Nelle serialità televisiva contemporanea i libri non sono semplici accessori di scena. Spesso compaiono inquadrati con una precisione che tradisce intenzione: definiscono psicologie, genealogie simboliche, tensioni interiori.
Non è un recupero nostalgico del «personaggio lettore romantico». È un fenomeno più sottile: la serie televisiva, maturata come forma narrativa lunga, usa il libro come strumento semantico, segnale primo dell’identità, del desiderio, della paura e della contraddizione. Un gesto minimo che rimanda almeno idealmente a una tradizione precisa – quella del close reading – traslata allo schermo: ciò che teniamo in mano, a cosa torniamo quando siamo sole/i, dice chi siamo, a cosa stiamo passando attraverso.
Ecco cinque apparizioni abbastanza recenti, in altrettante serie televisive, in cui un libro fa un lavoro narrativo e non solo scenografico.
L’amica geniale in piscina con Rachel, in White Lotus
Quella raccontata da Elena Ferrante è una storia di tensione tra appartenenza e ambizione; tra talento, desiderio di emancipazione e condizionamenti sociali. Esattamente le tensioni che attraversano Rachel, che arriva al White Lotus cercando di capire se la vita che sta per intraprendere – comodità economica, matrimonio, rinuncia potenziale alla propria autonomia – è davvero quella che vuole. Il romanzo,
uno dei tanti mostrati nella serie, diventa riflesso e anticipo del suo conflitto: il timore di appiattirsi, di perdere il proprio slancio intellettuale, di rimanere «piccola» mentre la vita prende una forma che non controlla del tutto.
Rivendicazione dei diritti della donna sul comodino di Maeve, in Sex Education
Il trattato di Mary Wollstonecraft compare tra i libri nella stanza di Maeve,
uno dei molti in lettura durante la serie, disposto vicino al letto e allo spazio in cui studia: un dettaglio ambientale scelto con attenzione, che sembra quasi vegliarla anche durante l’inattività del sonno, come a suggerire l’immanenza del suo portato valoriale. È una presenza coerente con il percorso del personaggio: la lettura come strumento di pensiero critico, autonomia e desiderio di trasformare la propria vita attraverso la conoscenza. Il libro funziona come codice, come traccia di una curiosità intellettuale ampia, determinata e divergente.

Isaac che legge Gender Queer in spiaggia, in Heartstopper
Isaac non ha un solo libro in mano durante la serie,
ne ha moltissimi, e funzionano nella narrazione come barometro emotivo: anticipano, puntellano, segnalano ciò che progressivamente il personaggio scopre di sé e silenziosamente condivide con gli altri. La prima lettura che gli vediamo fare nella terza stagione è
Gender Queer di Maia Kobabe, memoir a fumetti che racconta un percorso verso la comprensione dell’identità di genere e orientamento, che accompagna Isaac mentre esplora la propria aromanticità e asessualità. Il graphic novel, insomma, sembra voler introdurre in modo diretto il tema del linguaggio e dell’autodefinizione, esattamente il nodo da cui parte la traiettoria narrativa del personaggio in questa stagione.
La crisi esistenziale di Marianne e Non lasciarmi, in Normal People
Sono diversi i libri che compaiono in
Normal People, la mini-serie televisiva adattamento dall’omonimo romanzo di Sally Rooney, e tutti hanno un ruolo narrativamente denso che coopera alla costruzione del mondo rappresentato, popolato, raccontato dall’autrice. Nella seconda puntata, per esempio, vediamo Marianne impegnata in una lettura che diventa quasi rito di passaggio:
Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro, distopia del 2005 che affronta identità, destino e consapevolezza del limite. È un testo che molte giovani lettrici e molti giovani lettori incontrano come soglia emotiva – anche oggi, a vent’anni dalla pubblicazione, complice il passaparola social – e nella serie coincide con un momento di particolare vulnerabilità e interrogazione personale. È un contrappunto silenzioso al percorso di Marianne, che attraversa ambiguità affettive e desideri incerti mentre impara – con esitazione e scarti – a nominare ciò che prova.

La presentazione di Dolore minimo in Prisma
Prisma non si limita a citare
Dolore minimo:
nasce da quel libro. La raccolta poetica di Giovanna Cristina Vivinetto – che racconta la transizione attraverso la memoria, il mito e il corpo – è dichiarata fonte d’ispirazione della serie e compare all’interno della narrazione come libro letto, prima di nascosto e poi condiviso, infine traino attivo di movimento, esplorazione, appropriazione spaziale e interiore di sé. Vivinetto addirittura appare in più di una scena, anche durante un reading alla
libreria Tuba di Roma, e incontra nel successivo firmacopie i personaggi di Nina e Andrea. Per quest’ultimo, in particolare, i versi dell’autrice sono riferimento diretto a un percorso identitario in definire, che grazie al libro comincia a esplorare una lingua e una forma per essere.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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