La piattaforma – che si definisce una repository digitale per la ricerca accademica, dove gli utenti possono rendere disponibili i loro lavori in maniera citabile, condivisibile e ricercabile – vuole esaminare e quantificare l’attitudine dei ricercatori a lavorare con gli open data, partendo dalle loro esperienze.
Realizzata con la collaborazione di alcuni gradi editori di settore (come Springer Nature e Wiley), l’indagine ha potuto contare quest’anno sulle risposte di
2.300 partecipanti, contro i 2 mila dell’anno passato. Sul fronte della provenienza geografica, il report registra una crescita di partecipanti tra i ricercatori dell’area asiatica (dal 20% al 29%), dell’Africa (dall’1% al 6%) e del Sud America (dal 5% all’8%).
Le ragioni che spingono i ricercatori a condividere in Open Access i dati della ricerca scientifica.
Fonte: Figshare
Stando ai dati rivelati dall’indagine, i ricercatori starebbero diventando più consapevoli dell’importanza degli open data e del loro utilizzo (l’82% degli intervistati di quest’anno contro il 73% di quelli dello scorso anno); mentre sarebbe sempre meno rilevante, nell’avvicinarsi alla condivisione aperta del sapere scientifico, il fattore anagrafico. L’utilizzo degli open data, infatti, non mostra un incremento significato tra i ricercatori più giovani rispetto a quelli più anziani: se tra i 25-34enni è passato dal 75% del 2016 all’85% del 2017, anche tra i 55-64enni ha conosciuto un incremento percentuale di dieci punti (dal 70% all’80%). In generale, la disponibilità dei ricercatori a utilizzare set di dati aperti nella propria ricerca è cresciuta in maniera simile per tutti i gruppi di età, spingendo i numeri attorno all’80%.
Anche l’attitudine alla condivisione di quei ricercatori già avvezzi all’accesso aperto è aumentata nel confronto tra 2016 e 2017, rallentando però la sua corsa: nell'ultimo periodo è passata «solo» dal 57% al 60%. Si è ridotta, invece, la percentuale di chi non ha mai reso apertamente disponibile un set di dati, passando dal 23% del 2016 al 21% del 2017. Analizzando più in profondità questa specifica percentuale di ricercatori, si scopre che il 65% di loro sarebbe comunque disponibile ad usarne in un lavoro di ricerca, mentre il 63% è genericamente a conoscenza della loro esistenza (era il 51% solo un anno fa). In generale, cresce la propensione dei ricercatori a «curare i dati» in vista della condivisione: dal 67% dell’anno scorso al 74% di oggi, un incremento di sette punti percentuali.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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