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Curiosità

Il libro nel cassetto. L’agenzia Alferj e Prestia racconta cos’hanno scritto gli italiani durante la pandemia

di Samuele Cafasso notizia del 8 giugno 2021

La giusta distanza è quella che, secondo Carmen Prestia, ha fatto sì che gli italiani – scrittori, esordienti e aspiranti esordienti – non concentrassero le loro narrazioni pensate durante il lockdown su mascherine, infezioni e ospedali. Il che non vuol dire che la pandemia non abbia influenzato i racconti, ma l’ha fatto spesso per vie laterali, alimentando in alcuni la ricerca di un altrove fantastico, in altri stimolando una riflessione sul nostro rapporto con il pianeta, in altri ancora spingendo verso nuovi modi di narrare e generi.

È con l’agenzia Alferj e Prestia che continua il nostro breve viaggio tra i manoscritti italiani vergati in tempo di pandemia, un percorso in tre tappe incominciato la settimana scorsa con Fiammetta Biancatelli di Walkabout.

«Il grande romanzo italiano della pandemia non si è ancora visto, no, ma chi come noi fa questo mestiere sa che ci sono molte voci, molti talenti, qualcosa verrà sicuramente fuori. Se in Francia l’editore forse più prestigioso ha chiesto di non spedire più manoscritti in casa editrice perché tutti sembrano essersi scoperti scrittori, in Italia potrei dire che tutti, anche prima della pandemia, avevano un manoscritto nel cassetto» ironizza Carmen Prestia, che pure sottolinea la sua grandissima attenzione, da sempre, nei confronti degli esordienti.

«Li abbiamo letti ancora di più nell’ultimo anno e ancora che ci regaleranno gradite sorprese. Noi non abbiamo mai pensato di stoppare il nostro servizio di lettura, posso dire che certamente c’è stato un incremento della scrittura, ma questo vale anche per gli autori che già seguivamo, in molti hanno avuto più tempo per dedicarsi alla scrittura. Le parole gli hanno tenuto compagnia in questo tempo sospeso, li hanno aiutati a esorcizzare».

Prestia ricorda i molti progetti, a cui hanno partecipato autrici come Alessia Gazzola, Ritanna Armeni, o autori come Antonio Manzini, che hanno voluto raccontare la pandemia e allo stesso tempo raccogliere fondi per ospedali e sanitari in prima linea nell’emergenza, uno scrivere che diventava aiuto anche per gli altri, non solo per se stessi. La stessa Gazzola inoltre, con Un tè a Chaverton House, scritto a puntate durante la pandemia e distribuito a una ristretta cerchia di lettori prima della pubblicazione, ha rinnovato l’idea di scrittura come ponte tra le persone, «perché le storie uniscono, creano un legame, consolano e in momenti eccezionali salvano dai brutti pensieri».

«Dei molti manoscritti ricevuti – continua Prestia – solo in un paio di casi i gel disinfettati e le mascherine sono entrati nella narrazione. Io in una maniera un po’ censoria ho cercato di tenermi lontana da racconti che avessero a che fare con la pandemia, in parte perché non ho trovato nulla di eccellente, ma anche per il concetto di giusta distanza che considero fondamentale quando avvengono fatti, traumi che hanno bisogno di un tempo lungo per prenderne coscienza».

Una giusta distanza, secondo Prestia, che si attesta all’incrocio tra coinvolgimento e capacità di analisi, una distanza che ad oggi forse ancora non c’è. «Ho trovato per contro un atteggiamento quasi ostinatamente mirato all’opposto, quasi di non nominare quanto stava accadendo, di starne lontano: la scrittura per esorcizzare quello che si stava vivendo». Ma il tempo della riflessione, in realtà sta già venendo: «Nel 2022 uscirà un nuovo libro di Massimo Recalcati dove, dal suo punto di vista di studioso, ci racconterà la perdita e il lutto».

Intanto, conclude Prestia, anche il mercato dei diritti sta cambiando in direzioni nuove e quelli che una volta venivano definiti diritti secondari – i diritti di traduzione e per trasposizione televisiva – «oggi sono tutt’altro che secondari». Se autori come Fabiano Massimi e Daniela Raimondi hanno trovato grande riscontro all’estero nell’ultimo anno, successo che nell’immediato pre-pandemia aveva «baciato» Viola Ardone, crescono le possibilità per gli scrittori di vedere i loro libri trasformati in serie tv.

«Durante il lockdown tutti noi abbiamo attinto, come spettatori, alle serie tv a piene mani» ricorda Prestia. Oggi, così, la domanda di nuove storie è molto forte: «È raro che un libro venga opzionato e poi non trasposto in serie televisiva, una volta non era affatto così. E anche gli esordienti – penso ad esempio a Daniela Raimondi, ma anche Valeria Usala – riscuotono l’attenzione di chi fa serie tv».

L'autore: Samuele Cafasso

Sono nato a Genova e vivo a Milano. Giornalista, già addetto stampa di Marsilio editori e oggi di AIE, ho scritto per Il Secolo XIX, La Stampa, Internazionale, Domani, Pagina99, Wired, Style, Lettera43, The Vision. Ho pubblicato «Figli dell’arcobaleno» per Donzelli editore. Quando non scrivo, leggo. O nuoto.

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