«Abbiamo partecipato a una gara indetta da Mondadori per occuparci del rebranding di una singola collana degli Oscar» racconta
Andrea Braccaloni, fondatore e direttore creativo di Leftloft. «Inizialmente non conoscevamo neanche l’ordine di grandezza del progetto. Avendo vinto, abbiamo cominciato a lavorare sulle copertine dei volumi che ci sono stati affidati: il nostro lavoro deve essere stato apprezzato perché la Mondadori ci ha comunicato che voleva ci occupassimo
dell’intero catalogo degli Oscar!».
Un piano ambizioso – soprattutto se si pensa a quanto sia mastodontico ed eterogeneo questo catalogo – che ieri abbiamo approfondito da un punto di vista editoriale con
l’intervista a Luigi Belmonte, responsabile della storica collana Mondadori. E che oggi discutiamo con Andrea Braccaloni di Leftloft, direttore creativo dello studio di design che ha dato operativamente seguito all’azione
di rebranding e di restyling.
«Per chi fa il nostro lavoro si tratta di un progetto enorme» commenta Andrea. «Abbiamo accettato con la consapevolezza dell’onore e dell’onere che avrebbe comportato, e della collezione unica di prodotti editoriali della quale saremmo stati chiamati a occuparci».
Quali sono state le fasi e quali i tempi del progetto?
Per il momento ci siamo occupati del ridisegno delle prime sei collane del catalogo Oscar Mondadori: in 5 settimane siamo arrivati ai file esecutivi di stampa per 200 copertine e attualmente stiamo lavorando ad altre 170.
Uno degli aspetti interessanti del progetto, a mio avviso, sta nel suo assetto marcatamente industriale. Il design, d’altronde, è sempre estremamente legato alla concretezza della produzione, e la bontà dell’operazione è anche una diretta conseguenza di
quest’impostazione quasi fordista del lavoro, che ci ha consentito di raggiungere buoni risultati in tempi molto stretti.

D’altronde i tempi di un progetto simile non avrebbero potuto essere molto più dilazionati: il tascabile ha una logica di collana molto forte e una serialità editoriale che non avremmo potuto assecondare se non avessimo considerato il lavoro come un corpus unico.
L’operazione di riposizionamento degli Oscar sembra sottendere un’aspirazione più ambiziosa: un ripensamento del tascabile in generale. Da un lato impreziosito con elementi di novità e pregio (come i tagli cartotecnici), dall’altro esaltato nel suo animo popolare…
Il nostro intento era quello di risultare assolutamente popolari: non volevamo fare dei prodotti «fighetti», respingenti. Bensì invitanti, quasi chiassosi. Soprattutto con i Classici, che non sono ancora arrivati in libreria, ci piaceva l’idea di essere persino un po’ blasfemi, maneggiando con foga ciò che di solito viene trattato con i guanti bianchi. E questo non per manifestare mancanza di rispetto, ma perché ci sembrava corretto in primo luogo in termini di differenziazione sullo scaffale. Infatti in particolar modo sui Classici, che raccolgono opere orami fuori diritti, c’era l’esigenza di distinguere gli Oscar dalle edizioni «concorrenti» che il lettore può trovare in libreria.
In secondo luogo ci piaceva l’idea che – soprattutto perché molti di questi titoli finiranno
tra le mani degli studenti – non ci fosse un trattamento della cultura tale da renderla respingente e irraggiungibile: ci proponevamo di essere seduttivi anche nei confronti di un pubblico che normalmente non è attratto da questi libri, né da questo tipo di consumo culturale.

Per quanto riguarda, poi, i tagli della copertina, fino alla fine abbiamo temuto che l’idea non passasse, quindi abbiamo concepito un progetto che si sostenesse anche senza. Alla fine l’abbiamo spuntata e siamo sicuri che parte del successo del restyling risieda proprio nella memorabilità di una copertina così concepita. E anche nell’espansione dello spazio, che ci consente di avere più area sulla quale sedurre dal punto di vista visivo un potenziale acquirente. Il taglio introduce e affascina, dà respiro, incuriosisce.
E soprattutto non incide sul costo di produzione.
Come cambia la copertina ai tempi dell’e-commerce? E il ruolo del grafico?
In questo come negli altri nostri progetti siamo stati attenti a realizzare delle copertine riproducibili di piatto, senza indulgere in un uso eccessivo di effetti speciali di stampa che non avrebbero avuto una buona resa nelle vetrine digitali. Anche l’utilizzo di una palette cromatica di forte impatto aiuta on line, come pure la riconoscibilità offerta dal marchio e da un design che si mantiene costante – pur negli elementi essenziali – di libro in libro.
Per quanto riguarda il ruolo del grafico, invece, mi piace sempre ricordare che non è il decoratore che arriva alla fine del processo produttivo. Per poter rispondere senza ritardi alle esigenze del cliente abbiamo impostato un flusso di lavoro molto rigoroso, distribuito su un doppio livello: progettuale e industriale. Questo processo ha richiesto un coordinamento significativo con la casa editrice. Lo scambio è stato continuo, tanto da spingere noi ad accettare proposte grafiche che venivano dalla redazione e loro ad accogliere nostri interventi quasi editoriali.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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