Il mercato australiano ha sempre avuto un rapporto ambivalente nei confronti del resto dell’editoria anglofona. Nonostante la lingua comune, ad esempio, l’Australia è da considerarsi come territorio a sé (distinct territory) nella stesura dei contratti d’edizione per il mondo inglese; inoltre, non mancano le leggi a tutela delle edizioni australiane di libri americani e inglesi. La normativa corrente impone un’attesa di 30 giorni tra la prima pubblicazione di un libro oltreoceano e la sua importazione, e questo solo se l’edizione australiana – nello stesso lasso di tempo – non viene pubblicata.
Eppure tutto questo, forse, sta per cambiare. Il governo ha proposto l’apertura del mercato alle edizioni straniere, con l’obbiettivo di offrire ai clienti l’opzione di acquistare anche i libri d’oltreoceano, spesso molto più economici rispetto alle edizioni australiane, proprio con l’obbiettivo di far calare i prezzi dei libri «locali», considerati troppo alti rispetto alle altre edizioni anglofone.
Inoltre sono state proposte anche delle revisioni agli attuali termini del copyright, che verrebbe accorciato rispetto alla durata attuale, e del fair use (nel contesto educativo e accademico). Il think-tank che ha studiato l’attuale panorama australiano e avanzato la proposta, l’Australian Productivity Commision, ha affermato che i cambiamenti proposti potrebbero far risparmiare ai consumatori fino a 1 miliardo di dollari (AUD).
Tuttavia, questa proposta non è stata affatto apprezzata dagli addetti al settore, tanto che tutte le principali associazioni di categoria (l’Australian Publishers Association, l’Australian Society of Authors, l’Australian Literary Agents Association, la Printing Industries Association of Australia e, a sorpresa, anche l’Australian Booksellers Association) si sono unite nella protesta, dando il via a «Books Create Australia», campagna per la sensibilizzazione pubblica creata per impedire l’attuazione di queste proposte che, secondo le parole di Michael Gordon-Smith, amministratore delegato dell’APA, danneggerebbe il settore nel suo complesso: «Questi cambiamenti non sarebbero un bene per i lettori o i rivenditori australiani. I lettori australiani stimano molto gli scrittori australiani, e ce ne sarebbero meno» ha affermato.
Concorda Joel Becker, amministratore delegato dell’associazione dei librai australiani, che ha aggiunto che «l’ABA sta lavorando in collaborazione con l’APA per valutare nuovi opzioni per migliorare ulteriormente la competitività dei prezzi e la disponibilità di magazzino per i clienti australiani. Entrambe le organizzazioni sono assolutamente convinte dell’importanza del copyright territoriale australiano nel fornire valore, varietà e qualità ai lettori australiani, e per il valore cruciale e a lungo termine dell’industria e dei nostri clienti».
Le conclusioni, al momento, sono incerte, e il dibattito è ancora caldo: ma se effettivamente dovessero esserci dei grandi cambiamenti all’orizzonte per il mercato australiano, questi si ripercuoterebbero su tutti i mercati anglofoni (e, di riflesso, su quelli a livello globale).
Laureata in Lettere moderne (con indirizzo critico-editoriale), ho frequentato il Master in editoria. Mi interessa la «vita segreta» che precede la pubblicazione di un libro – di carta o digitale – e mi incuriosiscono le nuove forme di narrazione, le dinamiche delle nicchie editoriali e il mondo dei blog (in particolare quelli letterari).
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