Il 20 gennaio del 1920 nasceva Federico Fellini, registra tra i più significativi della storia del cinema italiano. Insignito di cinque premi Oscar (l’ultimo, nel 1993, alla carriera) Fellini è stato, come si legge sull’enciclopedia online Treccani, «grandissimo orchestratore di immagini, di visioni e di ritmi narrativi, si è rivelato maestro nel dare corpo alla passione di sogno che invade lo schermo cinematografico, dove i confini dell'immaginazione vanno a coincidere con quelli della realtà senza tuttavia mai essere condizionati da questa».
In occasione del centenario della sua nascita, l’editore Zanichelli ha celebrato la ricorrenza ricordando i lemmi che compaiono nel vocabolario Zingarelli – iconico prodotto del marchio editoriale – e che sono riconducibili al maestro. A partire dall’aggettivo «felliniano».
«I suoi film, spesso bizzarri e dall'atmosfera onirica, hanno dato vita a uno stile vero e proprio, tanto personale da derivare direttamente dal suo nome: lo stile felliniano» si legge sulla pagina Facebook dell’editore.
«Un termine utilizzato per descrivere i fotoreporter a caccia di scoop, che spesso suona quasi dispregiativo, è paparàzzo. Entrato a pieno titolo nella lingua italiana a partire dal 1960, fu coniato da Federico Fellini. Paparazzo è infatti il nome di un personaggio del film La dolce vita, uno scaltro fotografo che non si fa scrupoli pur di ottenere lo scatto giusto».
«Il dolcevita, maglione a collo alto dalla linea aderente, è un capo d’abbigliamento invernale che deve il suo nome al celebre film di Fellini “La dolce vita”, in cui il protagonista, interpretato da Marcello Mastroianni, lo indossava».
«Un termine che fino al 1953 veniva usato solo come accrescitivo di vitello o per indicare un bovino di 12-18 mesi ingrassato per il macello, grazie al film di Federico Fellini "I vitelloni" ha iniziato a rappresentare in senso figurato anche un giovane di provincia ozioso e frivolo».
«Amarcord è un termine del dialetto romagnolo che significa “io mi ricordo”. Fu adottato da Federico Fellini come titolo di un suo celebre film, improntato appunto sulla memoria della Rimini degli anni Trenta, costellata di personaggi pittoreschi, umorismo e malinconia. Grazie al regista, è divenuto un lemma del vocabolario della lingua italiana, usato per indicare proprio il ricordo e la rievocazione nostalgica del passato».
Negli ultimi anni Zanichelli ci ha abituati a un’ottima comunicazione che non di rado fa leva su
elementi sorprendenti e inusuali, ma perfettamente coerenti col portato valoriale del brand. Nel segno della commistione tra l’esperienza (fisica) e la sua propagazione (digitale) si sono mosse, ad esempio, le campagne legate al vocabolario Zingarelli
La cultura si fa strada e
Area Z: parole da salvare.
Il successo di queste iniziative – come ha avuto modo di sottolineare il responsabile della comunicazione
Gabriele Orazi durante l’incontro
Se dico «marketing» a cosa pensi? a Più libri più liberi – risiede nella sinergia tra i comparti aziendali che cooperano alla promozione.
Pubbliche relazioni, marketing, ufficio stampa, web e social: la regia è comune, le azioni sono pensate con il supporto di tutti i canali, in base alle peculiarità di ciascuno. Il risultato è coerente, l’identità del marchio rinforzata.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
Guarda tutti gli articoli scritti da Alessandra Rotondo