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Lettura

Diventare lettori? Anche una questione di fortuna

di Giovanni Peresson notizia del 17 dicembre 2019

Famiglia e biblioteche scolastiche. Sono questi i due vettori fondamentali per la formazione dei lettori, per l’allargamento della base di lettura e di acquisto, per migliorare i livelli di competenza dei cittadini italiani. La conferma – ulteriore ed ennesima – arriva dall’incrocio di due indagini. La prima, di Istat, relativa al 2018. La seconda, precedente, presentata da Rita Marzoli e Ornella Papa durante la conferenza I dati INVALSI: uno strumento per la ricerca presentata (Firenze 17-18 novembre 2017).

Cominciamo dalla prima, là dove mostra come l’abitudine alla lettura si apprenda (anche) in famiglia. Legge il 79,4% dei ragazzi di 6-18 anni con entrambe i genitori lettori. Legge il 36,2% dei ragazzi con nessun genitore lettore. La tabella dice più di tante parole. Si legge per tradizione familiare, si legge se si ha la fortuna di nascere in una famiglia piuttosto che in un’altra. E leggendo di più si hanno maggiori opportunità di carriera, sbocchi professionali, reddito.




Se non si ha la fortuna di nascere in una cosiffatta famiglia? La risposta potrebbe essere: la scuola, la biblioteca scolastica e quella pubblica interverranno per pareggiare le condizioni di partenza. Sorvoliamo sulle biblioteche scolastiche, sulla concentrazione della spesa per il funzionamento delle stesse e le distorsioni che a loro volta presentano e concentriamoci sulla seconda indagine.
 
Il livello di funzionamento (orario di apertura, prestito, consultazione) delle biblioteche scolastiche risulta associato «a un andamento crescente dei punteggi alle prove INVALSI, con differenze notevoli soprattutto nelle scuole secondarie di secondo grado – scrivono Rita Marzoli e Ornella Papa – ma significativi in tutti i livelli scolastici». Così come risulta associato all’ampiezza e alla consistenza del patrimonio della biblioteca scolastica. E alla fortuna di nascere in un quartiere dove c’è una scuola con una biblioteca con un maggiore o minore patrimonio librario.

 


I ragazzi che frequentano una scuola con meno di 500 libri conseguono un punteggio medio alle prove INVALSI Italiano livello 10 di 53,9 (poco più di 13 punti sopra quello minimo). Quando i libri diventano più di 5 mila, i coetanei dei ragazzi precedenti conseguono un punteggio medio di 64,2. In un range più contenuto, la differenza si coglie anche nelle prove Italiano livello 5: là dove la biblioteca ha meno di 500 libri il punteggio medio si ferma a 60. Se i libri salgono a più di 5 mila il punteggio medio sale a 63,3.
 
Insomma, è molto una questione di fortuna: nascere in famiglie con genitori che leggono, che hanno compiuto percorsi di studio superiori, con consumi culturali affluenti. Ma anche abitare in zone del Paese dove le scuole hanno biblioteche funzionanti, più ricche, animate da personale più competente. Se la prima fortuna – è spiacevole dirlo – può non capitare (ma il dovere di istruire i propri figli resta legalmente sancito), la seconda – più che in sorte – dovrebbe toccare di diritto. A tutti. Come peraltro prescritto in più di un articolo della nostra Costituzione.

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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