Dal 2 ottobre, quando l'Organizzazione mondiale del commercio ha autorizzato il governo americano a imporre dazi sulle merci europee per 7,5 miliardi di dollari (
6,8 miliardi di euro), l’attenzione dei media del Vecchio Continente è stata catalizzata dalla guerra commerciale fra le due sponde dell’Atlantico. Ma non solo la loro.
Nella lista dei beni colpiti, disponibile sul
sito del
dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, alla sezione 4 (che indica i prodotti di Germania e Regno Unito colpiti da un
innalzamento dei dazi del 25% ad valorem) si legge infatti:

Di fronte a un grave colpo all’export di libri verso gli Usa (che solo nello Uk vale 128 milioni di sterline, pari a
143 milioni di euro), la
Publishers Association, che riunisce gli editori inglesi, ha subito lanciato l’allarme, nella giornata del 4 ottobre, dichiarando che «è completamente
inaccettabile che l’export di libri subisca un danno collaterale da una questione commerciale non connessa».
Più tardi, nella giornata di venerdì, come riporta
Publishing Perspectives, la Publishers Association ha sentito i rappresentanti del governo inglese, ottenendo chiarimenti e – parziale – sollievo. La classificazione usata dal dipartimento del Commercio Usa,
nonostante parli di «printed books»,
non comprende libri in senso proprio (per i quali si usano altre classificazioni), ma materiale stampato non rilegato che può essere suddiviso in fogli singoli.
L’associazione degli editori inglesi ha dichiarato che
continuerà comunque a vigilare sui dazi voluti da Trump: «il governo degli Stati Uniti può decidere di modificare la lista, aggiungendo o espandendo i prodotti inclusi», fino all’entrata in vigore dei dazi –
prevista il 18 ottobre.
In ogni caso, come l’imposizione di dazi sui libri sarebbe in violazione dell’
accordo di Firenze del 1950, convenzione redatta dall’Unesco per l’importazione di materiale educativo, scientifico e culturale, per favorirne la libera circolazione; l’accordo è stato
firmato da 29 nazioni e ratificato da 98, fra cui gli Stati Uniti, come ricorda
Anne Bergman-Tahon, Director della FEP.