Continuano gli attacchi alla libertà d’espressione, che in molti Paesi si stanno facendo sempre più violenti e sistematici; e benché molti di questi soprusi siano stati denunciati dai media (dalla situazione turca a quella cinese, e altre ancora), ci sono parti del mondo in cui le censure e le prevaricazioni, pur non essendo altrettanto esposte, sono ugualmente efferate.
In particolare le popolazioni del sud-est asiatico stanno vivendo in un periodo di forte repressione non solo per quanto riguarda la libera espressione, ma per tutti i diritti umani basilari.
Gli attacchi agli attivisti e ai semplici cittadini si sono intensificati in Malesia, Cambogia, Vietnam, Tailandia, Birmania, Indonesia, Timor Est e a Singapore, con i «governi che usano brutalmente tutti gli strumenti a loro disposizione per silenziare i dissidenti», per usare le parole di Bridget Welsh, ricercatrice e visiting professor specializzata nelle politiche del sud-est asiatico. In particolare si è registrato un aumento preoccupante degli arresti tra le opposizioni politiche, e un inasprimento di leggi e sanzioni che sono a tutti gli effetti contro la libertà d’espressione; fattori che hanno colpito soprattutto i giornalisti, gli intellettuali e i contenuti satirici (e chi li condivide). In Birmania ci sono stati più casi di giornalisti processati e multati per diffamazione, e per un reportage su degli stupri la giornalista Fiona MacGregor, del Myanmar Times, è stata licenziata; in Malesia il Malaysian Insider ha dovuto chiudere per le condizioni politiche imperanti; e in Vietnam, dove le condizioni per la categoria sono particolarmente dure, dei giornalisti sono stati picchiati per aver fatto ricerche su un versamento di sostanze tossiche avvenuto lo scorso luglio, e in aprile in una settimana sono stati imprigionati sette blogger, «rinforzando il giro di vite che da molto tempo grava sull’espressione di opinioni alternative». Molti campus universitari della Malesia vivono un periodo di incertezza dopo che a febbraio sei studenti dell’Università Malaya sono stati puniti per aver tenuto una conferenza stampa.
Anche la popolazione comune non è esente da questo tipo di repressione; in particolare, è cresciuto il numero di occasioni in cui i commenti e le opinioni espresse sui social network (soprattutto su Facebook) sono stati ripresi e usati come base per degli arresti. A marzo un attivista tailandese, Sarawut Bamrungkittikhun, è stato arrestato per gli status pubblicati sulla sua pagina Perd Praden, e sempre in Tailandia il vignettista satirico Zunar è stato ripetutamente arrestato per aver mostrato il proprio lavoro online, ed è stato accusato di sedizione contro il Primo ministro; a settembre, il poeta indonesiano Saut Situmorang è stato condannato a cinque mesi di reclusione per i suoi commenti critici su Facebook contro alcune delle personalità letteraria del suo Paese; e a maggio tre cittadini del Laos sono stati arrestati di ritorno dalla Tailandia dopo aver manifestato il proprio dissenso su Facebook, mentre erano all’estero.
Questi sono solo alcuni degli esempi della repressione che al momento affligge questa parte del mondo. È necessario continuare a parlare di queste ingiustizie e sostenere chi vi si oppone, affinché anche in questi Paesi si possa esprimere tanto il proprio dissenso quanto in generale sé stessi e le proprie opinioni, com’è diritto di ognuno; perché, nonostante tutto, sono molti gli attivisti e i cittadini – tra cui molti giovani – che continuano a battersi per vedersi riconosciuto il proprio diritto alla libertà di parola.
Laureata in Lettere moderne (con indirizzo critico-editoriale), ho frequentato il Master in editoria. Mi interessa la «vita segreta» che precede la pubblicazione di un libro – di carta o digitale – e mi incuriosiscono le nuove forme di narrazione, le dinamiche delle nicchie editoriali e il mondo dei blog (in particolare quelli letterari).
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