Il mondo dell’editoria, tutto sommato, è il posto migliore dove essere di questi tempi. Quella che abbiamo davanti, come è emerso dalla Fiera di Francoforte, più che un’industria in crisi è, infatti, un settore in pieno fermento.
Cambia il ruolo e il peso delle libreria tradizionale (ricordiamo che in Italia – secondo i dati Aie – quelle on line hanno subito un incremento pari al 25% nell’ultimo anno), al lavoro dell’agente letterario e dello scout si affianca il mercato crescente degli autori che scelgono il self publishing e ora Amazon, che è stato i tutti questi processi ha avuto un ruolo non indifferente, scardina anche l’ultimo tabù e, a qualche settimana dal lancio del nuovo Kindle Fire, si propone come editore non più solo di libri digitali ma anche cartacei.
Saranno infatti 122 i titoli che, sotto la guida dell’editor rubato all’industria della carta, Laurence Kirschbaum, il retailer di Seattle inizierà dal 2012 a pubblicare negli States (il primo titolo pare sarà il manuale di cucina di Tim Ferriss, noto autore «self-help»).
A far discutere, come al solito, è il modo in cui Amazon ha sponsorizzato il nuovo business e rischia di mandare a carte quarontotto logiche editoriali consolidate. La compagnia di Bezos ha infatti incoraggiato alcuni scrittori ad allontanarsi dai propri editori proponendogli direttamente contratti per i loro testi e offrendogli royalties ben maggiori di quelle standard comunemente proposte dagli editori tradizionali.
Russell Grandinetti, uno degli amministratori delegati del sito, in una recente intervista ha ben illustrato questa filosofia: «le uniche persone necessarie per pubblicare un libro sono lo scrittore e il lettore. Tutti quelli che si trovano in mezzo a loro hanno gli stessi rischi e le opportunità » si tratti di un sito di e-commerce o di un piccolo editore.
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