Cosa hanno fatto nelle giornate in casa gli italiani durante il lockdown? Alcune prime indicazioni ci arrivano da una rilevazione condotta tra il 5 e il 21 aprile da Istat su un campione rappresentativo della popolazione con più di 18 anni.

Come scrive Istat ad apertura della nota «l’obbligo di restare a casa ha stravolto la quotidianità dei cittadini e ha avuto un forte impatto sulla loro giornata e sul loro modo di passare il tempo». È avvenuto che diverse delle attività che si svolgevano fuori dalle mura domestiche – dove possibile – vi sono entrate, altre hanno assunto una rilevanza maggiore. Risultato: una diversa distribuzione dei pesi tra quelle attività ritenute «prioritarie» e le altre.

Per esempio nella Fase 1 hanno lavorato circa 8,4 milioni di persone, più o meno la metà di quel 34% di persone impegnate in attività lavorative nel corso della giornata. Di quelle 8,4 milioni di persone, il 44% lo ha fatto da casa utilizzando nella quasi assoluta maggioranza (95,8%) la connessione internet come strumento di lavoro. Sono 3,7 milioni di persone che hanno sperimentato una modalità di lavoro diverso e forse chiederanno strumenti (anche «editoriali» o di «servizio») innovativi e diversi.

L’altra componente che è cambiata riguarda lo studio e le lezioni a distanza. Istat ci dice che l’8% della popolazione «con più di 18 anni» [sarebbero in proiezione circa 4 milioni di persone] ha seguito lezioni, studiato con le modalità della didattica a distanza. Una quota che sale al 61,9% tra gli studenti. «Hanno dedicato tempo allo studio – scrive Istat – il 36,2% del 18-24enni (circa 1,5 milioni di persone) e l’11,2% dei 24-34enni (circa 805 mila) a fronte di meno del 5% del resto della popolazione adulta». Anche qui valgono le considerazioni già fatte da inquadrare nel cambio di peso che hanno avuto in questi stessi mesi gli strumenti messi a disposizione dall’editoria universitaria per supportare la didattica a distanza. 

Ma sono state la televisione e le relazioni sociali, attraverso smartphone, videochiamate, ecc. a essere il principale pilastro nel periodo le lockdown. Nella Fase 1 il 93,6% degli intervistati ha usato la televisione come canale di aggiornamento e di svago (soprattutto tra le categorie più deboli dove si sale al 96,2%). Il 63,5% dichiara di aver dedicato più tempo alla cura dei rapporti sociali per relazionarsi con «amici» e il 59,6% con «parenti» attraverso smartphone, tablet, pc, videochiamate, social (ma la voce non è indicata da Istat che parla di «telefonate»).




E la lettura?
Purtroppo non viene fatta la distinzione tra le lettura di libri da quella di quotidiani e periodici. È comunque l’attività che si colloca al terzo posto tra quelle del tempo libero a cui si è dedicato tra il 5 e il 21 aprile il 62,6% delle persone. Più gli uomini (64,5%) delle donne (60,8%) a probabile conferma del peso che ha avuto la lettura per «informarsi» rispetto a quella per «svago e piacere». Un bisogno di narrazioni ampiamente soddisfatto probabilmente dalle televisioni e dalle serie tv.

L’altro dato interessante è il peso che ha assunto la lettura digitale (di quotidiani e periodici o di e-book). Se il 62,3% dichiara di aver dedicato in questo periodo tempo alla lettura, il 34,6% lo ha fatto su «carta» ma ben il 39,7% in digitale. È probabile che gli abbonamenti a quotidiani online abbiano accentuato questo sorpasso, e i dati di FIEG lo confermano; come lo conferma la crescita del prestito bibliotecario digitale di MLOL (link), o la crescita della vendita di e-book.

L’emergenza sicuramente ha svolto un ruolo di acceleratore e di catalizzatore di processi e fenomeni già in atto. Gli Osservatori che AIE ha condotto, l’incontro online sul mercato nei primi quattro mesi del 2020 sono lì a indicarlo. La domanda diventa: quanti di questi cambiamenti resteranno strutturali e quanti progressivamente rientreranno? E in che misura?

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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