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Editori

Premi letterari: ne vale la pena? Se ne discute in Australia

di Camilla Pelizzoli notizia del 12 dicembre 2016

Alla fin fine i problemi dell’editoria sono più o meno gli stessi in tutti i Paesi: raggiungere il maggior numero di lettori possibili, trovare libri di qualità, renderli magari dei bestseller, anche attraverso la vittoria di un premio letterario. Ma i premi hanno davvero una qualche ricaduta promozionale?

In Italia – almeno stando alle ricerche già svolte, parziali ma piuttosto esemplificative – alcuni premi riescono ancora a dare un’effettiva scossa al mercato; essenzialmente lo Strega e il Campiello, più in parte il Bancarella. In altri Paesi, però, il gioco parrebbe non valere la candela. È il caso dell’Australia, almeno, dove in questi giorni si sta discutendo sull’effettivo merito dei riconoscimenti letterari per gli editori e sulle ricadute economiche che partecipare – e spesso non vincere – ha sui bilanci di fine anno.

L’argomento è salito agli onori della cronaca dopo che Terri-ann White, direttrice di University of Western Australia Publishing (una casa editrice che pubblica sia lavori accademici, sia narrativa e poesia), ha mandato una mail agli autori pubblicati dalla propria casa editrice spiegando che l’anno prossimo nessuno sarebbe stato proposto a premi letterari, dopo che nel 2016 in quest'ambito sono stati spesi 10 mila dollari australiani (tra quote d’ammissione – che fanno da sole un quinto del totale –, tempo lavorativo, libri inviati, costi postali, ecc.); una cifra che, per un editore da circa 30 titoli l’anno, «va oltre le [loro] risorse» (per citare le parole usate della stessa White).

«I ritorni rispetto ai nostri sostanziosi investimenti ogni anno per i titoli finalisti e vincitori e i minimi risultati di vendita da parte dei nostri titoli vincenti ci dicono qualcosa riguardo al modo in cui i premi e i riconoscimento operano in questi giorni» ha scritto sempre la White; e, facendo un esempio, ha aggiunto una considerazione sui riconoscimenti economici dei premi letterari: «Quando il libro da noi pubblicato Poems 1957-2013 di Geoffrey Lehmann ha vinto il Prime Minister’s Literary Award per la poesia, nel 2015, l’autore ha ricevuto il generoso premio di 80 mila dollari, ma noi non abbiamo visto alcun risultato nelle vendite».

La White ha inoltre affermato che gli autori che vorranno partecipare a dei premi non saranno fermati, ma che dovranno pagare di tasca propria l’iscrizione, e inviare le copie necessarie a partire da quelle che vengono date di diritto all’autore. Un impegno che molti, anche volendo, non potrebbero prendersi.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Intervistati dal «Sydney Morning Herald», molti editori si sono detti d’accordo con i punti critici evidenziati dalla White, ma in disaccordo sulla soluzione da lei scelta per affrontare il problema. Molti si sono detti felici di supportare i propri autori, puntando su un numero ristretto di premi ben selezionati e adatti ai propri titoli: indubbiamente i costi, sommando quanto viene speso per ogni premio, possono essere proibitivi – e tanti, soprattutto piccoli ma anche tra i grandi gruppi, non hanno nascosto di aver tagliato il budget assegnato ai premi, che spesso richiedono dai 50 ai 100 dollari di tassa d’iscrizione e l’invio di 4-6 copie  – ma a questi riconoscimenti viene ancora dato credito di riuscire, in particolare, a dare sicurezza e conferme ai propri autori, e di riuscire a raggiungere dei lettori (i giudici di questi premi) che possono considerarsi influencer e che quindi potrebbero essere d’aiuto nel passaparola di un determinato titolo, anche se questo non dovesse poi risultare vincitore. In linea generale da queste interviste sembra di capire che il problema di molti piccoli editori australiani sia quello di non avere il budget necessario per capitalizzare eventuali nomination e vittorie, al contrario dei gruppi editoriali, che hanno parlato di costi senz’altro alti, ma almeno supportati da un buon riscontro di notorietà e vendite.

Tra i suggerimenti proposti per migliorare lo stato delle cose, tanto i piccoli quanto i grandi hanno proposto di abbassare le quote d’iscrizione, o di rimuoverle direttamente per i piccoli editori; di ridurre il numero di categorie interne ai vari premi per abbassare le quote e per dare più attenzione ad ognuna; di accettare copie digitali; e di annunciare i finalisti e i vincitori con anticipo per promuovere meglio i titoli nelle librerie, affiancando gli editori nel marketing.

Infine, gli intervistati hanno indicato quali sono i premi che, per la loro esperienza, smuovono effettivamente qualcosa nel mercato: come in Italia, sono essenzialmente tre, ovvero il Miles Franklin Literary Award per il romanzo, lo Stella Prize for women writers e il Children’s Book Council of Australia.

L'autore: Camilla Pelizzoli

Laureata in Lettere moderne (con indirizzo critico-editoriale), ho frequentato il Master in editoria. Mi interessa la «vita segreta» che precede la pubblicazione di un libro – di carta o digitale – e mi incuriosiscono le nuove forme di narrazione, le dinamiche delle nicchie editoriali e il mondo dei blog (in particolare quelli letterari).

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