Era il 1999 quando la libreria femminista Amazon Bookstore Cooperative, a Minneapolis dal 1970, decise di citare in giudizio per violazione del marchio Amazon.com, lanciata da Jeff Bezos pochi anni prima. La vicenda che ne scaturì non si concluse – è evidente – con la vittoria in tribunale della libreria. Bensì con un compromesso raggiunto in sede extra-giudiziale che permise a entrambe le attività di continuare a utilizzare il nome scelto, che sull’insegna della libreria campeggiò fino alla chiusura, nel 2012.
Se questo è poco più di un aneddoto di colore, che vede una piccola libreria indipendente – con un grande ruolo politico e d’immaginario – dare l’assalto alla più grande Internet company al mondo, è innegabile che le librerie femministe, segnatamente quelle statunitensi, abbiano inciso in maniera non trascurabile sull’evoluzione sociale e culturale del nostro tempo.
Sebbene l’affinità tra stampa e femminismo connoti il movimento fin dagli albori, le librerie femministe sono un prodotto della seconda e terza ondata. Dagli anni Settanta in poi, in tutto il Nord America e non solo, si è assistito infatti a una rapida nascita di spazi e infrastrutture in grado di offrire un sostegno tangibile agli sforzi creativi delle donne. Un fenomeno diventato noto come «women’s culture» o «women in print», che ha posto le basi per i progetti letterari femministi – e anche per le rivendicazioni sociali e civili – degli anni successivi, fino ai nostri giorni.
Da quel momento, infatti, le librerie delle donne, pur con andamenti diversi, non hanno mai smesso di arricchire il tessuto culturale delle città occidentali, anglosassoni e non. Negli ultimi vent’anni, ad esempio, con una buona accelerazione nel tempo post pandemico, abbiamo assistito a una nuova ondata europea di aperture di librerie che vendono solo libri scritti da donne o da soggettività lgbtq+.
La quarta ondata del femminismo ha nel suo DNA Internet e i social media, con tutto quanto ne consegue in termini di ampiezza e prospettive del movimento. A farsi sempre più larghe non sono solo le maglie della rivendicazione, ma anche gli strumenti e i linguaggi utilizzati, indirizzati a un pubblico potenzialmente globale. Anche le librerie seguono la scia, cercando nell’attivismo sui social, nell’e-commerce, nella comunicazione digitale espedienti per il superamento dei limiti, non solo geografici, e per il raggiungimento di quella comunità diffusa – quando non dispersa – che Internet, dagli albori, aiuta a ricomporre.
La storia di Womb House Books si inserisce perfettamente in queste coordinate. Jessica Ferri è una scrittrice, fotografa e giornalista che si occupa di critica libraria. Ha da sempre il pallino di aprire una libreria, ma il suo trasferimento a Berkeley, nel bel mezzo della pandemia, non le sembra il momento ideale per realizzare questo sogno. Ferri comincia a frequentare le svendite di libri con cui le biblioteche alleggeriscono e mantengono in ordine le loro collezioni: la frizzante comunità universitaria di Berkley e le abbondanti donazioni di professori e professoresse rendono questi appuntamenti particolarmente fruttuosi.
Ferri pensa così di aprire una rivendita di libri usati online, su Etsy per la precisione, che è una piattaforma essenzialmente dedicata all’artigianato. Decide di concentrarsi solo sui libri scritti da donne, di tematica femminista o «vicini alle donne». Qualche titolo di modernariato, qualche prima edizione, ma soprattutto una collezione selezionata con cura, acume, visione e presentata senza troppi fronzoli, dove autrici e tematiche rimangono protagoniste.
Tre momenti, in particolare, segnano il successo della sua attività e la candidano a libreria femminista preferita di Internet. Prima la menzione, su Instagram, di Stephanie Danler, autrice del best seller Sweetbitter (pubblicato in Italia da Rizzoli con il titolo Il sapore dei desideri). Poi la collaborazione con la famosa community di lettura online Belletrist. Infine il coinvolgimento, durante la Banned Books Week, nel giveaway di Amatissima, di Toni Morrison, organizzato dall’attrice Natalie Portman nell’ambito del suo book club. Successivamente, ai libri vintage e usati venduti su Etsy viene affiancata una selezione di titoli nuovi, sulla piattaforma www.wombhousebooks.com.
A tre anni dall’inizio di quest’avventura esclusivamente digitale, Jessica Ferri ha deciso che i tempi erano maturi per dare anche un negozio di mattoni ai suoi libri: lo ha aperto a Oakland, California, meno di dieci giorni fa.
Nel primo weekend di vendite il flusso di persone visitatrici è stato abbondante e continuo, con picchi di 40 clienti in contemporanea. Tutti i titoli nuovi che attualmente fanno parte della selezione di Ferri sono andati esauriti, tra cui Pure Colour di Sheila Heti, All Fours di Miranda July e An Encyclopedia of Gardening for Colored Children di Jamaica Kincaid e Kara Walker. Per quanto riguarda i libri usati e vintage, un particolare interesse è stato suscitato da Eve Babitz, Toni Morrison, Iris Murdoch e Sylvia Plath, i cui libri sono stati terminati. E da Virginia Woolf, che da Womb House Books ha uno scaffale dedicato.
La libreria ha anche una selezione di titoli per bambine e bambini, nuovi, usati e vintage, tra cui molte storie che Ferri stessa leggeva da piccola: sono esposti in due scaffali bassi, da cui le lettrici e i lettori più giovani possono servirsi da soli, con cuscini disposti davanti per favorire una comoda lettura.
A chi le chiede se l’apertura «fisica» di Womb House Books significherà la chiusura del negozio su Etsy – e di wombhousebooks.com – Ferri risponde di no con nettezza. I canali rimarranno complementari e i titoli verranno distribuiti su ciascuno secondo criteri di opportunità, di domanda, di praticità logistica.
La libreria fisica, che al momento rimarrà aperta dalle 10 alle 19, dal mercoledì alla domenica, ha il vantaggio innegabile di poter accogliere eventi e presentazioni: l’11 luglio inaugurerà Loving Sylvia Plath di Emily van Duyne. Ma soprattutto Ferri sottolinea l’insostituibile possibilità di scambio, di consiglio, di interazione umana che si realizza di persona: «Vedo clienti uscire dal negozio con le braccia piene di titoli di un’autrice di cui quando sono entrati non conoscevano neanche il nome. Ecco a cosa serve questa libreria». E non solo questa, verrebbe da aggiungere.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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