Dopo l’Associazione Librai Italiani, anche l’Associazione Italiana Biblioteche ha rinnovato le sue cariche istituzionali: a fine maggio è stato presentato il nuovo Comitato esecutivo nazionale, che guiderà l’associazione per i prossimi tre anni. Ad assumere la carica di presidente è Rosa Maiello, che fa parte dell’associazione dal 1995 e che dal 2004 è direttore della biblioteca d’ateneo dell’Università Parthenope di Napoli e, dal 2015, capo ad interim dell’Ufficio protocollo e archivio: da sempre impegnata nell’ambito delle questioni biblioteconomiche con particolare specializzazione nelle tematiche giuridiche, anche in virtù della sua prima laurea in giurisprudenza, che l’ha portata a occuparsi di open access, copyright, e gestione e conservazione dei documenti. A questi si aggiunge un tema che è stato evidenziato nelle linee programmatiche del neoeletto Comitato: l’«accesso libero alla biblioteca, accesso aperto alla conoscenza», con cui si intende la promozione dello «sviluppo delle strategie, delle policy, dei linguaggi, delle tecniche e delle tecnologie per costruire, aggiornare, far conoscere e garantire il più ampio utilizzo delle collezioni e dei servizi bibliotecari».
«Accesso libero alla conoscenza» rimanda senz’altro anche alla libertà di edizione, che sembra un tratto distintivo della sua nuova presidenza. Cosa l’ha portata a questa decisione?
In realtà le biblioteche sono configurate per supportare la libertà d’espressione in tutti i suoi aspetti. Libertà di espressione significa libertà di ricerca scientifica, diritto all’apprendimento, diritto a poter confrontare fonti diverse. Le cinque leggi di Ranganathan, che delimitano lo statuto della biblioteconomia moderna, propongono proprio un’idea di biblioteca come istituto della democrazia. Noi sosteniamo questo concetto, è nel nostro DNA. Certamente con un’accentuazione che vorrò – per quanto può fare il presidente di un’associazione – promuovere e incentivare. Da questo punto di vista sono molto contenta del convegno Nella geografia del dissenso. Voci e luoghi di una resistenza civile organizzato da AIE a Tempo di libri sull’argomento. E spero ci saranno future possibilità di collaborazione in questa direzione. Credo che libertà d’espressione racchiuda molti elementi: nel mondo delle biblioteche pubbliche, anche in anni recenti, sia in Italia che all’estero ci sono stati casi di censura più o meno diretta: nella selezione dei libri da acquistare, da mettere a disposizione del pubblico, legata alla selezione e al rivolgersi in maniera privilegiata a determinati pubblici, indipendentemente dalla missione istituzionale delle biblioteche. Su «Biblioteche oggi», di tanto in tanto Carlo Revelli ci aggiorna su questo argomento. Uno dei suoi ultimi articoli è dedicato a una sua ricerca che ha rilevato come anche nelle biblioteche statunitensi, dove si dice che la libertà d’espressione sia coltivata in tutti i modi possibili, siano stati denunciati casi di discriminazione nei confronti di persone omossessuali, o di scarsa attenzione nei confronti di quelli che vengono definiti new Americans: gli immigrati di prima generazione che avrebbero bisogno nelle biblioteche di comunità di servizi mirati all’inclusione. Il tema, come vede, ha molte sfaccettature e va approfondito. C’è poi tutto il discorso sulla neutralità delle piattaforme, in particolare di quelle commerciali, che è di stringente attualità nelle policy dell’Unione Europea.
Per il nostro Paese non giocano anche le minori risorse disponibili, tanto per il personale quanto per le collezioni?
Sì, è senz’altro vero. Tra l’altro la tendenza, soprattutto in ambito digitale, a promuovere gli acquisti «a pacchetto» ̶ un modello di business che si va diffondendo e che presenta per altro degli indubbi vantaggi in termini di semplificazione gestionale ̶ sposta le risorse a favore delle principali case editrici. Questo favorisce meccanismi di concentrazione nel mercato. Sono argomenti complessi, ma vanno affrontati sia sul versante scientifico dell’approfondimento, sia sul versante delle policy. Nelle biblioteche ci sono delle best practice, dei modelli di gestione che offrono una selezione neutrale dei contenuti. Però quando la biblioteca deve rispondere ai fabbisogni dell’utenza può apparire più facile affidarsi a soluzioni «a pacchetto», piuttosto che a policy astratte che la biblioteca potrebbe essersi data. Anche per questioni di budget, ormai molto ridotti.
Sta delineando una riflessione di rapporti di filiera, per la carta che per il digitale. Quali sono i punti nodali su cui bisognerà ragionare insieme nei prossimi anni?
