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Editori

Con la cultura si mangia, perchè non ci investiamo di più e meglio?

di P. Sereni notizia del 13 giugno 2012
Nonostante non sia un anno facile, sembra crescere in Italia la domanda di cultura. Secondo l'ultimo rapporto di Federculture, presentato oggi a Roma, nel 2011 sono cresciuti i visitatori di mostre (+14%) e musei (+7,5%), ma anche dei numerosi festival della penisola (+10% il Festivaletterature di Mantova) e, a dispetto delle tasche vuote, aumenta la spesa delle famiglie per il settore, che nel 2011 ha sfiorato i 71 miliardi di euro con un +2,6% rispetto al 2010.
Eppure se questi numeri dimostrano che con la cultura si mangia, l'assenza di una vera  e propria politica culturale nel nostro Paese, anche a livello di politiche di sviluppo, si fa sentire e sta iniziando ad allontanare anche i privati (che nell'incertezza dell'intervento pubblico sicoraggia all'investimento) mentre la crisi fa fuggire gli sponsor, scesi dell'8,3% rispetto al 2010, in caduta libera (-38,3%) se si guarda al 2008.
Una crisi culturale che parte dalle università e dagli atenei dove, secondo i dati riportati nel rapporto, «nell'ultimo anno sono crollate le immatricolazioni» mentre nessun istituto rientra nella classifica internazionale delle migliori università (Bologna è la prima in 183/a posizione). 
La domanda culturale, fa notare il presidente di Federcultura, Roberto Grossi, «cresce in relazione allo sviluppo delle politiche culturali e a quello del sistema di produzione e di offerta, per questo serve una politica pubblica». Politica vuole dire anche investimenti e Federculture ricorda che negli ultimi dieci anni il bilancio del ministero della cultura (Mibac) in Italia è diminuito del 36,4%, arrivando nel 2012 a 1.425 milioni di euro contro i 2.120 del 2001. E che per la cultura lo Stato investe oggi solo lo 0,19% del suo bilancio. Cifre che fanno ancora più impressione se confrontate con gli anni del secondo dopoguerra: nel 1955, ben prima del boom, l'Italia investiva in cultura lo 0,8% della sua spesa totale, il quadruplo di quello che investe oggi.
Qualcosa va cambiato, suggerisce Grossi, «nel rapporto con i soggetti privati bisogna passare da una logica di sponsorship a una logica di partnership. Se il tema è quello della produzione e della gestione, è arrivato il momento di chiedere ai privati di diventare partner e condividere obiettivi e finalità sociali nel medio-lungo periodo».
Citati nel Rapporto 2012 anche i dati sull'export italiano di beni creativi (+11,3%) con l'Italia che per il design è il primo paese esportatore, tra le economie del G8.

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