L’editoria statunitense chiude il 2020 in parità: +0,1% a valore rispetto al 2019. Per i risultati definitivi dell’anno occorrerà aspettare ancora qualche mese, ma il report dell’Associazione degli editori americani (AAP) individua delle linee di tendenza piuttosto chiare. Dietro tale risultato si nascondono prestazioni profondamente diverse tra loro, abitudini di lettura che vengono abbandonate e altre che invece si consolidano, speranze e segnali preoccupanti.
I mesi di gennaio e febbraio, come si capisce facilmente, fanno storia a sé: la crescita per i primi due mesi dell’anno ha interessato le diverse aree (trade, educativo, universitario e professionale) in maniera tutto sommato omogenea, e ha proseguito quel cammino di lenta ripresa per il settore iniziato nel 2019 dopo tre anni di fila chiusi con il segno meno. Da marzo in poi si assiste a una discrepanza fra il trade e il resto: la pandemia porta con sé il crollo della scolastica e dell’editoria universitaria, come avevamo già visto commentando i dati del primo quadrimestre. Da settembre l’editoria universitaria inizia a riprendersi, arrivando a chiudere l’anno con un +2,2%. Non va comunque dimenticato che rappresenta pur sempre una quota minoritaria del mercato rispetto al molto più ricco settore degli Higher educational course materials(i prodotti editoriali destinati all’istruzione di terzo grado, circa il 13% dell’intera editoria americana nel 2019), che segna un -4,4% rispetto al 2019. La scolastica, invece, non è riuscita a recuperare: il -19,6% registrato è il principale responsabile della crescita zero del 2020, e cancella quanto di buono il settore aveva fatto nel 2019 (+20,4% e un ritorno ai valori del 2015). Va infine enfatizzata la tenuta dell’editoria professionale (+1% rispetto al 2019), a differenza di quanto accaduto in molti altri Paesi, soprattutto europei.
Se il comparto educativo soffre, il grande vincitore del 2020 è senz’altro il trade, che segna un +9,7% a valore rispetto al 2019, trascinato dal +12% del settore adulti. Il rapporto dell’AAP non distingue per generi: occorre perciò basarsi sulle statistiche offerte dall’NPD group a inizio anno. Già allora si era capito che il 2020 era stato un ottimo anno per l’area. Secondo l’istituto di ricerca, il merito andrebbe alla narrativa per bambini e alla non-fiction per adulti, in particolare per quanto riguarda i libri legati alla politica (non a caso il best seller degli Stati Uniti del 2020 è A promised land, di Obama). Più in generale, a essere decisive sono state tanto le nuove esigenze imposte dalla pandemia quanto la stretta attualità: il fenomeno, cioè, sarebbe dipeso dall’aumento delle attività domestiche (come riflettono le vendite di libri di cucina e di intrattenimento per i bambini), così come dall’interesse per le presidenziali e per le grandi questioni sociali – soprattutto etniche – che hanno caratterizzato anche quest’anno.
L’ultima considerazione da fare riguarda i formati dei libri venduti: l’hardcover rappresenta a valore il 41,4% del mercato, il paperback il 31,6%. Il digitale è sì in crescita ma in maniera relativa: gli ebook coprono il 13,4% del valore del mercato (+15,6% rispetto al 2019), il download di audiolibri l’8,3% (+16,5%). Crollano gli audiolibri in formato fisico, i quali vengono venduti soprattutto nei periodi festivi come regali. I dati del digitale, ottimi ma non sbalorditivi, non devono far pensare che gli Stati Uniti siano in controtendenza rispetto all’Europa, continente nel quale le vendite del digitale nel 2020 hanno conosciuto un’impennata ancor più ripida (pensiamo al +37% degli ebook e al + 94% degli audiolibri in Italia): il mercato americano è più maturo ed è maggiormente abituato alla diffusione di libri in formato digitale.
Simili dati, però, non devono far dimenticare una questione cruciale per l’ecosistema editoriale americano: se è vero che l’anno si è concluso in parità, che il libro digitale continua a crescere e soprattutto che l’editoria trade esce dal 2020 addirittura rafforzata, ciò è successo a discapito delle librerie. Unendo i dati poc’anzi citati al -28,3% delle librerie riportate dall’'Ufficio del censimento degli Stati Uniti d'America a metà febbraio, si deduce che l’anno passato ha implicato un drastico cambiamento nelle abitudini dei consumatori: non potendo comprare libri in libreria, essi si sono rivolti altrove. In un Paese tradizionalmente legato alle vendite dei best seller, si tratta di un segnale ancor meno incoraggiante. Solo i prossimi mesi potranno dirci se le librerie riusciranno a riconquistare le quote di mercato perdute o se la crescita dell’e-commerce proseguirà ulteriormente.
Dottorato in filosofia a Firenze, Master in editoria di Unimi, Aie e Fondazione Mondadori. Attualmente lavoro presso l'Ufficio studi Aie. Mi interessano i dati della filiera editoriale e le loro possibili interpretazioni.
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