Nel 2024, la libertà di espressione di scrittori, scrittrici, giornalisti, giornaliste, intellettuali è stata messa a dura prova, raggiungendo un nuovo triste record di arresti in un ampio spettro di Paesi. Lo documenta l'ultimo report Freedom to Write Index 2024, pubblicato dal PEN America, organizzazione no-profit il cui obiettivo è proteggere la libertà di espressione nel mondo, difendendo la letteratura e i diritti umani.
Il rapporto, giunto alla sua sesta edizione, registra un record storico: almeno 375 scrittrici e scrittori sono stati incarcerati per aver espresso il proprio pensiero in quaranta Paesi nel corso dell’anno, un aumento significativo rispetto ai 339 del 2023. «I governi comprendono il ruolo che gli intellettuali svolgono nel promuovere la ricerca critica e coltivare visioni di un mondo migliore e più giusto. Riconoscono il potere delle parole di affermare verità storiche, dare voce a coloro le cui narrazioni sono state escluse, sviluppare o preservare la cultura e chiedere conto alle istituzioni. Cercano di reprimere gli scrittori e le scrittrici perché sono loro a dare vita alle storie che mettono a repentaglio il controllo di un governo sia sulle esperienze individuali che sulle narrazioni nazionali» riporta il PEN.
Il dato più allarmante è l’espansione geografica delle repressioni: non solo regimi autoritari tradizionali, ma anche nazioni con storie di apertura democratica stanno adottando misure restrittive contro la libertà di parola. Il numero di Paesi in cui si registrano incarcerazioni di scrittori e scrittrici è il più alto mai rilevato dall’inizio del monitoraggio.
La Cina si conferma il Paese con il maggior numero di scrittrici e scrittori detenuti: 118 nel 2024, con un aumento di 11 casi rispetto all’anno precedente. La maggior parte di questi sono accusati con pretesti vaghi legati alla «sicurezza nazionale», spesso per aver espresso opinioni critiche sul governo, per il sostegno a movimenti democratici o per la promozione delle lingue e culture delle minoranze etniche. Le persone vengono ingiustamente detenute in condizioni di isolamento, negando loro le cure mediche e subendo abusi e torture. Tra i casi più emblematici, spicca quello dello studioso Ilham Tohti, detenuto in isolamento dal 2017 per aver scritto dei diritti degli uiguri.
L’Iran mantiene la seconda posizione con 43 persone incarcerate, molti dei quali donne attiviste contro l’obbligo dell’hijab e altre restrizioni di genere. Le autorità iraniane continuano a usare la detenzione come strumento per soffocare ogni dissenso, costringendo molti scrittori e scrittrici a scegliere l’esilio.
L’Arabia Saudita e il Vietnam condividono il terzo posto con 23 scrittrici e scrittori imprigionati ciascuno. Israele, Russia – dove i conflitti armati e le tensioni politiche aggravano ulteriormente la situazione –, Turchia, Bielorussia, Egitto e Myanmar completano la lista dei dieci Paesi con il maggior numero arresti. Altri luoghi che destano preoccupazione sono Cuba, Eritrea e Marocco.
Recentemente, nel mondo dell’editoria si è parlato del caso dello scrittore franco-algerino Boulem Sansal, condannato dal tribunale penale di Dar El Beida ad Algeri a cinque anni di carcere con l’accusa di aver violato l’articolo 87 bis del codice penale algerino, che definisce i reati contro la sicurezza dello Stato e viene spesso usata come imputazione generica contro i dissidenti.
Il rapporto evidenzia un aumento delle detenzioni preventive e senza accuse formali: nel 2024, 80 scrittrici e scrittori sono stati trattenuti in attesa di processo, un dato in crescita rispetto ai 76 del 2023. Paesi come Cina, Egitto e Israele utilizzano questa pratica come strumento di repressione, mantenendo le persone arrestate in uno stato di limbo che ne amplifica la vulnerabilità.
In Egitto si è registrato un triplicarsi delle detenzioni preventive prolungate, con casi di individui che scontano intere pene ma restano comunque in carcere senza giustificazione legale: è ciò che è successo, ad esempio, al poeta Galal El-Behairy.
Inoltre, il PEN riporta che anche i recenti sviluppi negli Stati Uniti – preoccupanti soprattutto nei campus universitari – sottolineano la natura precaria della libertà di espressione.
Gli scrittori uomini rappresentano l’84% delle persone incarcerate, ma il numero di donne scrittrici detenute è in aumento, passando dal 14% del 2022 al 16% del 2024, soprattutto in Paesi come Iran, Arabia Saudita, Israele, Russia e Turchia.
Per quanto riguarda le professioni, la categoria più colpita è quella degli «online commentators» – 203 detenuti nel 2024, più del doppio rispetto agli 80 del 2019 –, seguita da giornalisti (127), scrittori (115), attivisti (92), studiosi (68), poeti (67), artisti (37), cantanti (35), traduttori (14), redattori (12), editori (11) e drammaturghi (4). Questo riflette la crescente importanza delle piattaforme digitali come spazio di espressione, soprattutto in Paesi dove i media tradizionali sono rigidamente controllati dallo Stato.
Nonostante le condizioni di detenzione spesso disumane, molti scrittori e scrittrici continuano a resistere e protestare. Il caso del saggista e attivista cinese Xu Zhiyong, che ha attuato uno sciopero della fame, e delle donne detenute nella prigione di Evin in Iran sono esempi potenti di questa resilienza.
Nel 2024, alcune liberazioni hanno rappresentato segnali di speranza: la poetessa siriana Tal Al-Mallouhi, detenuta per 15 anni per aver scritto poesie sui diritti palestinesi, è stata liberata dopo la caduta del regime di Assad, suscitando un’ondata di solidarietà internazionale.
La crescente repressione della libertà di espressione ha un impatto diretto sul settore editoriale mondiale, poiché la paura di ritorsioni induce molti autori e autrici all’autocensura, mentre editori e distributori si trovano a dover operare tra pressioni politiche, legali e commerciali. Ciò impoverisce il dibattito culturale e limita l’accesso a narrazioni diverse e critiche, fondamentali per la democrazia e la pluralità.
Difendere la libertà di scrittura significa tutelare i diritti umani fondamentali e la possibilità di immaginare società più giuste e inclusive. Il Freedom to Write Index 2024 conferma che la libertà di scrivere è oggi più che mai una questione globale: in un’epoca in cui le parole possono essere censurate e incriminate, il ruolo degli scrittori e delle scrittrici e di chi li sostiene diventa cruciale per la difesa della democrazia e della cultura.
Laureata in Lettere all’Università degli Studi di Verona, ho conseguito il master Booktelling, comunicare e vendere contenuti editoriali dell’Università Cattolica di Milano che mi ha permesso di coniugare il mio interesse per i libri e l’intero settore editoriale con il mondo della comunicazione digital e social.
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