il responsabile acquisti della libreria, quello che sceglieva dai cataloghi e riempiva gli scaffali di (si spera) grandi quantità di novità librarie.
Il senso del cibo
di Giovanni Peresson
 
Abstract
Quelle che erano le pratiche alimentari e conviviali del passato, anche quelle di tutti i giorni, erano inserite in un rigido palinsesto, ricco di codici. Codici sia individuali (l’osservazione della preparazione del cibo, la scrittura del «ricettario di casa», ecc.) sia sociali (dal pranzo domenicale, al pic-nic negli anni Sessanta, ecc.). La stagionalità a sua volta segnava il calendario e i ritmi dei piatti domestici, come la geografia – ancor più della «letteratura italiana» come Ezio Raimondi ci ha insegnato (Storia e geografia dell’Italia letteraria) – dei piatti e degli ingredienti e della loro variantistica territoriale, anche quella micro-geografica. Così come il preparare la tavola «per assenza» finiva per trovare sintesi iconiche che – dal piatto di pastasciutta di Un americano a Roma (1954) alla pasta e fagioli de I soliti ignoti (1958) – racchiudevano, ancora alle soglie del boom economico, la pratica quotidiana se non della «fame» (atavica per sua natura) quantomeno della scarsità, della parsimonia, del riutilizzo nel piatto del giorno dopo. Piatti che narravano di storie di famiglia (oltre a geografie interne al Paese, di migrazioni anche secolari), dichiaravano il censo di appartenenza di chi li cucinava e serviva, marcavano il territorio di provenienza, il grado di appartenenza religiosa e di fede politica. I cibi della festa, il consumo collettivo, le evocazioni territoriali erano storie dal forte impatto formativo. Formativo non solo nell’apparecchiamento del piatto, ma formativo nei gusti e nei sapori, negli ingredienti e nella nominazione dei prodotti.
L'importanza di leggere
di Giovanni Peresson
 
Abstract
I dati sulla lettura si possono anche guardare a rovescio. Se nel 2012 leggeva (almeno un libro) il 46,0% degli italiani, significa che il 54,0% non aveva letto alcun libro. Quando si parla di lettura si ragiona sul secondo numero dopo la virgola. Anche se, a ragion del vero, dal 41,9% del 1998 si è passati al 46,0% di oggi. Sono 3,2 milioni di lettori in più. Tradotti in crescita su 14 anni raggiungono un valore importante (+13,9%), ma che è pari a uno 0,99% di crescita media annua (229 mila lettori in più all’anno), un po’ pochi. Una crescita avvenuta più per adeguamenti della struttura imprenditoriale e della filiera che per ragioni e politiche istituzionali. Rinnovamento dell’offerta, riorganizzazione dei canali di vendita e del layout, del servizio ai clienti, articolazione diversa delle politiche editoriali e di prezzo. Possiamo accontentarci? Certo che no. Perché queste attività delle imprese devono potersi sostanziare su basi che si chiamano «politiche culturali» e «politiche per la lettura».
La notte dei libri
di Intervista a cura di E. Vergine
 
Abstract
Lo scorso anno, il 21 giugno, si è tenuta la prima edizione di Letti di Notte, la manifestazione di promozione della lettura ideata da Marco Zapparoli (Marcos y Marcos) e Patrizio Zurru (Libreria Piazza Repubblica di Cagliari). L’iniziativa ha coinvolto migliaia di lettori che hanno partecipato alle attività organizzate dalle e nelle librerie, molte delle quali collegate tra loro via Skype, per celebrare insieme il piacere della lettura: spaghettate in libreria, tornei letterari, laboratori di scrittura per bambini, maratone di lettura, passeggiate sotto le stelle in compagnia di librai ed editori, questi eventi (e tanti altri ancora) hanno illuminato la prima notte bianca delle librerie italiane. A fare quadrato attorno al libro nel 2012 sono state 50 librerie – molte delle quali hanno registrato delle vendite «da Natale» – e 12 editori. Quest’anno gli editori sono triplicati, mentre librerie e biblioteche salgono a 100, alcune delle quali all’estero. Abbiamo chiesto a Marco Zapparoli di raccontarci la genesi di Letti di Notte, la sua particolarità, i punti di forza.
Lettura trendy
di Marianna Albini
 
