Nell’anno della pandemia il consumo di risorse digitali è cresciuto in molti ambiti mediali. A dicembre l’appuntamento con l’Indagine Cepell-AIE mostrava un aumento tanto dei lettori di e-book (+5% rispetto al 2019) quanto degli ascoltatori di audiolibri (+2%). Nel frattempo – mentre Netflix comunica di aver guadagnato a livello globale 8,5 milioni di nuovi utenti nel 2020 – un big dell’audio come Audible parla, per l’Italia, di una crescita del 15% dei fruitori di podcast. Crescono i consumatori, si differenziano i formati, s’infittiscono le diete di fruizione e i canali di approvvigionamento.

È un processo che coinvolge anche la biblioteca. «Il lockdown ha inciso in modo importante sui numeri di MLOL» racconta l’amministratore delegato Giulio Blasi. MLOL è la prima rete italiana di biblioteche pubbliche, accademiche e scolastiche per il prestito digitale e «nel 2020 ha conosciuto un incremento importante trainato dai nuovi utenti (+89,09% rispetto al 2019) ma anche dal maggiore uso delle risorse (+102,56 % di prestiti/consultazioni) e dall’aumento delle visite alla piattaforma (+107,68%)».

Sono accelerazioni arrivate per restare? La curva degli utenti unici giornalieri sembra eloquente: «Nel primo lockdown abbiamo avuto, in alcuni periodi, picchi del +200-300%: di certo non realistici a livello di tendenza. Ma quando la curva degli utenti ha cominciato a calare si è normalizzata su valori in crescita del 100% rispetto al 2019. Questo avviene in un contesto in cui la nostra crescita abituale è di circa il 25% l’anno».

Come si colloca l’editore in un ecosistema della lettura in cui prende corpo il prestito digitale? «La quasi totalità degli editori con cui abbiamo a che fare considera la biblioteca come un canale indipendente, che non ha sovrapposizioni con i canali commerciali digitali nei quali opera abitualmente. Rispetto poi al prestito cartaceo, il sistema di prestito digitale offre agli editori vantaggi significativi».

Lo fa essenzialmente per due ragioni. In primo luogo per il modello di remunerazione: «Il pay per loan prevede che la biblioteca paghi all’editore la cifra pattuita per ogni singolo prestito, e che più utenti possano prendere simultaneamente in prestito lo stesso titolo senza code di prenotazione. Di fatto, ottimizza i guadagni dell’editore». E poi per la possibilità di collezione e analisi dei dati offerta dal digitale. «Mentre con la carta l’editore perde completamente il controllo del libro che ha venduto alla biblioteca, con il digitale ha una storia documentata dei percorsi e delle performance di ogni singolo titolo. Una miniera di informazioni potenzialmente molto utili».

Se il pay per loan pone alcune criticità, queste rimangono per lo più in capo alla biblioteca. Avendo un budget determinato, la biblioteca deve limitare artificialmente i prestiti che possono essere effettuati per non sforare. «Per questa ragione i dati di prestito finiscono per non riflettere neanche lontanamente la domanda dell’utenza, di gran lunga più consistente delle possibilità di assorbimento». Ma comunque – al netto delle potenziali criticità di un modello «ultraefficiente» – il prestito digitale è vantaggioso per la biblioteca: «Il prestito cartaceo ha dei costi di gestione notevolissimi che spesso vengono dimenticati ma che, a seconda delle aree del Paese, variano tra i 15 e i 30 euro escluso il costo del libro».

Senza trascurare che le biblioteche (di pubblica lettura e scolastiche, e qui il pensiero va ai risultati di #Ioleggoperché) sono e restano delle insostituibili infrastrutture culturali, degli «ascensori della lettura» con il compito di mobilitare e diffondere un accesso ai libri che – se affidato alla sola cura delle famiglie – si perpetuerebbe immobile di generazione in generazione.

Indici di lettura, valori di mercato, livelli di prestito e dotazioni economiche delle biblioteche: quello del libro è un universo interconnesso che prospera o avvizzisce nel complesso. «Prova ne è la correlazione tra ampiezza del mercato editoriale ed efficienza del sistema bibliotecario nei diversi Paesi» sottolinea Blasi. L’Italia ha ancora molta strada da fare. «Prendiamo l’esempio della Toronto Public Library, che nel 2019 ha fatto 6,6 milioni di prestiti digitali. MLOL nel 2020 – in crescita, quindi, di più del 100% sul 2019 – ne ha fatti 1,6 milioni. Se si fa la normalizzazione per abitanti, a Toronto si prestano e-book l’8.000% in più che in Italia. In Europa, la Germania ha un volume di prestiti che è 12 volte quello italiano». Gli esempi potrebbero continuare confermando che – nonostante il balzo in avanti nell’anno pandemico – l’Italia rimane moltissimi passi indietro.

Blasi è fiducioso, anche perché l’adozione del modello pay per loan ha convinto diversi gli editori a guardare con più attenzione alle opportunità che il prestito digitale offre loro. «In piena pandemia – ma era un progetto avviato sei mesi prima – abbiamo messo a disposizione per il prestito tutto il catalogo del Gruppo Mondadori. Lo stesso abbiamo fatto con Giunti e con De Agostini. Feltrinelli sta partendo proprio in questi giorni con il pay per loan su tutti i titoli usciti da più di 24 mesi». Ma il coinvolgimento non si ferma ai grandi: «Una miriade di piccoli e medi editori sta sperimentando con noi questo modello. Sono sicuro che, anche da loro, le biblioteche vengono percepite come un alleato. Di certo non come una minaccia». 

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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