A rivelarlo sono alcuni dati condivisi da Istat pochi giorni fa, con riferimento al biennio 2018-2019. La quota (del 33,8% di media) scende al 14,3% tra le famiglie con almeno un minore, ma schizza al 41,6% nelle regioni del Sud, dove la percentuale di case caratterizzate da una copertura «uno a componente» di tablet e/o personal computer si arresta a poco più del 14, contro una media nazionale – già abbastanza scarna – del 22,2%.
Sono dati particolarmente interessanti da apprendere in queste settimane, quando gli schermi dei nostri dispositivi diventano portali d’accesso importanti ai mondi che abbiamo dovuto lasciare fuori dalla porta. L’emergenza legata alla diffusione del Covid-19, infatti, ha messo in evidenza la necessità di avere a casa una strumentazione informatica adeguata per consentire agli studenti la possibilità di seguire le lezioni a distanza, a chi lavora di continuare a farlo da casa, a chiunque lo desideri di relazionarsi con gli altri, guardare film e serie, coltivare forme di intrattenimento per il tempo libero.
Tutte attività che risultano di complessa gestione in un panorama nazionale in cui il 57% dei minori in età scolare (6-17 anni) deve condividere la dotazione informatica con la propria famiglia (contro un 6,1% che dispone del proprio computer/tablet personale). Per cui, sebbene la stragrande maggioranza di questi bambini e ragazzi viva in una casa col l’accesso a Internet (96%), non sempre questa è condizione necessaria e sufficiente per consentire di svolgere le proprie attività in rete.
Venendo alla distribuzione geografica del fenomeno, le regioni del Sud sono quelle più colpite sia dall’assenza di dispositivi in casa che dalla loro insufficiente presenza (il 26,6% ha a disposizione un numero di pc e tablet per meno della metà dei componenti). Viceversa, nelle regioni del Nord la porzione di famiglie con almeno un computer in casa è maggiore: in particolare a Trento, Bolzano e in Lombardia, dove oltre il 70% ne possiede almeno uno, come pure nel Lazio. E nel Nord cresce anche la quota di famiglie in cui tutti i componenti hanno un pc, superando il 26%.
Un panorama molto disomogeneo, insomma, sul quale faranno altrettanto disomogenea presa le tante iniziative attivate in queste settimane per agevolare la riorganizzazione delle agende digitali dei più piccoli. Se non altro per questioni pratiche, concrete, legate alle possibilità di fruizione.
I dati Istat ispirano anche riflessioni apparentemente controintuitive sullo stato del digitale in Italia e sulla sua diffusione presso le fasce d’età più giovani, alle quali ci siamo abituati ad attribuire in automatico uno statuto di appartenenza digitale.
Si apprende, infatti, che «nel 2019, tra gli adolescenti di 14-17 anni che hanno usato Internet negli ultimi 3 mesi, due su 3 hanno competenze digitali basse o di base mentre meno di tre su 10 (pari a circa 700 mila ragazzi) si attestano su livelli alti». A fronte di un 3% che non ha alcuna competenza digitale, circa i due terzi presentano competenze digitali basse o di base.
Potrebbe voler significare che quei giovani e giovanissimi che immaginiamo sempre impegnati in un fluido e continuativo utilizzo dei loro smartphone non dispongano, in realtà, di solide precognizioni digitali e sul digitale. Che complice potrebbe essere anche la scarsa disponibilità di device diversi dallo smartphone, e che il semplice accesso all’infrastruttura Internet e l’utilizzo dello strumento non siano in realtà garanti né di alfabetizzazione né di buona educazione digitale.
Le rilevazioni Istat, peraltro, misurano la percezione di queste capacità secondo le indicazioni del «Digital Competence Framework», quindi facendo differenza tra diversi tipi di skill: dalla ricerca/archiviazione e analisi delle informazioni in rete all’abilità a comunicare in ambienti digitali, dalla capacità di risolvere problemi tecnici a quella di servirsi di software per creare contenuti testuali, audio e video, all’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale. Uno spettro che aiuta senza dubbio a indagare meglio – magari cogliendone i limiti – la categoria opaca dei «nativi digitali».
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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