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Librerie

I newyorkesi salvano Strand. Ma come se la passano le altre librerie?

di Samuele Cafasso notizia del 29 ottobre 2020

Questa è una storia a lieto fine. O forse no, se consideriamo che per uno che si salva – il più famoso – molti stanno soccombendo. Comunque, i fatti sono questi: Strand, la più grande e conosciuta libreria indipendente di New York, è stata sul punto di dover chiudere i battenti a causa della riduzione del giro d’affari causata dall’epidemia, ma si è salvata grazie alla generosità dei newyorkesi che hanno risposto all’appello della sua proprietaria, Nancy Bass Wyden, disperata dopo che i dati di settembre certificavano un calo di fatturato rispetto l’anno precedente del 70%.

L’appello è partito sui social network venerdì 23 ottobre: «Ci serve il vostro aiuto. Questo è un post che non avremmo mai volute scrivere, ma oggi siamo a un punto di non ritorno per la storia di Strand». Di seguito, gli ultimi dati di vendita e la richiesta agli amanti dei libri perché «salvassero» la loro libreria recandosi in negozio oppure effettuando un acquisto online. Ha funzionato: in due giorni sono piovuti sul sito 25 mila ordini online (la media giornaliera è di 600), mentre già a partire da sabato i newyorkesi erano in fila sotto l’insegna rossa della libreria, tra Broadway Street e la Dodicesima, per portare il loro mattoncino a difesa di Strand, sotto forma di libro acquistato. Pericolo scampato, dunque. Ma la storia di Strand non è la storia di tutte le librerie americane e newyorkesi, che in genere se la stanno passando molto male. E, anche se il modello Strand fosse replicabile (e probabilmente non lo è, perché non tutti possono contare su un brand così forte), rimane una domanda insoluta: al netto di operazioni di salvataggio più o meno tempestive, il modello di business su cui si basano oggi le librerie può reggere? E può reggere, in particolare, se continua la crisi Covid?

Secondo l’associazione dei librai americani, dall’inizio della crisi epidemica le librerie indipendenti hanno chiuso al ritmo di una a settimana e il trend non sembra diminuire. L’epidemia le ha colpite nella parte di business che più le distingueva dal dominio di Amazon: l’organizzazione di eventi in librerie, incontri con gli autori, firmacopie. Per Strand si tratta di 400 incontri l’anno. In ognuno di questi, si entra solo dopo aver pagato non un biglietto, ma comprato il libro. Aver spostato gli eventi online è stato un modo per mantenere il contatto con almeno una parte dei clienti, ma non garantisce entrate pari alla situazione pre-Covid. Per le grandi città, come New York, è poi praticamente azzerata la parte di introiti prima garantita dai turisti.

La situazione americana è per molti versi simile a quella in Europa, con un dettaglio non irrilevante: negli Usa, già dal 2017 i canali fisici avevano pareggiato quelli digitali e nel 2018 c’è stato il sorpasso. L’accelerazione nelle vendite online dovuta alla pandemia ha inciso su un mercato già fortemente stravolto dalle nuove abitudini di consumo degli americani e per questo quanto sta succedendo là ci dà qualche indicazione su cosa potrà succedere anche da noi.

Da una parte, lo scontro con Amazon si sta facendo sempre più esplicito e diventa un elemento di comunicazione delle librerie portato avanti in maniera molto aggressiva: l’associazione dei librai americani ha lanciato la campagna «Boxed out» il 15 ottobre, giorno di avvio di Amazon Prime Day. Mentre il gigante di Seattle lanciava le sue offerte, le vetrine delle librerie sono state tappezzate con messaggi contro Amazon e finti pacchi postali portati fuori dalle porte. Tra gli slogan riportati su carta color cartone, come i pacchi di Amazon: «Compra libri da persone che vogliono vendere libri, non colonizzare la luna», «Librerie contro miliardari: schierati dalla parte di chi ti lascia usare la sua toilette», «Libri scelti dalle persone, non da un algoritmo raccapricciante», «Amazon, le distopie lasciale a Orwell».

Dall’altra parte, la sfida si gioca però scendendo sullo stesso terreno di Amazon, ovvero la vendita a domicilio, ma con nuove piattaforme. Negli Usa, il riferimento si chiama Bookshop.org e, dallo scorso aprile, il suo business è letteralmente decollato.

Per comparazione, il caso italiano si presenta in maniera un po’ diversa, seppure i presupposti siano simili. Con il lockdown, la quota di mercato dell’online è schizzata al 48% dal 27% dell’anno precedente (dati di aprile). Con il passare dei mesi, le librerie fisiche hanno però riguadagnato un po’ di terreno, passando dal 52% al 55% a luglio e quindi al 57% a fine settembre. Alcune librerie, secondo i dati raccolti attraverso la rete Arianna, hanno addirittura migliorato le vendite rispetto all’anno precedente. Si tratta ovviamente di casi singoli, ma il trend generale ci dice che a essere premiate sono state soprattutto le librerie di quartiere, in grado di offrire un servizio di prossimità ai propri clienti superando le limitazioni dovute al lockdown grazie a iniziative tempestive di riorganizzazione dell’offerta, attraverso le consegne a domicilio all’interno del quartiere stesso, o comunque su brevi distanze. Significativo il caso di Mondadori Retail, che prima dell’estate ha rafforzato la sua crescita nel Sud Italia con dieci nuovi punti vendita che puntavano ai centri delle città più piccole oppure alle periferie. Le librerie nei centri delle grandi città, soprattutto turistiche, e le grandi strutture dentro gli snodi di trasporto, come le stazioni ferroviarie, sono invece quelle che più hanno sofferto. Inoltre, sulla scorta dell’esempio americano, le librerie indipendenti hanno esplorato anche la strada di piattaforme tecnologiche per l’acquisto online alternative ad Amazon, come Libri da asporto e Bookdealer (ne avevamo parlato qui), che oggi si affiancano alle storiche piattaforme italiane, come IBS.it e Hoepli.

Quello che ci dice però l’esperienza Usa, è che Amazon è difficilmente battibile se non facendo appello a un’etica del consumo che va oltre all’immediata convenienza economica e pratica dei servizi offerti dal gigante di Seattle. Il libro, da questo punto di vista, si incammina su una strada che è da anni già battuta da altre tipologie merceologiche, in primis gli alimentari, dove è esplicitamente richiesto ai consumatori di rinunciare a prezzi più bassi e modalità di consegna più comode a tutela di beni non immediatamente monetizzabili, come la sostenibilità ecologica o la diversità biologica. Nel caso del libro, bibliodiversità e sopravvivenza del tessuto commerciale delle città sono le parole d’ordine. Con tutte le ambiguità e contraddizioni del caso: tra le accuse rivolte a Nancy Bass Wyden, la proprietaria di Strand mai troppo amata dai sindacati a cui sono iscritti i suoi dipendenti, c’è anche quella di aver acquistato un grosso pacchetto di azioni Amazon. I soldi ricavati servono per sostenere la libreria, si è difesa lei.

L'autore: Samuele Cafasso

Sono nato a Genova e vivo a Milano. Giornalista, già addetto stampa di Marsilio editori e oggi di AIE, ho scritto per Il Secolo XIX, La Stampa, Internazionale, Domani, Pagina99, Wired, Style, Lettera43, The Vision. Ho pubblicato «Figli dell’arcobaleno» per Donzelli editore. Quando non scrivo, leggo. O nuoto.

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