Non sono molti i paesi al mondo in cui la libertà di edizione e pubblicazione, parte determinante della più generale libertà d’espressione del pensiero, è una realtà acquisita e senza problemi. Se anche fra gli stessi paesi aderenti alla Associazione internazionale degli editori dovessimo misurare i diversi gradi di applicazione o riconoscimento di questa libertà, le conclusioni non sarebbero sempre incoraggianti. Ciò non deve impedire, ma sollecitare gli organismi internazionali di rappresentanza a mettere in moto forme di intervento e petizioni ben indirizzate che finiscono per avere il loro peso quando si percepisce che nascono da una volontà politica precisa, non puramente verbale. Il problema vero, si sa, è quello di averle, queste informazioni, anche se la rete fa molto, e la denuncia passa sempre più spesso di lì. Però la denuncia ha un altro peso quando, come nel caso del recente Congresso dell’Ipa svoltosi in Sudafrica, Ben Ayed si è esposto in prima persona parlando – proprio all’interno del Comitato Freedom to publish – della situazione che si è venuta a determinare nel suo paese, la Tunisia, dal gennaio 2011, da quando cioè dovrebbe essersi avviato un processo di democratizzazione. Stiamo parlando di Tunisia, di un paese dove comunque, sia la ribellione che ha mutato il volto politico del paese sia la repressione non è degenerata nella violenza.