Anche se da questi dati mancano le vendite di manuali che passano attraverso la GDO e da tutti quei canali alternativi (e complementari) alle librerie e agli store online, emerge netta la divaricazione rispetto al mercato degli altri settori editoriali, e che forse è dovuto anche al concetto che abbiamo di «lettura».
Come ben mostrava quella parte di indagine dell’Osservatorio Aie sviluppato da Pepe Research (vedi Dammi tre parole. I mondi evocati dalle lettura), la lettura viene percepita solo come passione, svago, approfondimento culturale, ecc. Praticamente non compaiono, o lo fanno in misura minima, tutte quelle parole che rimandano a forme di lettura (e di uso e acquisto) di libri che non hanno a che fare con «cultura», «svago», «relax». Escludendo, difatti, la manualistica.
Ma la «sproporzione» si sente anche confrontando il settore della manualistica sullo sport con quello totale della manualistica: il suo peso incide per l’8,1% a valore, e per il 7,0% a copie. Uno dei tanti mercati che compongono il mercato complessivo del libro in Italia. Tanti mercati i cui segni positivi di alcuni compensano i segni negativi di altri o fanno più o meno crescere (o decrescere come in questo caso), il segno più complessivo.In questo caso – quello dello sport (esclusi i libri illustrati o fotografici) – ha svolto in questi anni, come si vede dalla presentazione fatta a Tempo di libri, una funzione non sempre positiva rispetto alla crescita. Valeva 865 mila copie nel 2012 scende a 688 mila nel 2017. Valeva 14,4 milioni di euro a copertina, scende, nello stesso arco di anni, a 11,9 milioni.
Ci sono comunque alcuni dati su cui richiamare l’attenzione. Il primo riguarda i testi divulgativi: la manualistica vera e propria. Cresce – tra 2012 e 2017 – il peso del calcio (dal 31,9% al 38,5%), pallacanestro e pallavolo (dal 6,9% all’8,7%), ciclismo e motociclismo (11,1% al 13,6%). Si contraggono tutti gli altri (ovviamente sono esclusi i manuali universitari e scolastici sulla pratica sportiva, così come la letteratura professionale sull’argomento).
All’interno di queste trasformazioni e di cali (o comunque non crescita, di sproporzione tra «praticanti» e «lettori») le biografie sportive vedono crescere la loro quota di mercato nel segmento (a questo proposito si veda: A bordo campo. La biografia sportiva tra epica e romanzo di formazione) – si pensi a Open o a Giorni selvaggi, esempi paradigmatici del genere. A valore rappresentavano il 38,3% nel 2012, oggi (2017) sono il 41,8%, mentre la parte restante sono manuali e testi divulgativi.
Ma si torna nuovamente al discorso fatto all’inizio e che vale anche per diverse tipologie di manualistica (animali, guide turistiche, libri di cucina). Il segmento rivela,in tutta la sua limitatezza rispetto alle potenzialità della domanda (i 19 milioni di italiani), il rapporto che il lettore ha con gli strumenti editoriali che gli propongono informazioni su un argomento, soluzioni a problemi pratici e quotidiani. Anche se è vero che hanno sempre più peso nel reperimento di queste informazioni il web, i blog e le community specializzate, di fondo c’è una percezione che si ha della lettura come coincidente con narrativa e romanzi. E forse anche l’abitudine a narrare l’offerta editoriale limitando la complessità e l’articolazione dell’offerta.
Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.
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