In questa favola ci sono 15 cavalieri del libro, un plotone di 230 bambini, un’armata di 150 storie. Questa favola non si svolge dentro castelli incantati, ma nei palazzi di Milano. Non ci sono guerre da combattere, ma un nemico da sconfiggere che ci tiene incatenati nelle nostre case. L’happy ending, comunque, è assicurato.
Il 21 maggio si è chiusa la prima stagione di Storie della buonanotte, un’iniziativa del Sistema bibliotecario di Milano che racconta molto della resistenza del mondo del libro durante la pandemia e di come l’innovazione tecnologica possa essere utilizzata a vantaggio della promozione della lettura, alimentando nuove socialità e modi di fruizione dei libri. Storie della buonanotte è un format ideato dai bibliotecari cittadini nel 2021 per mantenere, anche durante la pandemia e la conseguente chiusura o limitazione degli orari di apertura delle biblioteche, il filo della relazione con il pubblico dei più giovani, senza interrompere le attività di promozione della lettura, ma ripensandole. Perché – è stata l’idea di Guido Rosci, bibliotecario della Biblioteca Valvassori Peroni – non accompagniamo bambini e genitori in quel momento cruciale della giornata che è la favola della buonanotte? Nasce così l’idea di un collegamento di mezz’ora, dalle 20 e 45 fino alle 21.15, in cui, attraverso la piattaforma di videoconferenza Teams, i bibliotecari raccontano una storia ai bambini, collegati in pigiama nelle loro camerette, prima di andare a letto. L’idea, accolta con favore da Gabriella Marinaccio, che ha il Coordinamento servizi e attività per bambini e ragazzi del Sistema Bibliotecario Milano, è stata sviluppata e portata avanti da 15 bibliotecari, più una decina di volontari, raggiungendo numeri di tutto rispetto: da febbraio ad oggi ci sono stati 80 appuntamenti, 150 storie lette, 230 iscrizioni, una media di 50-60 utenti collegati nella prima fase, poi scesi a una trentina nella seconda. «Soprattutto – spiega Marinaccio, che abbiamo intervistato insieme a Rosci – circa il 20% delle persone che hanno partecipato non erano nostri utenti: abbiamo allargato il perimetro delle nostre attività».
Inizialmente non è stato tutto semplice: nonostante un’adesione sopra le aspettative – nei primi incontri c’erano anche più di 90 famiglie collegate – è stato necessario un parziale stop dal 5 al 20 marzo. In quelle tre settimane gli incontri non sono stati in diretta ma pre-registrati e poi mandati in onda su YouTube: questo perché inizialmente il link per accedere all’evento era pubblico e questo ha attirato alcuni «disturbatori» che hanno fatto irruzione durante l’incontro interrompendo con schiamazzi e proiettando immagini non adatte ai bambini. Si è ripartiti a fine marzo con iscrizione obbligatoria e altri accorgimenti tecnici (come la sala d’attesa in cui devono sostare i partecipanti prima di accedere all’incontro) per evitare interventi sgraditi, accorgimenti che hanno un po’ limitato la possibilità di interazione. «Le nuove linee guida ci imponevano di disattivare i microfoni dei partecipanti durante i racconti, ma comunque abbiamo mantenuto un momento per i saluti e i commenti a fine incontro» spiegano Marinaccio e Rosci. Fin da subito, infatti, l’obiettivo è stato quello di costruire un momento partecipato, non un surrogato di televisione dove «parcheggiare» i bambini prima di metterli a letto. Anche per questo la durata degli incontri è stata limitata a 30 minuti, in maniera da poter permettere ai genitori di continuare da soli l’esperienza con i propri figli, magari aggiungendo una seconda storia a quella raccontata dal bibliotecario. «Non ci interessava una modalità di comunicazione da uno a molti, ma un dialogo. E ci interessava che la lettura ad alta voce fosse uno strumento che avvicinasse bambini e genitori, che instaurasse relazioni familiari attraverso quel dispositivo pedagogico che è il libro» spiegano Rosci e Marinaccio.
A prima vista, Storie della buonanotte può sembrare una «irruzione» di una istituzione come quella bibliotecaria dentro spazi prima presidiati dalla famiglia, ma secondo Gabriella Marinaccio questo è un modo un po’ stereotipato di vedere le cose. «Da tanti anni ci occupiamo di promozione della lettura a partire dalla prima infanzia lavorando con i consultori familiari, nei nidi d’infanzia, anche all’interno delle famiglie. Abbiamo continuato a fare quello che facevamo prima, magari in maniera un po’ amplificata. Il fatto è che parliamo di attività meno conosciute del nostro lavoro, le biblioteche sono ancora viste come l’istituzione che presta i libri, o il luogo dove si va a leggere in silenzio».
Con il passare dei mesi, la formula è stata rodata: ogni 21 del mese è stato dedicato alle letture in lingua. Dal 10 al 14 maggio, in occasione di Libri salvati, sono stati letti libri che parlavano di genere ed educazione alla parità attraverso testi che in passato erano stati censurati dal Comune di Venezia. Nelle ultime settimane, infine, si è dato spazio alle letture fatte direttamente dai bambini e, nell’ultimo appuntamento, ai racconti in LIS, la lingua dei segni.
E adesso? «Adesso ci fermiamo per una pausa di riflessione» spiegano i bibliotecari. Una pausa che ha anche ragioni pratiche: le letture serali erano sostenibili fino a quando le limitazioni all’apertura delle biblioteche consentivano ai bibliotecari di ritagliarsi il tempo libero necessario. Adesso è più difficile, banalmente anche perché alcuni «lettori» non riescono a tornare a casa dal lavoro in tempo per le letture. «Ma, d’altra parte, il riscontro del pubblico ci dice che è stata una iniziativa molto apprezzata, la voglia di continuare c’è» spiega Rosci. E forse la favola continua.
Sono nato a Genova e vivo a Milano. Giornalista, già addetto stampa di Marsilio editori e oggi di AIE, ho scritto per Il Secolo XIX, La Stampa, Internazionale, Domani, Pagina99, Wired, Style, Lettera43, The Vision. Ho pubblicato «Figli dell’arcobaleno» per Donzelli editore. Quando non scrivo, leggo. O nuoto.
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