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Biblioteche

Investire sì, ma in biblioteche

di Giovanni Peresson notizia del 9 dicembre 2017

Attenzione, controllare i dati.

Nel 2015, 8 milioni 654 mila persone dichiarano di essere state in biblioteca: il 15,1% sul totale delle persone di 6 anni e più. Questo secondo l’indagine periodica Istat sui fruitori delle biblioteche di pubblica lettura in Italia, condotta su un campione di 24 mila famiglie, distribuite in circa 850 comuni in tutta la penisola.
 
Dall’indagine emergono però aspetti interessanti, soprattutto nella profilazione di chi sono i fruitori di questo servizio. L’abitudine ad andare in biblioteca è più diffusa tra i giovani: le quote più alte di fruitori si riscontrano nella fascia 6-24 anni, con un picco nella fascia 11-14 anni (un dato tra l’altro in crescita, considerando che erano il 38,4% nel 2006 e sono il 41,5% nel 2015). È dopo i 25 anni che i frequentatori di biblioteche diminuiscono significativamente. C’è anche una differenza per genere: le fruitrici sono il 17,2% rispetto al 12,9% dei fruitori uomini, una differenza che esiste e aumenta soprattutto nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni.
 
Rimane però bassa la percentuale di persone che in Italia va in biblioteca «almeno una volta all’anno». Se è soltanto il 15% degli italiani, negli altri Paesi europei la quota è molto più consistente: il 23% dei tedeschi, il 33% di spagnoli e francesi e il 47% dei cittadini del Regno Unito. Una delle domande che vale farsi è, a questo, proposito: quanto si investe in biblioteche in Italia, e come?
 

 
Per capire come ci si dovrebbe muovere nelle sovvenzioni, è utile capire anche quali sono i motivi per cui si va in biblioteca. Perché certamente guardando a questi dati sul pubblico, il fatto che la biblioteca di pubblica lettura svolge una funzione di supplenza rispetto alle biblioteche scolastiche (il 35,1%  dei loro utenti lo fa dalla scuola dell’obbligo all’Università) si collega ai dati sulle risorse disponibili per il loro sviluppo, ammodernamento, arricchimento del patrimonio.
 
Degli 8 milioni 654 mila utenti delle biblioteche, il 42% è andato in biblioteca esclusivamente per motivi di studio o lavoro, il 39,2% unicamente nel tempo libero, mentre il 9,9% per entrambi i motivi.
Se tra i bambini di 6-10 anni è ancora più diffusa una fruizione della biblioteca legata all’impiego del tempo libero, al crescere dell’età diventa invece prevalente l’utilizzo legato a motivi di studio e/o lavoro.
 
Vado in biblioteca se so di trovare libri che difficilmente troverei in libreria, editori o autori che non conosco ancora bene e sui quali non voglio giocare un azzardo comprandoli. Eppure, guardando a un confronto con gli altri Paesi (anche se il confronto va usato cautamente, visti diversi criteri di classificazione delle spese tra i Paesi europei), se le risorse impiegate dall’Italia sono queste è evidente che non sono impiegate per nuovi acquisti.
 
 
Eppure le biblioteche potrebbero rappresentare per molta editoria un mercato interessante. Innanzitutto perché la scelta di cosa acquistare è fatta da professionisti che conoscono la loro utenza e dispongono dei dati di prestito e, quindi, di lettura; poi perché sono anche in grado di riconoscere i progetti editoriali validi da quelli più deboli.

Infatti, se in Italia ci sono quasi 5.000 biblioteche, e se solo una su 10 comprasse (in una copia) un titolo vorrebbe dire avere per tutti gli editori già in partenza una tiratura di almeno 500 copie. Un aiuto enorme per la piccola editoria, considerando dai dati Nielsen di sell out che il 69% dei piccoli editori non arriva a vendere nell’anno più di 100 copie dei loro titoli.

Ma un investimento totale di 43,4 milioni di euro – a tanto ammonterebbe la spesa delle biblioteche pubbliche secondo una indagine del 2014 di AIB – significa poter mettere a disposizione della propria utenza il 3% di quanto si vende nel nostro Paese nei canali trade.

Le slide coi dati dell'incontro Investire sì, ma in biblioteche che si è tenuto a Più libri più liberi sono scaricabili alla pagina dedicata nella sezione Presentazione del sito. 

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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