Da assiduo frequentatore della Fiera del Libro di Francoforte, mi capita spesso di imbattermi in editori italiani che mi domandano «Perché gli editori americani non traducono più libri? Perché i lettori americani non leggono più libri tradotti? Sono xenofobi?» Sono domande lecite, che meritano di essere approfondite.
Per prima cosa, un po’ di informazioni. Open Letter Books dell’Università di Rochester, un editore di narrativa straniera, ha una banca dati aggiornata annualmente che tiene traccia del numero di opere letterarie tradotte (narrativa e poesia) pubblicate negli Usa ogni anno. A settembre – alla fine del terzo trimestre dell’anno – erano una trentina i libri pubblicati tradotti dall’italiano, da titoli di saggistica alta come Storia della mia gente di Edoardo Nesi, vincitore del Premio Strega, fino a letture più leggere come Andrea Camilleri. L’italiano è tra le cinque lingue più tradotte negli Usa, in genere insieme a spagnolo, francese e tedesco. In un’annata normale, in America i titoli tradotti e pubblicati sono meno di cinquecento. È un numero irrisorio, soprattutto considerando che, compresi i titoli del self publishing, ogni anno negli Usa le pubblicazioni di libri superano il milione.
Ma, come sempre quando si parla degli Usa, bisogna considerare le proporzioni. Gli abitanti sono circa 330 milioni, distribuiti su un’area che, a pari estensione sul territorio europeo, andrebbe dalla Groenlandia a Mosca. Il cuore dell’Europa starebbe dentro al solo Midwest; lo stato dove vivo, il Texas, è da solo più grande della Francia.