Da quando Christie’s ha battuto all’asta un file JPG, Everydays – The First 5000 Days, per 69 milioni di dollari l’attenzione al mondo degli NFT (non-fungible token) e più in generale alle opportunità che la tecnologia blockchain offre è aumentata vertiginosamente. È di qualche giorno fa l’annuncio di Bookwire, distributore tedesco specializzato in contenuti digitali, di prevedere per l’autunno il lancio di una piattaforma blockchain che dia vita a un mercato di NFT per l’editoria.
Un NFT, semplificando, è un’informazione digitale crittografata unica che può essere associata qualcos’altro, per esempio un file digitale. Grazie alla blockchain, tutte le transazioni e tutti i movimenti che riguardano l’NFT sono trasparenti e soprattutto tracciati, il che rende di fatto l’NFT assimilabile a un certificato di proprietà. Poiché è possibile ricostruire la catena all’indietro in ogni momento, la paternità di un file NFT è sempre nota. In linea di principio qualsiasi oggetto digitale può «diventare» un NFT, ma come per qualsiasi altro bene certificarne la titolarità ha senso solo in virtù della sua scarsità. Se finora le applicazioni hanno riguardato il mercato dell’arte e del collezionismo – un esempio è quello delle figurine Panini – il caso di Bookwire fa da apripista per un nuovo modello di business per l’editoria.
La blockchain è per definizione una tecnologia disintermediante. A rendere perciò peculiare il caso di Bookwire è proprio il suo essere un distributore: l’idea è quella di mettere a disposizione un servizio per autori ed editori affinché questi possano «offrire ai propri clienti prodotti attraenti ed esclusivi, capaci di soddisfare le esigenze delle nuove generazioni di lettori digitali». Non è infatti scontato che la maggior parte degli editori possegga le competenze e gli strumenti per entrare in un mercato simile. Bookwire conta di poter effettuare in coincidenza con il lancio della piattaforma il primo drop, cioè un evento digitale in cui mettere in vendita un numero ridotto di NFT.
Un NFT garantisce sia il possesso di un bene sia l’esclusione di una sua contraffazione: i prodotti editoriali più indicati a diventare NFT sono perciò contenuti digitali esclusivi come prime edizioni, registrazioni particolari e più in generale oggetti a tiratura limitata. La sicurezza che tale tecnologia assicura ha così portato molti a immaginare applicazioni nell’ambito del diritto d’autore e dell’attribuzione di royalties. Per quanto un NFT non possa sostituire completamente il copyright – banalmente, apporre una «firma» su un oggetto non elimina eventuali contenziosi legati agli eventi che precedono l’upload di un’opera – il caricamento su blockchain rimane comunque un evento decisivo per la tutela del bene. È anche per questo che già un mese fa SIAE ha decido di creare più di 4 milioni di NFT per rappresentare, per la prima volta, i diritti d’autore come asset digitali.
Di fronte a strumenti così promettenti, ma ancora «emergenti», è comprensibile che all’entusiasmo di alcuni faccia da contraltare lo scetticismo di altri. Non è affatto detto che gli NFT, come li conosciamo oggi, siano il mezzo giusto per soddisfare le esigenze del mercato che si sta per creare: come afferma l’AD di Bookwire John Ruhrmann, «il clamore che circonda gli NFT potrebbe diminuire, ma la tecnologia rimarrà». Difficilmente, in altre parole, si potrà prescindere dalla blockchain per tutelare i prodotti digitali. Consapevole della portata del tema, l’AIE segue da anni gli sviluppi di questa tecnologia per cercare di capire le sue applicazioni nella copyright infrastructure. Quel che è certo è che si è aperto un orizzonte di possibilità in larga parte ancora da esplorare per l’editoria: la sfida è quella di farsi trovare preparati.
Dottorato in filosofia a Firenze, Master in editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Attualmente lavoro presso l'Ufficio studi AIE. Mi interessano i dati della filiera editoriale e le loro possibili interpretazioni.
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