Abstract
Per quei lettori che finiscono un romanzo e si guardano attorno stupiti e disorientati all’idea di non avere nessuno con cui commentarne il finale, è in arrivo una buona notizia: i gruppi di lettura. È un fenomeno sempre più attuale: cresce il numero dei lettori che si appassionano a questa nuova forma di lettura condivisa e decidono di trovarsi regolarmente per discutere e mettere a nudo opinioni, impressioni ed emozioni nate con un libro tra le mani. Il gruppo di lettura non è una novità, ma finora l’idea che il grande pubblico ne aveva era quella di una tradizione del mondo anglosassone, invece i gruppi di lettura in Italia – volendo considerare solo quelli censiti – sono 450, e in continuo aumento. Ma che cosa sono esattamente e come funzionano? L’idea dei gruppi di lettura viene effettivamente dal nord Europa, dove negli ultimi venticinque anni hanno avuto una grande diffusione: ci si ritrova una volta al mese, si mangia insieme, si passano un paio d’ore a discutere di un libro o un autore letto nel mese precedente, si sceglie un nuovo libro per il prossimo incontro. Spesso riunioni private tra colleghi e amici, in Italia si trasformano, soprattutto per quello che riguarda la tendenza dei gruppi che nascono ora, in un appuntamento più pubblico, senz’altro più aperto perché spesso nato con il supporto o per iniziativa di librerie o biblioteche, e dove il valore aggiunto sono le persone che il gruppo di lettura coordinano o animano.
Libraie doc
di Serena Baccarin
 
Abstract
Le donne ad oggi rappresentano il 72% del personale librario (Ufficio Studi Aie, marzo 2012) e il loro peso cresce anche nei ruoli direttivi. Dal rapporto con gli editori alla clientela, ci siamo interrogati sulla natura e sul valore aggiunto della gestione femminile nelle librerie. Ne abbiamo discusso con Pieranna Margaroli, che gestisce con la sorella la Libreria Margaroli di Verbania; Tamara Guazzini, presidente della Libreria Rinascita di Empoli; Lorenza Manfrotto, titolare con le sorelle Veronica e Lavinia della Libreria Palazzo Roberti di Bassano Del Grappa; Sabina Borri, a capo di Borribooks di Roma e con Daniela Bonanzinga dell’omonima libreria messinese.
Libro e non libro
di Ester Draghi e Paola Sereni
 
Abstract
Che il non-book abbia assunto un peso preponderante nei fatturati delle librerie indipendenti e soprattutto di catena è ormai uno scenario attuale. Quaderni, taccuini, penne e oggettistica varia e collaterale rispetto al prodotto libro trovano sempre più spesso posto vicino alla cassa o su tavoli dedicati, un modo semplice e redditizio per non sacrificare spazio ai libri e garantirsi al contempo margini che questi ultimi non permettono. Ne parliamo con i responsabili degli assortimenti non-book di alcune catene italiane.
Non solo gadget
di Ester Draghi
 
