
Il primo cellulare dotato di fotocamera è comparso sul mercato nel 2000, con una risoluzione di 0,1 megapixel. Il millennium bug era un pericolo scampato da poco, Google era solo un motore di ricerca e i blog, prima, e i social network, poi, sarebbero sbocciati negli anni successivi.
Il Web era ancora 1.0, esistevano i newsgroup; Internet stava per esplodere e la bolla delle Dotcom lo avrebbe fatto di lì a qualche mese.
La possibilità di scattare dal cellulare seguiva quella tendenza alla popolarizzazione del mezzo (e della competenza) che, dalle usa e getta nei fustini del Dash alle compatte digitali, anche la fotografia stava sperimentando. Erano foto in pessima qualità, francobolli difficili persino da trasferire dal dal cellulare al pc. Le diapositive delle vacanze costituivano, al confronto, uno strumento di condivisione molto più «social».
C’è voluto il Web 2.0: c’è voluto Flickr e poi Instagram e la svolta visuale di praticamente tutte le piattaforme social, oltre all’avanzamento tecnologico, alla connessione in mobilità e all’aumento dei megapixel, per fare degli smartphone strumenti di condivisione e comunicazione visiva, culminando – da un paio d’anni a questa parte – nel fenomeno massivo del selfie.
È interessante osservare come attorno ai comportamenti umani, alle mode e alle non sempre condivisibili abitudini sviluppate dagli utenti, si affinino gli strumenti del marketing. Sempre più al passo con i clienti la cui attenzione intendono raggiungere, sempre più integrati e inscindibili rispetto alle loro abitudini di consumo, sempre più in ascolto dei loro bisogni, non tanto fisici e materiali, quanto sociali, simbolici, di autorappresentazione.
Attorno alla mania collettiva dell’autoscatto, per esempio, si è sviluppato un vero e proprio
sottogenere del social media marketing: il selfie marketing. Definitivamente consacrato dall’iniziativa di Samsung alla notte degli Oscar, che ha generato il contenuto – l’autoscatto di Ellen DeGeneres con i volti noti di Hollywood – più condiviso e più quotato di sempre (pare attorno al miliardo di dollari), il selfie marketing sta affascinando inserzionisti e brand delle più varie categorie, a partire da quelli del lusso.
L’autoscatto, ad ogni modo, più che una moda passeggera destinata a estinguersi nel tempo di qualche scroll, è diventato
un vero e proprio canone espressivo; non a caso, anche la comunicazione politica e quella pubblica se ne stanno servendo ampiamente: da Obama al Papa, passando per Samantha Cristoforetti e Matteo Renzi.
Se venire fotografati è essere rappresentati, fotografarsi è rappresentarsi: un modo (probabilmente edonista e sicuramente autocelebrativo) di mostrarci agli altri per come ci vediamo e per come vorremmo che anche loro ci vedessero. Il selfie, in una società atomizzata e individualista come la nostra, è uno strumento autonomo di comunicazione,
un modo per raccontare la propria storia agli altri, a prescindere dagli altri. È inoltre risaputo che i contenuti di maggiore impatto sui social network – più facili alla viralizzazione – sono quelli visuali: era pertanto prevedibile che i brand non lasciassero a lungo ignorato il fenomeno dei selfie.
In ambito librario, se oltreoceano c’è già chi
in vetrina ci mette i lettori, una delle iniziative di maggior rilievo è quella di
Victor Miron, book-selfie promoter rumeno di cui Marco Massarotto ha parlato a
Editech 2015, che dell’autoscatto con copertina ha fatto un vero e proprio mestiere.
Guardando oltre il libro, sono tante le realtà a indirizzarsi verso il selfie marketing: i marchi di abbigliamento avevano sicuramente la strada spianata, anche perché il concetto stesso di vetrina replica in scala minore quelli di set, showroom e sfilata. Per esempio, già qualche anno fa, Ted Baker, brand inglese di abbigliamento e accessori, aveva coinvolto i suoi fan nella campagna natalizia «Merry Kissmass», invitandoli a fotografarsi davanti alle vetrine del marchio mentre si scambiavano un bacio.
È degli ultimi giorni, invece, la notizia che Snapchat – la popolare piattaforma di messaggistica istantanea che fu «evanescente», e ora consente di rivedere i messaggi per 99 centesimi – dopo aver implementato un sistema di micropagamenti, lancerà una serie di filtri e sticker sponsorizzati che i giovani utenti potranno applicare ai loro autoscatti. Questi contenuti saranno progettati per conto e assieme ai brand inserzionisti e, considerando che il lancio avverrà per Halloween, non è difficile ipotizzare che i primi a sperimentare la nuova forma di marketing saranno gli studios hollywoodiani.
Per quanto riguarda l’Italia, il primato è sicuramente dei marchi di haute couture: durante la settimana milanese della moda, la maison Dolce&Gabbana, in linea con il sostanzioso utilizzo di Instagram fatto dagli stilisti, ha messo in scena una selfie-sfilata. Le modelle, nel ruolo di turiste in visita al belpaese, sfilavano tra le scenografie di un’Italia pizza, mandolino e pupi siciliani auto immortalandosi con i loro smartphone.
Una celebrazione di kitsch ed egotismo? Probabilmente.
Ma anche all’osservatore meno attento non sfuggono le folle di turisti che, nelle vie del centro delle nostre maggiori città, fotografano e si fotografano davanti alle vetrine dei brand del lusso, simbolo d’italianità e di buon gusto. Se le vetrine sono sfondi di scatti che verranno condivisi all’istante con ampie e ramificate cerchie di amici, perché i marchi non dovrebbero ripensarle come momenti di comunicazione, non solo per gli occhi del passante che le osserva dal vivo, ma anche per l’utente che le scorre in differita su Instagram, magari a centinaia di migliaia di chilometri di distanza?
Tanto il marketing sa stare al fianco del consumatore, anticipandone e prevedendone i comportamenti senza suggerirgliene, tanto più apparirà solubilizzato nei gesti quotidiani, tollerato e metabolizzato, integrato nelle proprie azioni e nel proprio storytelling personale senza essere considerato come intruso e indesiderato.
E le librerie? Qualche tempo fa Letteratura Rinnovabile premiava le vetrine più belle negli scatti dei lettori. Chissà che l’idea delle vetrine da selfie non possa funzionare anche per quelle popolate da libri: creando allestimenti fotogenici, magari gli autoscatti arriveranno!