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Mercato

Coronavirus. Un’ombra lunga sul mercato del libro in Italia

di Giovanni Peresson notizia del 10 marzo 2020

Tutto appariva tranquillo. Il 2019 si era chiuso con un importante segno positivo (+4,9%). Il valore generato dai canali trade era tornato a quello del 2011. Anche le copie, dopo anni, erano tornate a crescere. Gennaio era andato benino. Le prime settimane di febbraio avevano fatto segnare, è vero, un rallentamento nelle vendite. Nessuno immaginava cosa sarebbe accaduto al giro di boa della settima settimana.

Nell’ottava settimana – da lunedì 24 febbraio a domenica 1° marzo – le vendite di libri nelle librerie (di catena e a conduzione familiare), negli store online (compreso Amazon) e nel banco libri della Gdo sono diminuite rispetto alla corrispondente settimana del 2019 del -20,6% a valore e del -19,3% a copie. Un crollo delle vendite in sette giorni di 4,2 milioni di euro e di 259 mila copie in meno (Fonte: Nielsen). E il calo si attesterebbe a quasi un -25% considerando le librerie specializzate, quelle universitarie e quelle marginali che non rientrano nei panel degli istituti di ricerca. È la conseguenza, quella più evidente ma non la sola, dell’impatto che l’epidemia del Covid 19 sta avendo su tutto il comparto.

Questi gli effetti maggiormente percepibili e quantificabili. Nel frattempo giungevano via via le notizie di rinvii di eventi fieristici di settore: Cartoomics, London Book fair, Bologna Children’s Book fair, Bookpride, Fiera del libro di Napoli. Chiuse le biblioteche e i musei, sospese le mostre e gli eventi culturali, cancellate le presentazioni di libri e di autori nelle librerie. E lo smart working attuato da sempre più editori con le problematiche organizzative conseguenti.

L’effetto è quello di un’ombra lunga che si proietta già da ora sulle prossime settimane e sui prossimi mesi. Temiamo su tutto il 2020. Sulla produzione e il lancio delle prossime novità. Sulla stampa e la post produzione; sulla distribuzione e sulla promozione. Sulle librerie. Sul ricorso a strumenti di cassa integrazione. Un’ombra lunga che avrà effetti anche su molte delle attività svolte al di fuori dello stretto perimetro aziendale. Il nostro settore è caratterizzato da una forte esternalizzazione delle attività. Molte affidate a liberi professionisti o a studi esterni: grafici, scout, illustratori, traduttori, book blogger, organizzatori di eventi culturali; professionisti (o micro società) che si occupano dello sviluppo e della gestione dei siti e delle attività online. Il rinvio di alcune fiere internazionali in cui si tratta la cessione di diritti o le coedizioni avranno effetti su un’altra importante componente del business degli editori italiani. Ancora difficile da prevedere l’impatto che avrà sul settore educativo con l'attuale sospensione delle attività didattiche. Come – in prospettiva – sulle editorie di altri Paesi tra loro sempre più connesse in un mercato e in un interscambio globale.

Cambiano – stanno cambiando – i comportamenti del pubblico, prima ancora che dei lettori. Si leggerà di più o di meno in tempio di Tutti in casa («Repubblica», 10 marzo 2020)? Scriveva ieri Ilvo Diamanti sulle pagine di «Repubblica» (La paura della paura, p. 29): «l’in-Sicurezza e l’in-Certezza ci accompagnano da molti anni. […] Ma, da qualche tempo, sono diventate sempre più importanti, per spiegare gli atteggiamenti e i comportamenti personali e sociali. […] La paura e le paure coinvolgono diversi ambiti e diversi fronti» ma sono di casa da noi da più tempo che da qualche settimana. «Minacce eterogenee, difficili da accomunare. Se non per un aspetto. L’impossibilità di circoscriverne i confini. […]. Viviamo, da tempo, in un clima di paure. Che cambiano di volta in volta.» Paura? Sì, certo; ma anche la consapevolezza che siamo un settore che ha in sé tutti gli anticorpi per offrire a cittadini sempre più frastornati e alle istituzioni alcuni degli strumenti e delle narrazioni migliori per affrontare l’emergenza del Covid-19.

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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