Abstract
Quanto pesa in media il non-book sul fatturato delle librerie? Una domanda apparentemente semplice la cui risposta non è scontata né univoca. A giudicare da quanto emerge dalle testimonianze, raccolte nelle pagine successive, dei librai (indipendenti e di catena), dei produttori di non-book (italiani e stranieri), e dai distributori, possiamo ragionevolmente affermare che il peso delle merceologie sul fatturato è aumentato, sta aumentando. Tradotto in termini percentuali si può dire che oscilla dal 6 al 20%: le variabili sono molteplici e dunque i numeri cambiano molto a seconda, per esempio, se si considerano anche musica e cinema o se si fanno i calcoli al netto Iva. Ma l’aumento del peso della merceologia non-book sul fatturato non è l’unico fenomeno che caratterizza la libreria italiana nel 2013 perché il trait d’union che collega le interviste che seguono si può riassumere in un’unica parola chiave: «qualità». Qualità dei prodotti, qualità del servizio, qualità dell’offerta. Perché nelle migliori librerie non si deve trovare di tutto. Si deve trovare il meglio. Dunque il non-book non va inteso come un «plus» ma come un «must», una risorsa che – parafrasando le parole di Achille Mauri – se sfruttata con «spregiudicatezza» può diventare un elemento distintivo e un fattore di marginalità. E allora l’obiettivo del libraio deve essere quello di imporre a questo settore un cambio di ruolo, trasformandolo da acquisto d’impulso a «destination».
Non-book a scaffale
di Serena Baccarin
 
Abstract
A fronte di un mercato sempre più in sofferenza, che ha registrato una flessione del 4,4% nei primi quattro mesi del 2013 (fonte Nielsen), le librerie muovono in altre direzioni nel tentativo di tamponare l’emorragia generata dal libro fisico e trovando nel non-book una delle possibili fonti di fatturato sostitutivo. L’introduzione di fasce merceologiche diverse dal libro diventa sempre più strutturata, grazie anche ai grandi gruppi editoriali che nel corso dell’ultimo anno ne hanno organizzato la distribuzione, commercializzando brand di non-book nei canali trade. Tuttavia in corrispondenza di più invitanti margini di guadagno, il prodotto extra editoriale è spesso sinonimo di indici di rotazione molto elevati e di rimanenze a magazzino. Nell’abbracciare questo fenomeno le librerie si confrontano con temi che superano la selezione dell’assortimento, quali la scelta del layout e la necessità di acquisire nuove mentalità e competenze. Ne abbiamo discusso con quattro librai che da qualche tempo hanno deciso di dedicare spazio al non-book all’interno delle loro librerie: Alberto Galla (Gruppo Galla 1880, Vicenza), Paola Fioretti (Libreria Scuola e Cultura, Roma), Alessandra De Alessandri (Libreria Mercurio, Torino) ed Enrico Fassi (Libreria Articolo 21, Bergamo.)
Produrre sogni
di Elena Vergine
 
Abstract
Dai giochi educativi alle scatole colorate, dal vino ai cofanetti regalo, dagli accessori tecnologici alle magliette letterarie fino alle classiche agende: tutto questo (e non solo) è non-book. Merceologie originali che, soprattutto in tempi di crisi, possono aiutare le librerie a distinguersi, a diventare luoghi multifunzione, ma senza perdere di vista il loro tradizionale core business. Gli esempi che vi proponiamo in questo articolo dello speciale non-book dedicato ai produttori sono sette realtà virtuose, molto attente ai cambiamenti di tendenza del mercato in generale e del loro target di riferimento in particolare. I loro sono prodotti attrattivi, talvolta inusuali, accomunati dalla qualità, con innumerevoli punti di contatto con il classico assortimento librario in quanto veri e propri prodotti culturali che vedono nelle librerie il loro canale naturale. Dunque è proprio per questo che diventa necessario, per i librai, sviluppare una loro cultura del non-book. «In negozi in cui per il lettore medio tutto è uguale e tanti libri insieme, anche se diversi, fanno una sola libreria, non tante librerie diverse, queste merceologie (se scelte con garbo e intelligenza) diventano elementi distintivi, e fattori di marginalità.», (intervista ad Achille Mauri, «Gdl», 1, 2013, Portatrice di futuro, di G. Peresson, pp. 26-27).
Professioni in cucina
di Elena Vergine
 
Abstract
Che tipo di lavorazione editoriale richiede un libro di cucina? Quando si sfogliano le pagine di un «cook book», per riprendere la definizione che di queste pubblicazioni si è data durante il Salone del Libro di Torino che quest’anno ha dedicato al fenomeno un apposito spazio, spesso non ci si interroga sulle professionalità impiegate per la loro realizzazione. Eppure i professionisti coinvolti per la messa a punto di un’opera editoriale dedicata all’enogastronomia – sia essa una guida, un ricettario o un romanzo – sono le più svariate e il loro lavoro si articola in fasi complesse. Siamo andati a curiosare dietro le quinte di alcune realtà che si occupano di cucina per farci rivelare dai diretti interessati i segreti del mestiere.
Smartphone in cucina
di Lorenza Biava
 
