È il 1944 quando Lazarsfeld, Berelson e Gaudet elaborano la two-step flow of communication: una teoria della comunicazione che sottolinea l’importanza dei così detti «opinion leader» nel filtrare e nell’indirizzare il flusso informativo tra i media e il destinatario finale. Un flusso che, solo vent’anni prima, Harold Lasswell immaginava come un ago ipodermico capace di inoculare il messaggio dalla fonte al ricevente senza alcun tipo d’intermediazione terza o di privata decodifica.
 
Se tanto la teoria ipodermica quanto la teoria del flusso a due fasi appaiono oggi superate e schematiche, incapaci di cogliere la complessità messa in campo dai fenomeni comunicativi, a Lazarsfeld non possiamo non riconoscere un merito. Quello di aver formalizzato, per la prima volta, l’importanza dell’agente di mezzo: connettore tra vertice e base, riferimento valoriale della comunità che riesce a piegare il letto del fiume della comunicazione fino al suo pubblico d’elezione.  
 
Qualche decennio più tardi il web avrebbe fatto il resto: accorciando le distanze; connettendo le comunità disperse; attualizzando e moltiplicando i leader d’opinione e la dinamica comunicativa che abilitano. E sollecitando gli interessi dei brand, la loro necessità di prendere parte a questo processo, e tutta quella branca del marketing che possiamo definire «di influenza». Anche nelle sue declinazioni editoriali.
 
«Sul web si è sempre parlato di libri, fin da quando sono nati i primi blog, anche quelli generalisti» racconta Paolo Armelli, contributor freelance per diverse testate ed esperto di innovazione digitale, content marketing, editoria 2.0 e ricadute sociali della comunicazione online. «Dai primi anni Duemila inizia una certa specializzazione (Vibrisse, Lipperatura, Mangialibri e via dicendo) e da lì è un fiorire di community, testate, progetti, riviste. Tutto ovviamente cambia con l’avvento forte dei social media, diciamo con gli anni Dieci: a giornalisti, addetti del settore e grandi appassionati si aggiungono gli amanti di libri diremmo sempre più “dal basso”. Si aprono spazi inediti, voci originali, contaminazioni».
 
Mercoledì 29 maggio Armelli terrà un corso organizzato dall’Associazione Italiana Editori dall’eloquente titolo Chi influenza i book influencer? (tutte le informazioni sono disponibili a questo link). Attraverso un’esposizione frontale ma anche esercitazioni pratiche, interventi di professionisti del settore e un dialogo aperto, l’incontro vuole fissare i cardini di un fenomeno in continua evoluzione, rivolgendosi soprattutto a quei professionisti all'interno delle case editrici che hanno il compito di gestire questi aspetti del marketing e della comunicazione editoriale. Più in generale, a chiunque abbia la curiosità e l’interesse a capirli, la sensibilità nell’intuire la loro centralità nel panorama di settore, oggi.
 
 
In principio furono forum, community, blog. Ma quando il dialogo attorno ai libri approda sui social media, in qualche modo deve «impararne» i codici espressivi. Quali sono le peculiarità di ciascuna piattaforma? Esistono affinità elettive tra generi/autori/editori e canali?
 
Gli influencer possono essere presenti su tutte le piattaforme o solo su alcune più affini alle loro caratteristiche. Facebook è sicuramente la più diffusa e generalista, ma bisogna fare attenzione alla dispersione, funziona più per marchi grandi, autori best seller, generi popolari. Più specifici sono Twitter, dove si favorisce più il senso di dialogo, community e relazione diretta con autori e case editrici, e Instagram, dove ovviamente ci si deve distinguere per impatto visivo (ma anche per una «quotidianità» trasmessa nelle stories). Ma non bisogna dimenticare le videorecensioni e gli unboxing su YouTube, una nicchia fiorente.
 

Quali sono le cognizioni e le competenze che gli editori dovrebbero acquisire per interagire in maniera positiva con questo fenomeno? Qualche caso virtuoso?
 
Oggi come oggi gli editori devono essere sui social, l’importante è strutturare una strategia che sia coerente alla propria anima editoriale e al resto della propria comunicazione, senza però risultare troppo freddi o fiscali. L’esempio principe su Twitter è Einaudi, che ha dettato i canoni di una comunicazione social affidabile ma anche flessibile, e ora sta facendo altrettanto sugli altri canali. Spesso poi sono i medio-piccoli, come minimum fax o NN Editore, a risultare efficaci e originali nel tradurre la loro peculiarità sul web.
 

I mercati sono conversazioni. Ma le conversazioni fanno mercato? Detto altrimenti: i book influencer fanno vendere libri?
 
Il tema più scottante di tutto l’influencer marketing, non solo quello dei libri, è il ritorno dell’investimento: i risultati sono spesso difficili da quantificare. Probabilmente il numero delle copie vendute non è nemmeno il più significativo, anche se influencer affermati come le ospiti del corso AIE, Tegamini e Zelda was a writer, di sicuro spingono all’acquisto coi loro consigli o organizzando club di lettura. Ma importanti sono anche brand awareness, comunicazione non convenzionale e soprattutto vicinanza dei marchi editoriali alle persone

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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