C’è un Paese nel quale la crescita del mercato del libro è tale da aver condotto a un felice risultato, giustamente salutato con soddisfazione dallo SNEL, l’associazione degli editori locali: stando all’elaborazione Nielsen relativa all’undicesimo periodo, vale a dire le settimane dall’11 ottobre al 7 novembre, il Brasile ha già superato i livelli raggiunti a fine 2020, sia a valore sia a copie. Alla fine del p11 sono stati venduti 43,9 milioni di libri, per un totale di 1,83 miliardi di reais (circa 286 milioni di euro al cambio attuale), mentre a fine 2020 si contavano 41,9 milioni di libri venduti per 1,74 miliardi di reais (circa 272 milioni di euro). Detto altrimenti, tutto il venduto degli ultimi due mesi dell’anno – Natale e Black Friday inclusi – andrà a comporre lo scarto tra quest’anno e il precedente.

Partiamo dai numeri. Il p11 di per sé non è stato un periodo positivo, dato che la crescita relativa (+6,5%) è dipesa soprattutto dalla diminuzione dello sconto medio applicato e da un deciso aumento del prezzo medio  (+8,2%): il mercato a copie ha infatti perso l’1,6% rispetto allo stesso mese del 2020. Nonostante ciò, l’eccezionale crescita registrata nei mesi precedenti fa sì che l’andamento cumulato al p11 registri un +31,1% a valore e un +33,0% a copie rispetto al 2020. Se non si considerassero gli sconti e si ragionasse a prezzo di copertina l’aumento a valore sarebbe addirittura del 35,9%. Già da questo numero si può trarre una prima conclusione: nella misura in cui lo sconto medio è aumentato (passando dal 21,9% del 2020 al 24,6% del 2021) si può desumere che a trainare la crescita siano stati gli attori che, in un mercato dove il prezzo del libro non è fisso, più facilmente possono permettersi di abbassare i prezzi, vale a dire gli store online e le librerie di catena. Un’interpretazione simile, del resto, è presentata dallo stesso SNEL nel commentare i dati del p9.

La spiegazione più semplice del fenomeno, in questo caso, è senz’altro quella giusta: il 2020 è stato l’anno della pandemia e delle chiusure, mentre il 2021 ha conosciuto minori restrizioni e soprattutto un mercato più solido e reattivo. Non può essere del resto dimenticato che nel 2020 c’è stata una contrazione del 17% nel lancio delle novità, fatto tanto più grave in un mercato tradizionalmente povero di nuovi titoli. Uno dei dati che va perciò considerato con particolare attenzione è l’aumento del numero di ISBN mossi fino a questo momento, (+12%), una percentuale destinata con ogni probabilità ad aumentare a Natale. Dietro un numero simile c’è non solo un ritorno del numero di novità ai livelli del 2019, ma anche la capacità di trovare nuove forme (o di usare in maniera più efficace quelle vecchie) per comunicare, e quindi vendere, il catalogo degli editori. Lo stesso fatto può essere espresso da un altro punto di vista: il peso tanto dei primi 500 titoli quanto dei primi 5 mila rispetto al totale è in diminuzione rispetto al 2020 (anche a causa di una politica degli sconti più aggressiva sui bestseller), il che significa che il mercato è cresciuto parallelamente a una maggior varietà nell’offerta dei libri.

Dire che il lockdown sia il fattore discriminante che spiega una crescita simile è certamente vero, ma non basta: prova ne è che anche confrontando i primi due mesi dell’anno con quanto avvenuto nel 2020, quando ancora non si sapeva cosa fosse la pandemia, il cumulato presenta comunque una crescita a due cifre percentuali (+14% a gennaio e +10% a febbraio). D’altro canto, il Natale 2020 è stato particolarmente positivo e difficilmente il 2021 chiuderà a livelli simili a quelli del P11: si era al +39,9% al p7, al +34,8% al p9 e adesso al +31,1%. Si tratta di un ragionamento non dissimile da quello condotto nel presentare l’andamento del mercato italiano.

I dati, dichiara Marcos da Veiga Pereira, presidente dello SNEL, ben rappresentano «l’ottimismo che stiamo vivendo non solo nel mercato brasiliano, ma in tutto il mondo. Credo che chiuderemo il 2021 con una crescita del 25%, e speriamo che la curva prosegua nel 2022».

C’è però un elemento che non può essere dimenticato nel presentare questi dati: l’andamento del mercato nei canali trade non basta per comprendere fino in fondo l’editoria nazionale. Nei Paesi sudamericani – e il Brasile non fa eccezione – una parte rilevante della vendita dei libri dipende dalle spese dirette del governo, specie nel settore educativo, e non è monitorata da Nielsen. L’impatto che possono avere è dimostrato dal fatto che, mentre le stime per il 2020 diffuse all’inizio di quest’anno parlavano di un +2% a valore, i dati definitivi dell’associazione degli editori hanno in realtà sentenziato una perdita vicina al 9%, dipesa soprattutto dal -15% degli acquisti pubblici.

Tutti i numeri, le precisazioni e le cautele del caso non possono però omettere la trivialità di un fatto: l’aver raggiunto i valori dell’anno precedente con due mesi d’anticipo non può essere spiegato solo con cause estrinseche (rapporto col lockdown, andamento degli sconti, ruolo dell’e-commerce e così via). La conclusione da trarre da questi numeri, forse, va cercata altrove. Nel presentare i dati, lo SNEL parla di un nuovo incontro dei brasiliani con la lettura che sarebbe avvenuto durante il periodo di isolamento: è questa forse la chiave di volta dell’intero discorso, il vero cambio strutturale di cui un Paese con indici di lettura storicamente bassi (52% di lettori per una media di libri letti pari a 2,5 l’anno) ha più bisogno. È sempre Pereira a sostenere che «le persone hanno riscoperto il piacere di leggere, e ciò ha fatto sì che ricollocassero la lettura tra le abitudini giornaliere». La speranza è che anche in questo caso la spiegazione più semplice sia quella giusta.

L'autore: Bruno Giancarli

Dottorato in filosofia a Firenze, Master in editoria di Unimi, Aie e Fondazione Mondadori. Attualmente lavoro presso l'Ufficio studi Aie. Mi interessano i dati della filiera editoriale e le loro possibili interpretazioni.

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