«Come editori europei dobbiamo essere coraggiosi nel difendere la libertà di espressione e curiosi nell’avvicinarci alle altre editorie nazionali». Le parole di Peter Kraus vom Cleff (Rowohlt - vicepresidente della Federation of European Publishers), riassumono egregiamente i contenuti dell’incontro  Il ruolo degli editori nella costruzione dell’identità europea, oggi a Più libri più liberi.

L’editoria moderna è nata e si è sviluppata in Europa. Oltre metà del mercato mondiale del libro è fatto da editori europei, nel senso che sono editori e gruppi editoriali che hanno la loro sede nel «vecchio continente» (55,6%). In termini di spesa del pubblico per acquisto di libri stiamo parlando di 24,1 miliardi di euro (ma mancano dal calcolo molte editorie: Polonia, Paesi baltici…), sopravanzando il mercato statunitense, che si ferma a  21,5 miliardi.

Fitto è l’interscambio di autori e traduzioni tra i Paesi, come la reciproca partecipazione a fiere e saloni: tra quelle professionali e quelle dedicate al grande pubblico, solo la rete europea ALDUS ne riunisce 18 in 14 Paesi, ma altre ancora ne esistono. Sul fronte della compravendita di diritti editoriali, la Francia ne acquista 7.461 dal Regno Unito, 738 dalla Germania, 397 dalla Spagna e 569 dall’Italia. A sua volta l’Italia ne vende 550 alla Francia, 434 alla Germania, 214 al Regno Unito, 1.117 alla Spagna. «Le traduzioni in Europa rappresentano in media il 20% della produzione editoriale globale, per gli Stati Uniti è il 9%. La reciproca curiosità è un’articolazione dell’essere europei» ha infatti precisato Éric Vigne (Gallimard).

Tutto ciò ha contribuito alla creazione di una identità europea, e di un «lettore» europeo. E non da oggi. «Bisogna però in primo luogo intenderci su cosa pensiamo sia la cultura europea» avverte Giuseppe Laterza (Laterza editore). «Non una semplice sommatoria delle culture nazionali, ma qualcosa di più. Senza una cultura comune non può esserci una politica comune, e non può esserci una politica comune se non c’è fiducia. E la fiducia si basa sulla conoscenza». Come maturarla? «Non solo con le traduzioni, ma con una progettazione editoriale europea».

In un recente libro di Orlando Figes, Gli europei (Mondadori 2019, pp.198-201) si può leggere, riferendosi ai decenni tra i 1840 e 1870: «Le traduzioni rappresentarono una percentuale sempre più elevata della narrativa edita a metà del secolo. Più cresceva il numero dei lettori più cresceva la domanda [di romanzi]. Poiché la domanda era enorme e gli scrittori di ciascun Paese non riuscivano a soddisfarla all’interno dei loro confini, erano gli autori stranieri a colmare il divario.Perfino la Francia e la Gran Bretagna, le due nazioni che avevano il predominio nella produzione letteraria europea, videro il loro mercato aprirsi a un numero crescente di opere tradotte. […] Data la loro forte cultura letteraria, Francia e Gran Bretagna pubblicavano meno traduzioni dei Paesi che, avendo un numero inferiore di scrittori nazionali, dipendevano di più dalle opere straniere. […] Uno dei risultati del boom di traduzioni fu la crescente omologazione dei temi, formati, stili e idee nella letteratura di tutta Europa e del mondo».

I programmi di reciproci contributi alle traduzioni tra anni Ottana e Novanta del secolo scorso hanno ulteriormente favorito questo processo di reciproci scambi di autori, titoli, letterature, linguaggi, generi. Come lo ha favorito il turismo tra i Paesi europei, o la «generazione Erasmus». Non è difficile immaginare che se nel 2017 (ultimo dato disponibile) il turismo internazionale ha raggiunto un totale di 1,32 miliardi di arrivi nel mondo, di cui 671 milioni in Europa (il 51 % del mercato), qualche effetto deve pur esserci sulla curiosità e gli interessi dei lettori nei confronti degli autori, le letterature, le vicende storiche, sociali e politiche, nei confronti delle narrazioni dei Paesi che si vistano.

Nonostante legislazioni e normative diverse contiamo 610 mila titoli (circa 350 mila negli Usa). Un mercato appetibile per Amazon, Google, Apple sia per le sue dimensioni sia per la sua fragilità intrinseca, in cui diventa facile applicare la strategia del Risiko. È un mercato dai ricchi contenuti e dai molti lettori e clienti. «Senza un controllo sui prezzi Amazon rimarrebbe l’unico concorrente, ma quello che vogliamo come editori non è vendere soltanto best seller» ha precisato vom Cleff. «I big player americani lucrano sui contenuti prodotti in Paesi ai quali non restituiscono adeguatamente ricchezza, non pagando lì le tasse».

Essere presenti in questo mercato significa poter accedere ad opportunità infinite per trovare, distribuire, vendere, produrre contenuti («Cosa sarebbe Netflix senza lo storytelling europeo?» ci si è chiesti durante l’incontro). Questo da parte di aziende che operano con paradigmi imprenditoriali molto diversi rispetto a quelli degli editori europei (e di tutti gli altri attori della filiera), che affrontano il mercato con nuove focalizzazioni e sguardi inediti, «disinibiti», per così dire.

La questione – che resta necessariamente aperta – sarà ridefinire il ruolo dell’editore nell’attuale scenario continentale. E chiedersi se gli editori europei riusciranno a mantenere la loro funzione sociale e culturale nell’ecosistema disegnato dai player globali e dalle tecnologie. Intanto un grande successo a giusta tutela del nostro settore e dei suoi contenuti arriva, qualche mese fa, dall’approvazione al Parlamento europeo della riforma sul diritto d’autore, ricorda il presidente di AIE Ricardo Franco Levi.

Senza dimenticare gli altri due grandi temi che come Associazione e come comparto industriale ci vedono impegnati: la lettura, per cominciare. «Si dice sempre che in Italia si legge poco, ma non è del tutto vero» ha sottolineato il presidente. «C’è un’Italia i cui tassi di lettura sono perfettamente allineati con quelli europei e c’è un’Italia che non ha i mezzi e gli strumenti per sviluppare questi tassi di lettura. Con iniziative come #ioleggoperché ci proponiamo proprio di superare questa frattura». E poi, in stretta connessione, la tutela della libertà di espressione «che per AIE non è parola vuota» e che assieme alla libertà di edizione è al cuore dell’impegno degli editori europei.

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

Guarda tutti gli articoli scritti da Giovanni Peresson