Credo che il discorso vada affrontato a seconda dei «segmenti di mercato», dal punto di vista editoriale e bibliotecario. C’è l’editoria di varia per cui dovremmo prevedere la valorizzazione delle iniziative indipendenti. In tal senso dovremmo approfondire quali possano essere le policy e le cornici normative che incoraggino la pluralità. Poi sarebbe necessaria una riflessione sulle piattaforme di servizi, in linea con ciò che si sta muovendo a livello internazionale. Una riflessione sulle politiche della lettura, che è una cosa diversa e complementare rispetto alla promozione del libro (che senz’altro ci deve vedere uniti, e abbiamo già dei progetti in corso: da #ioleggoperché, al progetto di alternanza scuola-lavoro). Dovremmo focalizzarci sugli aspetti più culturali del mercato, sul posizionamento degli intermediari tradizionali rispetto ai nuovi attori emergenti sulla scena. Non ultimo, approfondire le tematiche della ricerca scientifica, dai meccanismi di valutazione adottati per l’accesso a finanziamenti e l’avanzamento delle carriere alle modalità di diffusione. Riguardo al secondo aspetto, noi – come sa – siamo promotori dell’accesso aperto che nel nuovo contesto tecnologico presenta una serie di opportunità. Ci vorrebbe quindi un confronto più serrato sulle strategie possibili: lo abbiamo proposto da tempo, abbiamo avuto anche degli incontri con AIE, ma purtroppo non dei tavoli permanenti come sarebbe secondo me auspicabile fare. Sull’accesso aperto all’editoria scientifica bisognerebbe fare in Italia una riflessione più attenta. Penso che questo tra l’altro avvantaggerebbe anche gli stessi editori in termini di visibilità dei loro contenuti, e non solo. Ci sarebbero poi le politiche della conservazione del patrimonio a lungo termine. Le prossime generazione non potranno leggere gran parte di quello che ha avuto occasione di leggere e di apprendere l’attuale generazione. Tutto questo si combina con le tendenze obiettive lungo un piano inclinato che non favorisce certo la valorizzazione delle diversità culturali e del multiculturalismo: questo provoca un forte rischio, soprattutto per le future generazioni,che potrebbe portare al controllo delle informazioni orientato al condizionamento.
Nei rapporti di filiera c’è anche il tema del prestito digitale?
È stata emanata di recente una sentenza della Corte di Giustizia europea che secondo il nostro punto di vista afferma una cosa ovvia. L’utilizzazione di un’opera digitale corrisponde perfettamente a quella di un titolo pubblicato su carta. Significa che il prestito è fruito da un utente per volta, per una durata limitata e senza cessione a terzi dei contenuti, né possibilità di riutilizzo. Non si capisce perché non debba applicarsi lo stesso tipo di eccezione anche ai libri in formato digitale. Il nostro ordinamento sul diritto d’autore è molto ancorato all’ambiente cartaceo, e il digitale viene percepito ancora come una minaccia piuttosto che come un’opportunità. Le dico molto francamente che proprio le opportunità offerte dal digitale rendono minima l’utilizzazione descritta dall’eccezione sul prestito digitale, però questa eccezione ci sembra una precondizione utile per stimolare, come le direttive europee in materia di copyright miravano e mirano a fare, buone pratiche di mercato. Molte biblioteche non comprano libri digitali perché non li possono utilizzare come utilizzano quelli cartacei. Questa è una strozzatura da superare con strategie sostenibili nell’immediato e nel medio termine dal mercato e dagli editori, e dal punto di vista della fruizione dei contenuti da parte degli utenti. A nostro parere l’attuale «iperregolazione» nel sistema del copyright va superata con appropriate riforme che promuovano l’evoluzione del mercato (quelle proposte dalla Commissione Europea nel 2016 e attualmente all’esame di Parlamento e Consiglio UE propongono alcune soluzioni parziali ma vanno migliorate). Senza dimenticarci che si pubblica per rendere pubblico quanto si è prodotto. Bisogna interrogarsi su come rendere il più fluida possibile la fruizione, nel rispetto dei legittimi interessi di tutti gli attori della filiera, a cominciare dagli autori e proseguendo con i traduttori, gli editori, eccetera. Ridimensionare la larghezza delle maglie permetterebbe anche di affrontare meglio il fenomeno della pirateria informatica dei contenuti. Le biblioteche, in quanto istituti pubblici nel dubbio si conformano alla legge e alla massima prudenza. Dal nostro punto di vista queste strozzature – paradossalmente – favoriscono la pirateria e causano una serie di costi indiretti che potrebbero essere destinati invece agli investimenti sull’innovazione.Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.
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