
Quando si ha un catalogo di comprovato
valore è giusto e necessario cercare di far arrivare questo patrimonio a quanti più lettori possibili; ad esempio non solo lavorando e facendosi conoscere in patria, ma cercando di offrire anche all’estero i libri e gli autori su cui tanto si investe – e non solo. Questo è quello che hanno deciso di fare, ormai dieci anni fa, Sandro Ferri e Sandra Ozzola:
così è nata Europa Editions, costola statunitense di E/O, che in questo decennio si è fatta conoscere e amare dai lettori americani (e, da qualche anno a questa parte, anche britannici), inserendosi in uno dei mercati più difficili in cui entrare. Ma com’è stato possibile riuscirci? E soprattutto, avendo un esempio così particolare e luminoso, perché nessuno ha provato a seguirne le orme? Ne ha parlato approfonditamente
Sandro Ferri, durante il confronto
Posso farlo solo con l’America? Ferri ha esordito dicendo che, benché molti li abbiano definiti «geni del marketing», riferendosi in particolare al successo della Ferrante (e dell’hashtag
#ferrantefever), in realtà questa loro impresa è nata da un misto di impulso e di ragionamento. Conoscendo gli Usa e ipotizzando che le percentuali di libri in traduzione (bassissime, verso il 3%) fossero dovute non a una sorta di «provincialismo» americano, bensì a delle mancanze editoriali – prima fra tutte, il fatto che pochissimi nelle case editrici statunitensi conoscono bene il mercato europeo, o parlano una lingua straniera – il passo successivo è venuto quasi spontaneo. E i risultati hanno confermato le sue impressioni: cominciando a proporre
traduzioni buone, coadiuvate da uno stile e una grafica fortemente italiani e riconoscibili (al contrario delle case editrici americane, che tendono a non sottolineare l’identità editoriale), sono riusciti a entrare in questo che è considerato uno dei mercati più difficili e competitivi. E questo nonostante le scelte appena descritte fossero state inizialmente considerate con molta negatività da parte dell’ufficio commerciale.
Anche
la distribuzione ha giocato un ruolo fondamentale nel portare Europa Editions sotto gli occhi dei lettori americani. La casa editrice ha cominciato affidandosi al distributore Consortium, che in seguito è stato acquistato da una realtà molto più grande, in cui Ferri non ha trovato ciò che cercava; grazie a una serie di incontri e conoscenze, tuttavia, Europa è riuscita a passare in tempi piuttosto brevi a essere distribuita dalla Penguin, che oltre ai propri imprint si occupa solo di altre tre/quattro case editrici. Ferri non ha esitato a definire questo passaggio come il «salto» che ha portato Europa Editions a essere quel che è ora.
Ha poi sottolineato che sono stati molto attenti a non presentarsi come editori di
translated fiction, per
non essere «ghettizzati» (come le case editrici universitarie) e non allontanare il pubblico potenziale; anche per questo si è deciso di pubblicare subito, a fianco degli autori del catalogo italiano, alcuni scrittori anglofoni. In questo è stato fondamentale l’ufficio americano, che si occupa dello scouting per gli autori statunitensi, della promozione, dell’ufficio stampa e commerciale; mentre il cuore editoriale rimane a Roma. Una
situazione «bifronte», per cui a volte c’è la necessità di bloccare i «moti indipendentisti» d’oltreoceano: la linea editoriale è al 100% quella della sede madre, e dato che il suo «controllo strategico» sta portando a buoni frutti, la resistenza è fondamentale.
Un altro tassello importante è rappresentato dalle librerie indipendenti. Europa Editions vende una percentuale consistente dei propri titoli attraverso questi punti vendita:
My Brilliant Friend di Elena Ferrante, in classifica del New York Times, ha venduto il 30% delle copie nelle librerie indipendenti (quando per i grandi gruppi la percentuale è del 10% circa). È un periodo di rinascita per le librerie, che tuttavia – sostiene Ferri – dovrebbero cominciare ad accettare che è anche il brand editoriale ad essere importante: secondo l’editore non ne riconoscono la progettualità e danno merito della ripresa solamente al proprio approccio local (che però, in maniera diversa, meno geografica, hanno anche le case editrici che tengono un confronto diretto coi lettori).
Parlando della possibilità della nascita di altre esperienze di questo tipo, Ferri si dichiara ottimista.
Volendo, un progetto come quello di Europa Editions potrebbe essere replicato ovunque, fatto salvo che chi comincia l’attività conosca bene il mercato in cui si va a immettere. Il più è riuscire a sviluppare un progetto e a trovare i libri giusti, e capire quando è meglio ritirarsi (com’è successo a lui e a Sandra Ozzola quando hanno provato ad aprire una casa editrice nel mondo arabo). In generale, comunque, in un mondo globalizzato, nonostante le differenze linguistiche, posso riuscirci tutti, editori grandi e piccoli indistintamente.
A chiudere l’incontro un breve commento di
Stefano Mauri (presidente di GeMS), che seguiva dal pubblico (dopo aver parlato durante l’incontro inaugurale), che ha parlato dell’esperienza di
Duomo Ediciones, simile a Europa ma nel mercato spagnolo, prevedendo quest’anno come il primo in cui la casa editrice chiuderà con degli utili, dopo diversi anni piuttosto burrascosi dovuti alla crisi e, all’inizio, a una certa incompatibilità con gli uffici spagnoli.
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