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Editori

Golan contro Holder, sentenza storica Usa per il diritto d'autore

di R. Esposito notizia del 25 gennaio 2012

Lo scorso 18 gennaio la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America si è pronunciata su un annoso caso che si pone all’intersezione tra diritto internazionale, diritto d’autore e tutela delle libertà fondamentali delle persone, e che avrà ripercussioni sullo stato dei diritti, nel territorio statunitense, di un numero potenzialmente enorme di opere dell’ingegno straniere: Golan contro Holder.
La vicenda è complessa, ed è indispensabile andare per ordine. Nel 1989 gli Stati Uniti aderirono alla Convenzione di Berna (l’accordo internazionale che garantisce il riconoscimento reciproco del diritto d’autore tra i Paesi aderenti). Tuttavia, il Congresso precisò subito che sarebbe rimasto escluso dall’ambito dell’implementazione della Convenzione il suo articolo 18, che prevede che essa «si applica a tutte le opere che al momento della sua entrata in vigore non siano ancora cadute in pubblico dominio nel loro Paese d'origine per effetto della scadenza della durata di protezione».
Il motivo di questa esclusione è semplice: negli Usa erano considerate nel pubblico dominio tutte le opere create in Paesi con cui non esistessero rapporti bilaterali in materia di diritto d’autore, o per le quali non fossero state adempiute le formalità richieste dagli USA per ottenerne la protezione, a prescindere dal loro stato di diritti nel paese di origine.
Nel 1994, per correggere questa anomalia, venne promulgato l’Uruguay round agreements act – Uraa, che uniformò la disciplina della protezione delle opere dell’ingegno straniere in Usa a quella di tutti i paesi aderenti a Berna.
Di conseguenza, si applicò la cosiddetta «copyright restoration» a favore di tutte le opere che erano state fino a quel momento considerate in pubblico dominio. Venne cioè ripristinato il termine di durata della protezione che sarebbe spettato alle opere nel proprio paese di origine. Siamo finalmente al motivo per cui Lawrence Golan, un direttore d’orchestra di Denver, insieme a numerosi musicisti, registi, e all’American civil liberties union (e con l’appoggio di Google, interessata alla vicenda per i suoi noti servizi di digitalizzazione massiva di opere dell’ingegno), per circa 10 anni ha contestato la normativa americana in materia presso vari organi giurisdizionali, fino ad arrivare alla Corte Suprema.
Dopo l’Uraa, infatti, lamenta Golan, alcune opere che erano considerate di pubblico dominio negli Stati Uniti, e pertanto liberamente utilizzabili, sono state nuovamente immesse nel novero delle opere protette, e vengono trattate accordando loro la stessa tutela che avrebbero avuto nel paese di origine.
Questo costituirebbe addirittura una violazione del Primo Emendamento, che garantisce, tra le altre cose, la libertà di parola e di stampa. In maniera più realistica e onesta, fa semplicemente sì che opere protette in tutto il resto del mondo siano protette anche negli Usa.
Golan eccepisce anche che il Congresso, adottando l’Uraa, abbia violato la Copyright clause della Costituzione americana (che riguarda la promozione del progresso delle scienze e delle arti, e assicura agli autori il diritto esclusivo di sfruttamento delle proprie opere, per un periodo di tempo limitato).
La pronuncia della Corte Suprema ha definitivamente affermato che il Congresso ha legiferato in maniera non contraria alla Costituzione, e quindi non c’è più alcun dubbio in merito al fatto che anche le opere straniere che erano considerate in pubblico dominio negli Stati Uniti sono nuovamente protette fino al termine naturale della durata del rispettivo diritto d’autore.

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