
«Se questo è il modo in cui Amazon tratta la comunità letteraria,
per quanto tempo ancora resisterà la sua reputazione?» termina così la
lettera che la
Authors United, un gruppo trasversale che unisce più di mille autori americani, ha indirizzato direttamente al direttivo di Amazon nel tentativo di alzare l’asticella del dibattito pubblico e spingere Bezos a porre fine alla guerra di logoramento che da sei mesi lo vede schierato
contro Hachette.
La lettera pubblicata lunedì mattina e aperta fino a domani alla firma degli autori che vorranno aderire sarà poi spedita al board direttivo di Amazon ovvero, tra gli altri, a Patricia Q. Stonesifer, ex numero uno della Gates Foundation; Jamie S. Gorelick, vice procuratore generale durante l'amministrazione Clinton; John Seely Brown, ex direttore dello Xerox Research Center; Thomas O. Ryder, già amministratore delegato del Reader’s Digest; Judith McGrath, ex presidente di Mtv e naturalmente Jeffrey P. Bezos.
Al centro della missiva,
la seconda che viene indirizzata al retailer, c’è
un’ampia riflessione sulla reputazione di Amazon. Gli autori obiettano infatti che, all’interno della trattativa commerciale per il prezzo di vendita dei libri digitali di Hachette, Amazon avrebbe avuto ben altre scelte che non comportassero effetti collaterali per i 2.500 autori del gruppo francese (dal rifiuto del pre-order, ai ritardi nelle spedizioni, fino all’uso di pop up per reindirizzare gli acquirenti verso titoli di altri editori).
«Russell Grandinetti di Amazon ha dichiarato che la società è stata "costretta a fare questo passo perché Hachette ha rifiutato di continuare le trattative". Ha anche affermato che "gli autori sono l'unica leva che abbiamo". Ma noi siamo convinti che, come una delle più grandi multinazionali del mondo
Amazon non è stata "costretta" a fare nulla. Abbiamo sempre la possibilità di fare delle scelte» si legge nella lettera.
Queste sanzioni hanno avuto pesanti effetti sulle vendite degli autori del gruppo francese con
perdite che, a seconda dell’autore, stanno andando
dal 50% al 90%, senza contare gli effetti disastrosi per gli esordienti.
«Se Amazon vuole smettere di vendere un bene di consumo perché non riesce a raggiungere un accordo commerciale con il fornitore, ha tutto il diritto di farlo. Tutti noi apprezziamo lamette da barba più economiche e scarpe scontate, ma
i libri non sono beni di consumo. I libri
non possono essere scritti più a buon mercato e gli autori non possono essere esternalizzati in Cina. I libri non sono tostapane o televisori. Ogni libro è l'unico e il ruolo dell’editore, che spesso finanzia un opera solo a partire da un idea, sostiene gli autori e li mette nelle condizioni, anche economiche, di scrivere è fondamentale per garantire la libertà di espressione. Ed è proprio questo processo che Amazon sta ostacolando».
Per il momento
la trattativa tra il retailer e Hachette resta congelata: da un lato Amazon spinge per ridurre la percentuale che Hachette incassa dalla vendita dei propri titoli digitali, con l’obiettivo dichiarato di agire per garantire un maggiore risparmio al cliente finale. Dall’altro Hachette sostiene che l’80% dei propri libri abbiano già il prezzo di copertina richiesto da Amazon – 9,99 dollari – e che la vera molla che spinge il retailer, è la ricerca di un maggior profitto per se stesso, non importa se realizzato sulle spalle di editori, autori e degli altri store.