Il romanzo italiano del lockdown è già stato scritto nel 1957 da Lalla Romano, si intitola
Tetto murato e presto sarà pubblicato in francese e in inglese (mentre in italiano è disponibile in tascabile per Einaudi), probabilmente anche in altre lingue. È una storia interessante per capire meglio le dinamiche che presiedono alla compravendita dei diritti sui mercati internazionali quella che racconta
Claire Sabatié-Garat, direttore generale della
Italian Literary Agency. Con lei concludiamo il nostro breve viaggio tra i manoscritti italiani vergati in tempo di pandemia, un
percorso in tre tappe incominciato con
Fiammetta Biancatelli di Walkabout e proseguito la settimana scorsa con
Carmen Prestina dell’agenzia Alferj e Prestia.
Tetto murato è un romanzo che racconta la vita di due coppie di amici chiuse in casa per la guerra, in uno sperduto paese del cuneense. Quella di Giulia, Paolo, Ada e Stefano, per dirla con le parole di una recensione di Eugenio Montale del 1958, «non è una cronaca di guerra; né può dirsi che la Romano indulga a un’accademia resistenziale. Tutti coloro che hanno conosciuto l’agonia di certe ore e stagioni che parevano rovesciare o sospendere ogni norma della nostra vita consueta sanno che da simili esperienze si esce (quando si possa uscirne) consapevoli di qualche verità fino a quel tempo insospettata. Nel caso di Tetto Murato questa verità è, se si vuole, l’amore».
Il libro ha suscitato, durante il lockdown, le curiosità di Brian Robert Moore, traduttore in lingua inglese, che ha sviluppato un sample di traduzione che si è aggiudicato il PEN Grant for the English Translation of Italian Literature. «Dal sample è nata un’attenzione maggiore, abbiamo proposto il titolo come uno dei nostri highligths, è da lì è nato un interesse per un’autrice che era stata un po’ dimenticata all’estero» spiega Claire Sabatié-Garat. Risultato: i diritti sono stati acquistati per la pubblicazione in lingua inglese da Pushkin Press e in lingua francese da Gallimard (che in realtà l’aveva già pubblicato nel 1995). «Abbiamo molto interesse anche in Spagna, Germania e Olanda».
La vicenda narrata da Sabatié-Garat racconta un po’ anche il rapporto ambiguo che chi scrive, ma anche chi lavora con i libri, ha intrattenuto con la pandemia e con la vita stravolta dei mesi passati: siamo in cerca di storie che la mettano in scena, che ci forniscano significati e chiavi di lettura, ma cerchiamo anche una distanza da quell’esperienza totalizzante attraverso storie che riguardano altri luoghi e altri tempi. E, come già ci hanno raccontato altri agenti letterari, è vero che durante la pandemia tutti gli italiani, scrittori professionisti e aspiranti esordienti, hanno scritto di più: «Direi che il nostro servizio di lettura ha avuto un incremento che quantificherei in un 20%. Tuttavia non ci sono state molte storie che parlando direttamente della pandemia, piuttosto affrontano elementi di questa, come l’isolamento, la paura di un nemico. I generi più battuti continuano a essere la memoria familiare, il romanzo di formazione».
Per quanto riguarda invece gli scrittori professionisti, molti – Maurizio De Giovanni, Alice Basso, Caterina Fiorello, per citarne alcuni – hanno continuato nei loro progetti di serie, altri hanno scritto e riflettuto sulla pandemia che è al centro, pur in maniera non diretta, dell’esordio di Filelfo, pseudonimo dietro cui si cela uno scrittore (o scrittrice?) che racconta un mondo fantastico, dove gli animali si alleano per salvare il mondo dall’uomo. Tra chi ha ragionato sulla pandemia, Paolo Rumiz uscirà in autunno con un nuovo libro intitolato Canto per Europa e «molti autori stanno lavorando al loro prossimo importante romanzo: Nadia Terranova, Antonio Scurati, Chiara Gamberale».
Sono nato a Genova e vivo a Milano. Giornalista, già addetto stampa di Marsilio editori e oggi di AIE, ho scritto per Il Secolo XIX, La Stampa, Internazionale, Domani, Pagina99, Wired, Style, Lettera43, The Vision. Ho pubblicato «Figli dell’arcobaleno» per Donzelli editore. Quando non scrivo, leggo. O nuoto.
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