Abstract
L’appetito vien twittando. Almeno così è capitato a noi quando abbiamo partecipato al contest che il mensile «La Cucina Italiana» ha realizzato nell’ambito dell’ultima Milano Social Media Week. Uso mirato dei social network (da Twitter a Foursquare passando per Facebook), tanta creatività e una ponderata esperienza nell’uso della rete e della comunicazione Web sono stati gli ingredienti di una riuscita caccia al tesoro a sfondo culinario che ha impegnato per una mattinata 16 «cuochi» agguerriti. Lo scopo di «Insegui la ricetta» era relativamente semplice: individuare quattro ingredienti segreti e precipitarsi nella sede milanese del mensile. Lo svolgimento, vi assicuriamo, al cardiopalma. Sempre connessi tramite smartphone, i concorrenti hanno ricevuto via Twitter, ogni 40 minuti, gli indizi che dovevano guidarli alla scoperta di altrettanti ingredienti alla base di un piatto. Pane pugliese (l’indizio era: «in tavola non deve mai mancare... ma quale tipo?»), burrata («al suo interno trovi un gusto di gelato»), carciofo («punge anche se gli fai la barba») e gambero rosso («concorrenza a parte (per noi) è buono, pregiato e cammina all’indietro») andavano acquistati rigorosamente in negozi di quartiere dove, concluso l’acquisto, era necessario fare il check-in su Foursquare, fotografarli e inviare lo scatto via Twitter o Facebook al profilo di «La Cucina Italiana» (@Cucina_Italiana). Una volta riempito il proprio paniere, via di corsa verso Piazza Aspromonte per sperare di entrare nei primi sedici e, abbandonato per un attimo lo smartphone, prendere mestolo e tagliere per provare a cucinare la ricetta segreta: una Vellutata di burrata, carciofi all’olio, timo, limone e gambero rosso al vapore...
Ti racconto una storia
di Elisa Molinari
 
Abstract
Il pubblico è sempre più immerso nelle storie, sempre più protagonista e desideroso di collaborare alla loro realizzazione. L’ultima riprova? La recente mossa di Amazon, Kindle Worlds, capace, di intercettare un fenomeno fino a poco fa considerato di scarso valore (fino a E.L. James almeno) e portarlo prepotentemente alla ribalta. Si tratterà di una piattaforma commerciale che permetterà a tutti gli scrittori di fan fiction di riscrivere nell’ecosistema di Jeff Bezos le storie preferite e monetizzare il proprio lavoro. Il tutto grazie alla stipulazione di specifici accordi di licenza, tra cui quello con Alloy Entertainment che detiene i diritti delle fortunate serie tv Gossip Girl, Pretty Liars e Vampire Diares. Insomma: storie, storie, storie. Storie che coinvolgono i lettori e li rendono protagonisti, storie che esplodono universi immaginativi inesplorati, storie che allargano le barriere della narrazione. In una parola: storytelling. Si tratta senza dubbio di uno dei temi più discussi in tutti in tutti gli appuntamenti internazionali dedicati al mondo dei media ma, tutto sommato, sono davvero in pochi a conoscerne meccanismi e potenzialità. Di cosa si tratta dunque? E, soprattutto, che rilevanza ha per il settore editoriale? Ne abbiamo parlato con Max Giovagnoli, scrittore e transmedia storyteller, definito negli Usa «una delle trenta voci che stanno cambiando il modo di raccontare storie in tutto il mondo» e che parlerà ad Editech, la conferenza internazionale organizzata da Aie sui temi caldi dell’editoria digitale in programma a Palazzo Reale (Milano) il 20 giugno.

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