L’Audio Publishers Association (APA) è un’organizzazione no-profit nata nel 1986, ben prima che la febbre dell’audiolibro contagiasse l’editoria americana e mondiale, e i suoi studi offrono spesso spunti preziosi sui comportamenti degli ascoltatori e i trend del mercato. Pochi giorni fa Publishing Perspectives ha rivolto la sua attenzione all’Immersive Media & Books 2020 Consumer Survey, un sondaggio che l’associazione ha condotto sul consumo di libri in ogni formato e sul rapporto che intercorre con gli altri media e i vari canali. Lo studio è stato condotto in collaborazione con il Panama Project, un’iniziativa sorta con l’obiettivo di misurare l’impatto delle biblioteche nella scoperta e vendita dei libri.

Il sondaggio ha riguardato un campione di 4314 cittadini americani, rappresentativo non della popolazione complessiva bensì di coloro i quali dichiarano di «aver avuto a che fare con almeno un libro negli ultimi 12 mesi» (e quindi include anche i regali, la lettura per ragioni scolastiche o lavorative, la pirateria). La particolare natura del campione fa sì che i valori medi siano più alti rispetto a quelli che si otterrebbero prendendo in considerazione il totale dei cittadini americani. Il numero di libri con cui il campione interagisce mensilmente è di 3,8; 2,4 sono gli e-book e 1,8 gli audiolibri. Lo studio distingue con precisione tra generi, etnie e aree geografiche americane: nell’esposizione che segue si tralasceranno queste componenti per concentrarsi sugli aspetti più generali.

Uno dei risultati più significativi è apparentemente controintuitivo: i lettori più forti sono altrettanto attivi negli altri media. Nel caso dei Millennial ciò implica un alto grado di crossmedialità, cioè di scoperta di libri tramite serie tv o viceversa. Si tratta di un fenomeno che l’editoria non può ignorare , ed è anche per questo che AIE ha deciso di dedicare un percorso formativo dedicato alle storie transmediali. Da questo fenomeno il report trae la conclusione che tra i diversi media non vi sia una competizione per il poco tempo e denaro disponibile quanto piuttosto un insieme di opportunità, di possibili sinergie tra le diverse forme di intrattenimento. Il libro, suggerisce il report, si inserisce in una prospettiva multitasking: il 61% dei lettori di e-book e il 70% degli ascoltatori di audiolibri dichiarano di fare altro mentre leggono. Da un lato si tratta di un’ottima notizia per l’editoria – la quantità di tempo che i differenti media si contendono aumenta, se questo si ripiega su se stesso –, dall’altro possono sorgere alcune perplessità circa la qualità di una lettura che è sempre più spesso accompagnata ad altre attività.

Un secondo focus di particolare interesse è quello sulla pirateria: il report non si limita a constatare l’esistenza del fenomeno, ma cerca di indagare le possibili cause così come le divergenze nei comportamenti tra pirati (intesi come utenti e non come diffusori di contenuti illegali) e la media della popolazione. Il 14,4% del campione ha a che fare con la pirateria: si tratta di forti lettori e soprattutto di forti acquirenti di libri, i quali procedono all’acquisto quando il valore del bene è per loro chiaro. Il report propone strategie non banali per analizzare e contrastare la pratica. Tra queste sembra va segnalata l’idea che gli editori studino i dati sul consumo dei libri e degli estratti che essi stessi mettono a disposizione gratuitamente: si tratta di beni che i pirati dichiarano di apprezzare in misura sensibilmente maggiore rispetto al resto della popolazione (35,3% contro una media del 17,7%).




La scoperta (e quindi l’acquisto, o il regalo) di un libro dipende da un gran numero di fattori nessuno dei quali sembra essere preponderante: basti pensare che quello maggioritario, il passaparola, si arresta al 20% delle risposte. Alle plurime possibilità attraverso cui venire a conoscenza di un libro corrispondono modalità diverse per un editore o un autore di far sì che un libro raggiunga il suo pubblico elettivo. Un vettore sorprendentemente ridimensionato da questo studio è internet: per quanto un terzo del campione dichiari di interagire su social, blog e siti per condividere le proprie esperienze di lettura (o gioco, visione e così via), solo una percentuale esigua – appena il 7,32% nel caso dei libri, il 9,35% per la tv – si lascia influenzare dai consigli letti in rete per scoprire nuovi contenuti.

Un ulteriore tema è quello della porosità dei diversi canali: il 75% dei rispondenti ha una tessera della biblioteca, e il 35,9% del campione acquista un libro che ha prima consultato in biblioteca. Il report cerca inoltre di problematizzare una visione ormai stereotipata del rapporto tra fisico e online: alla narrazione degli ultimi anni secondo cui le librerie indipendenti sono diventate vetrine per Amazon si sta affiancando anche quella contraria, come dimostra il fatto che il 44,5% del campione acquista in libreria un libro che ha visto online.

Lo studio non manca di mostrare come le differenti generazioni si approccino alla lettura. I Millennial (18-34) sono i lettori più forti in ogni formato di libro e anche i più multitasking. È da questo punto di vista emblematico che il 53,1% di loro dichiari di fare altro anche mentre legge un libro cartaceo. Nella generazione X (35-54) l’interazione con audiolibri ed e-book è maggiore della media, mentre è minore nel caso dei libri cartacei. Non sorprende infine che i Baby boomers (55+) rappresentino la fascia di popolazione che meno interagisce con i libri, con un crollo particolarmente marcato nel settore degli audiolibri e una minore propensione alla crossmedialità e al multitasking.

Le analisi condotte e le relazioni tra i dati che il report propone sono numerose e non è possibile darne un’idea che sia fino in fondo esaustiva. In generale, però, c’è un merito indubbio del report che deve essere enfatizzato ed è la meticolosità e granularità dello studio. L’analisi distingue aree geografiche, etnia, età, e per ogni variabile analizza le ragioni che risiedono dietro la scoperta o l’acquisto di un libro, il ruolo delle biblioteche e molto altro. Tutto ciò significa dotare la filiera editoriale e più in generale la comunità di un potente strumento non soltanto descrittivo ma anche – e soprattutto – operativo. È possibile per esempio capire: in quali frammenti (geografici, etnici o anagrafici) rafforzare la presenza delle biblioteche; quale strategia può adottare un editore a seconda del tipo di pubblico a cui si rivolge; come contrastare la pirateria; come migliorare la visibilità di un titolo; come ripensare i contenuti per un pubblico che inserisce i libri all’interno di un ecosistema nel quale sta gradualmente perdendo di senso ragionare per camere stagne. Tutta la seconda parte del report è divisa non per aree tematiche bensì per il pubblico potenziale a cui si rivolge (editori, bibliotecari, librai, autori), un elemento particolarmente utile per un report di quasi 80 pagine senza contare le appendici. Lo studio non offre una fotografia ma quella che è allo stesso tempo una diagnosi e – nei momenti più felici – una terapia. Forse il report rischia di essere difficilmente comunicabile nella sua interezza, data la mole dello studio e l’eterogeneità dei temi: ciò non toglie che si tratti di una gradita sorpresa nel panorama degli studi sull’editoria, un modello che è auspicabile venga replicato ed esportato negli anni a seguire.

L'autore: Bruno Giancarli

Dottorato in filosofia a Firenze, Master in editoria di Unimi, Aie e Fondazione Mondadori. Attualmente lavoro presso l'Ufficio studi Aie. Mi interessano i dati della filiera editoriale e le loro possibili interpretazioni.

Guarda tutti gli articoli scritti da Bruno Giancarli